L’articolo riprodotto di seguito è stato pubblicato sul numero 2/2021 di Impresa Sociale, rivista parte del network di Secondo Welfare.


Il presente contributo intende descrivere l’impatto che la pandemia da Covid-19 ha avuto su alcuni aspetti socio-economici delle città, discutendo su possibili risposte place-based per un rilancio economico basate sul concetto di economia di prossimità. Con questo obiettivo l’articolo fornisce un quadro interpretativo utile a comprendere l’impatto sull’economia urbana con particolare riferimento all’Italia e Milano, osservando l’emersione della prospettiva di prossimità nel dibattito per riorganizzare le città in seguito alla crisi sanitaria indotta dalla pandemia. Su questa base concettuale, nell’articolo vengono discussi alcuni esempi per un’agenda di sviluppo urbano di prossimità, con un quadro conclusivo di policy recommendations relative all’implementazione di queste politiche.

Il lavoro è il risultato congiunto dei due autori, tuttavia si attribuiscono a Luca Tricarico i paragrafi 1, 2, 4 e i restanti a Lorenzo De Vidovich.

L’impatto del Covid-19 come fattore di accelerazione di fenomeni critici nei contesti urbani

L’evento pandemico legato al virus Covid-19 ha messo a nudo la fragile struttura sociale, economica e spaziale delle nostre città, ponendo una nuova questione sulla ricerca di soluzioni capaci di trasformare i modelli di crescita e sviluppo economico urbano a seguito di un ripensamento nella gestione di servizi, attività produttive e lavorative con particolare riferimento alla loro configurazione spaziale. In particolare, la pandemia sta amplificando le preesistenti diseguaglianze sociali, spaziali ed economiche che attraversano la città e che rendono il virus più dannoso, in una spirale negativa (ONU, 2020).

Il nuovo coronavirus ha colpito fortemente le aree periferiche delle grandi regioni urbane (Biglieri et. al., 2020), svelando – anche in altri contesti europei – una peculiare diffusione nelle aree ad urbanizzazione estesa, e sollevando importanti riflessioni sul ruolo della densità nella diffusione del contagio (Connolly et. al., 2020; Hamidi et. al., 2020). Recenti indagini sull’impatto della prima ondata in Val Seriana (in Provincia di Bergamo) richiamano l’attenzione sulla densità “topologica”, una categoria analitica da affiancare alla densità come proprietà spaziale dovuta alla prossimità fisica, innervata dalle relazioni che si manifestano tra le componenti mobili e immobili dello spazio geografico (Cremaschi et. al., 2020).

A partire dallo sguardo critico di queste riflessioni, questo saggio mette sotto osservazione alcune tensioni socio-economiche preesistenti nelle condizioni antecedenti alla pandemia, come la polarizzazione e il distacco tra settori di business capital intensive e piccole microimprese manifatturiere, artigianali e commerciali, oggi esacerbate dagli impatti dell’evento pandemico, con forti rischi sulla tenuta del tessuto economico di numerose città italiane. In aggiunta a questi fattori, gli impatti sul mercato del lavoro derivanti sia dalla recessione e dalla crisi di liquidità delle imprese, sia dalla contingente riorganizzazione dei regimi produttivi indotta dalle misure di distanziamento sociale, riconduce l’analisi a due aspetti (ILO, 2020; Manpower, 2020):

  • aspetti qualitativi, principalmente legati alla necessaria digitalizzazione accelerata dei servizi e dell’organizzazione produttiva con un conseguente aumento nella richiesta di competenze professionali legate alle nuove tecnologie e al digitale;
  • aspetti quantitativi, legati alla fisiologica flessione della domanda di lavoro conseguente alla chiusura di molte imprese messe in crisi dai regimi di attività stravolti dal distanziamento sociale e dallo shock nel consumo di beni e servizi.

Oggi, il mercato del lavoro è ancor più influenzato dal progresso tecnologico che si riflette su una richiesta di capitale umano capace di coniugare conoscenza degli strumenti e dei linguaggi tecnologici con soft skills e inclinazioni creative, e di affrontare allo stesso tempo le rapide trasformazioni di settori tradizionali come il commercio, l’artigianato e la piccola manifattura (Faraoni et al., 2019). In contesti polarizzati in termini di formazione professionale come quello italiano (Zuddas, 2020; Fulghesu et al., 2021; Contini et al., 2018; Milano, 2016; CENSIS, 2018), le difficoltà derivanti dalle complesso contenimento della pandemia da Covid-19 rischiano di aggravare criticità già presenti in termini di alti tassi di disoccupazione assoluti e relativi (soprattutto tra giovani, donne, cittadini migranti non-europei) diffusi in contesti urbani e regionali già contraddistinti da squilibri significativi (Assolombarda, 2020; Lelo et al., 2019; Fratesi e Rodriguez-Pose, 2016).

Assieme a queste criticità persistenti, sembra concretizzarsi l’emergere di nuove forme di esclusione riguardanti non solo le fasce deboli comunemente intese, ma soprattutto un ampio segmento di comunità urbane: lavoratori con competenze a rischio obsolescenza, commercianti e artigiani non più competitivi perché spiazzati dall’avvento delle nuove tecnologie, microimprenditori operanti nei settori che più sono stati colpiti dalla chiusura delle attività e dal distanziamento sociale, insieme a categorie sociali come la popolazione femminile con percorsi professionali intermittenti, cittadini stranieri di prima e seconda generazione, giovani inattivi o in possesso di titoli e skills poco richieste sul mercato del lavoro ad alta densità di conoscenza (ILO, 2020; CENSIS, 2020). Le politiche e i progetti che caratterizzeranno la risposta a tale periodo di crisi dovranno garantire lo sviluppo di soluzioni capaci di veicolare in modo capillare la transizione verso sistemi territoriali che diventano connessi e resilienti, cooperando per adattarsi e trasformarsi ai cambiamenti necessari.

L’analisi svolta in questo contributo si concentra su Milano, in virtù del ruolo importante giocato dalla città in termini economici e di sperimentazione di politiche urbane. In tal senso, Milano rappresenta un contesto particolarmente rilevante per osservarne le evoluzioni di problematiche emergenti e contingenti, e allo stesso tempo di possibili soluzioni da mettere in campo. Prima della pandemia, Milano ha visto crescere il tasso di occupazione più rapidamente (+2,1%) che nel resto della Lombardia (1,3%) – la quale può essere più facilmente assimilata ad un’economia stabile – e in maniera sensibilmente maggiore rispetto all’Italia (+6%), che sconta al suo interno diverse regioni in contrazione. Allo stesso modo, la disoccupazione a Milano aveva raggiunto il 5,9%, 4 punti sotto alla media nazionale e migliore anche di quello province lombarde (intorno al 7%).[1]

L’osservazione della crisi da?Covid-19 e le possibili risposte implicano un confronto diretto con l’accelerazione del processo di automazione e digitalizzazione di task svolti all’interno delle imprese: aspetti che oltre ad essere rischiosi per numerosi lavoratori, mettono in discussione la concentrazione geografica di funzioni economiche verso i poli che da sempre si sono dimostrati in grado di attrarre capitale umano.[2] Inoltre, la crisi potrebbe creare una nuova frattura: quella fra settori spinti alla frontiera delle loro produttività, come settori medici ma anche di servizi e distribuzione, contro settori “congelati” dal?Covid-19?e dalle misure di contrasto alla mobilità che sono state necessarie per contrastarlo (Smit et. al., 2020).

Con queste premesse tematiche, questo contributo – presentato sotto forma di discussion paper – si concentra sulla possibilità di inquadrare ambiti di politiche di recovery urbano fortemente orientate alle piccole medie imprese e alle economie di prossimità come temi preponderanti per rispondere alla crisi in atto. Negli esempi selezionati, è evidente come i temi trattati sono legati ad esperienze di imprenditorialità sociale intesa in una logica non normativa ma qualitativa (Defourny, Nyssens, 2017), in particolare riferimento alla capacità di proporre una risposta territorializzata e comunitaria affine agli approcci di prossimità (Tricarico, 2017; Venturi, Zandonai, 2019). Come notato da diversi studiosi che stanno leggendo la crisi da un punto di vista organizzativo, gli approcci di co-creazione di valore da sempre promossi negli ecosistemi imprenditoriali delle imprese sociali e delle cooperative saranno un bagaglio di pratiche ed esperienze da valorizzare e integrare per indirizzare le politiche economiche che verranno (Ratten, 2020). Seguendo il filone di discussione teoriche delle politiche place-based (Barca et. al., 2012) per sostenere le imprese e i lavoratori nella lunga fase di transizione e riorganizzazione che la pandemia da Covid-19 impone, e consapevoli di una scelta analitica precisa e selettiva attorno alla discussione del concetto di economia di prossimità nelle politiche urbane, il paper è organizzato nel seguente modo: nel prosismo paragrafo saranno osservati alcuni dati rispetto alla crisi economica dei territori in termini di sviluppo economico con particolare attenzione all’Italia e alla città di Milano; a seguire sarà osservato il contesto di politiche urbano in cui le agende per il recovery si confrontano, esplicitando l’emergere di approcci di prossimità; inoltre, è descritto un quadro interpretativo generale con alcuni esempi specifici; nel paragrafo conclusivo sono indicate alcune raccomandazioni di policy per una agenda urbana di recovery volta a sostenere le economie di prossimità.

Un quadro generale per comprendere la crisi economica urbana con particolare riferimento all’Italia e Milano

In termini generali, le previsioni del Fondo Monetario Internazionale avevano da tempo rivalutato le prospettive di crescita a scala globale per gli anni 2020 e il 2021, dichiarando una grave recessione, peggiore rispetto a quella del 2009. Le interruzioni delle filiere industriali manifatturiere e il calo dei prezzi delle materie prime hanno sconvolto i mercati finanziari, le condizioni di liquidità inasprite in molti paesi hanno creato deflussi di capitali senza precedenti (United Nations, 2020). Secondo le stime dell’ILO, la crisi occupazionale in corso causerà la perdita di 25 milioni di posti di lavoro a livello globale, con perdite di reddito da lavoro comprese tra $860 e $3,4 trilioni. Le piccole e medie imprese, i lavoratori autonomi e i lavoratori dell’economia informale sono i più colpiti, con un impatto particolare sulle pari opportunità per le donne nella forza lavoro (ILO, 2020).

Per l’Italia, l’Istat aveva segnalato una diminuzione del PIL del 5,3% nel primo trimestre 2020 rispetto al primo trimestre 2019 (ISTAT, 2020b) poi confermato dal trend annuale in una riduzione complessiva del 8,8%. Rispetto a marzo 2020, ad aprile è stata registrata una marcata diminuzione dell’occupazione (ISTAT, 2020c), accompagnata dalla diminuzione dei “disoccupati in cerca di lavoro” già visibile a marzo con un’ulteriore crescita della popolazione inattiva. Sull’andamento dell’economia italiana, l’Istat (2020a) aveva segnalato a marzo 2020 un crollo delle vendite al dettaglio (-21,3% la variazione ciclica dei volumi) causato dal calo degli scambi di beni non alimentari (-36,5%), mentre i prodotti alimentari avevano mostrato una sostanziale stabilità (-0,4%). Il commercio elettronico ha registrato un deciso incremento (la variazione tendenziale dei volumi è stata del + 20,7%).

Con particolare riferimento alla dimensione urbana, la rapida affermazione delle modalità di lavoro da casa – largamente racchiuse sotto l’etichetta di smart working – ha generato una conseguente crisi dei servizi commerciali che sino all’arrivo della pandemia facevano fortemente leva su eterogenee popolazioni di city users garantiti da ingenti flussi di mobilità casa lavoro (Bartik et al., 2020). Secondo un’indagine della Cisl Lombardia,[3] prima dell’emergenza a Milano il 13% dei dipendenti (154 mila persone) lavorava già saltuariamente da casa, ma secondo le previsioni (ibid.) alla fine del periodo emergenziale è stato stimato un potenziale bacino di 543 mila lavoratori in più.

Secondo le stime di Confcommercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza, in tutto il 2020 le compravendite al dettaglio chiuse per il blocco imposto dall’emergenza sanitaria Covid-19 hanno pagato una perdita di 4,9 miliardi di euro in fatturato: – 40% rispetto a una situazione normale (4,2 miliardi solo a Milano e Città Metropolitana). Le attività commerciali interrotte sono consistite in un numero pari ad oltre 22.700 per 123.000 dipendenti. Particolarmente critica è la situazione delle imprese minori (fino a 9 dipendenti) che costituiscono il 65% del totale delle attività commerciali chiuse nella Città Metropolitana di Milano, e nelle Province di Lodi e Monza e Brianza. Con il quadro atteso di ripresa delle imprese, il rischio di cessazione definitiva dell’attività (stimato al 30 aprile 2020) era fissato intorno al 25%, pari a circa 3.700 imprese. Secondo una previsione elaborata su dati Fipe, Federalberghi e Federmoda,[4] l’Italia quest’anno produrrà 180 miliardi di ricchezza in meno, e di questi circa 23 saranno dovuti al mancato contributo dell’area metropolitana milanese, in particolare legata alle crisi indotta dalla pandemia nel macrosettore dei servizi. Il mancato svolgimento di fiere ed eventi abbinato alle mancate presenze per alberghi, e al drastico calo di acquisti nel settore del commercio al dettaglio determinano una perdita di fatturato che supera i 10 miliardi, stimata tra febbraio 2020 e febbraio 2021, cui si aggiungono gli 11 miliardi del settore dello spettacolo. La crisi di Airbnb, ad esempio, è stata certificata dal taglio del 25% della forza lavoro, dal un crollo del 96% delle prenotazioni in seguito alle restrizioni sui viaggi (Dubois, 2020) e da una riconfigurazione del suo servizio verso gli affitti a lungo termine (Calatyud, 2020; Dolnicar, Zare, 2020). Così come confermato da Confedilizia e Nomisma, il settore immobiliare ha subìto l’effetto del lockdown interessando in particolare il mercato degli affitti brevi (Iorlano, 2020).

Nell’area OCSE (2020) come in Italia, i settori maggiormente colpiti dall’effetto diretto di allontanamento sociale sono quindi turismo, vendita al dettaglio di prodotti e servizi, e piccola manifattura. L’OCSE ha osservato come i regimi di esercizio garantiti in questi settori dalla fase di graduale riapertura successiva alla prima fase di lockdown (es. take-away; vincoli alla mobilità internazionale e regionale) abbiano ulteriormente contratto i suddetti settori, compromettendo il costo opportunità della riapertura di molti operatori, con un effetto molto importante sulla riduzione degli investimenti in ristrutturazioni spaziali e conseguente forte crisi dei valori immobiliari per il segmento degli spazi commerciali (Nomisma, 2020; Scenari Immobiliari, 2020). L’impatto del Covid-19 è e sarà particolarmente severo per gli imprenditori con immobili in locazione (Ingrascì, 2020).

Il decreto “Cura Italia”, introdotto con il D. L. 18/2020, ha riconosciuto agli esercenti di attività d’impresa (negozi e botteghe; categoria catastale C/1) un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, relativo a marzo 2020. Tuttavia, questa misura non ha previsto deprezzamenti, risultando quindi uno strumento temporaneo per alleviare gli impatti a breve termine di un credito sofferente. I contratti commerciali sono solo parzialmente contemplati dalle misure di supporto[5] agli imprenditori introdotte sia dal decreto “Cura Italia” che coi successivi emendamenti introdotti con il “Decreto Rilancio” (D. L. 34 del 19 maggio 2020, convertito in legge il 17 luglio 2020), e ad un anno di distanza dall’inizio della pandemia, vi sono motivi di credere che l’onda lunga della crisi post-Covid-19, per quanto riguarda le economie di città e quartieri, colpisca soprattutto esercenti e piccoli imprenditori, categorie tradizionalmente poco contemplate nello studio delle disuguaglianze urbane (Cave et al, 2020). Si delinea il rischio di desertificazione di numerosi quartieri, con un riflesso progressivo sull’ aumento del divario tra categorie di persone, imprese e aree urbane capaci e incapaci di resistere alla grave economica e sociale crisi in atto.

Il contesto di politiche urbane e l’emergere della prospettiva di prossimità

L’attenzione dedicata negli ultimi mesi a interventi di rigenerazione urbana temporanea suddivisi tra incentivazioni di forme di mobilità sostenibile (accompagnate da forme di incentivo come il “bonus mobilità”), e strategie per una maggiore fruizione degli spazi pubblici con azioni di sostegno al settore della ristorazione nell’uso gratuito dello spazio pubblico adiacente all’esercizio, è il risultato di una nuova sensibilità istituzionale rispetto all’intervento su alcuni aspetti specifici della vivibilità tipicamente urbana.

Sembra farsi largo, per le città, la necessità di ripensare le politiche di pianificazione, passando da una regolazione degli usi e degli spazi urbani ad una “gestione della vita urbana”, agendo sulle dinamiche di spazio e di tempo, con l’imporsi del tema della prossimità geografica come fattore su cui calibrare la riorganizzazione spaziale di servizi, imprese e di gestione delle dinamiche sociale (Evangelista, 2016).

L’esperienza del lockdown, con le sue limitazioni alla mobilità urbana, ci hanno mostrato una nuova importanza del tema della prossimità applicato alla quotidianità urbana, legata ai quartieri e alla loro capacità di rispondere alle esigenze dei cittadini, spingendoci a riflettere su un futuro di città che non si sviluppi su un asse centro-periferia, ma con una pluralità di centri, ognuno con le sue specificità. In questo senso, l’approccio della “15 minutes city”, già rilanciato dalla sindaca di Parigi Anne Hildago, promuove l’idea che ogni cittadino possa avere accesso in un breve perimetro e nel lasso di tempo di 15 minuti, a sei funzioni fondamentali: living, working, supplying, caring, learning, enjoying (Moreno, 2019).

A partire da questo cambio di paradigma, è possibile immaginare che tra gli orientamenti delle città nell’utilizzo dei fondi europei,[6] uno spazio sempre maggiore sarà riservato a misure sperimentali e ad azioni-pilota che riqualificano spazi, attraverso forme di urbanismo tattico e percorsi di partecipazione attiva dei cittadini. Uno scenario nel quale i grandi interventi infrastrutturali potranno essere ripensati e integrati con l’attivazione di esperienze di innovazione dal forte impatto sociale, sperimentate in forma pilota su scala locale e/o distrettuale.

In una prospettiva di struttura economica e sociale di città e quartieri, sicuramente il commercio di vicinato rappresenta un servizio fondamentali per i cittadini e la qualità della vita nei quartieri in una logica di prossimità (Williams, Hipp, 2019). Nella definizione data dalla ricerca Futureberry, realizzata per l’Assessorato allo Sviluppo Economico del Comune di Milano, si parla di commercio di prossimità (o negozi di vicinato) in riferimento alle “attività finalizzate prevalentemente alla vendita al dettaglio di prodotti, che impiegano una superficie contenuta, generalmente mai superiore ai 250 metri quadrati”. Queste realtà, secondo l’indagine, da una parte risultano particolarmente coinvolte nella vita di quartiere, e dall’altra portano istanze innovative relativamente all’offerta, al design degli spazi, ai servizi aggiuntivi offerti, alla relazione con i clienti e alle modalità di comunicazione” (Futureberry – Comune di Milano, 2018 – p.10). A partire dai nuovi regimi produttivi imposti dal distanziamento sociale e dalle limitazioni agli spostamenti, appare ormai riconosciuta la consapevolezza riguardo l’importanza dei negozi di vicinato, facilmente raggiungibili e capaci di offrire ai consumatori qualcosa in più rispetto alla mera transazione economica: personalizzazione del servizio, dimensione informale “di fiducia” tra venditore e cliente, contributo alla socialità al di fuori della sfera domestica. Con queste caratteristiche, le attività commerciali locali “di quartiere”, si distinguono dalla grande distribuzione e dal commercio digitale standardizzato. Il valore riconosciuto[7] di queste imprese e questi servizi è legato al funzionamento di servizi con importanti risvolti sociali per la costruzione di relazioni e legami di comunità (Deener, 2007), poiché contribuiscono a definire l’identità dei luoghi, e del paesaggio urbano raccontando al contempo le sue complesse dinamiche sociali (Zukin, 2009; Jeffres et al., 2009; Lebendiker, 2011).

Allo stesso tempo è necessario allargare l’orizzonte sulla cornice interpretativa delle “economie di prossimità” oltre i negozi di vicinato. Promuovere un’agenda di innovazione mission oriented (Mazzuccato, 2018) in questo campo significa ad esempio immaginare nuovi investimenti nel campo di tecnologico agevolando forme di prossimità cognitiva e organizzativa tra organizzazioni diverse per generare valore, redditi e opportunità di sviluppo a scala urbana e di quartiere. Da un punto di vista tassonomico, il tema della prossimità come fattore di sviluppo economico è stato discusso nell’ambito della geografia dell’innovazione (Breschi, Lissoni, 2001), dimostrando come i processi di innovazione tra organizzazioni siano “geograficamente prossimi” (Morgan, 2004; Boschma, 2005). Nella prossimità si identifica uno spazio di “conoscenza condivisa” capace di produrre norme e routine (Harrison, 1992), facilitando la collaborazione (Knoben, Oerlemans, 2006), l’apprendimento interattivo e la trasmissione di conoscenza tra gli attori (Parrino, 2015;). Un concetto molto utilizzato nel campo degli studi localizzativi d’impresa (Torre, Rallet, 2005), dove la prossimità geografica “tra le imprese di una medesima filiera o di settori produttivi correlati favorisce nuova imprenditorialità e lo scambio di conoscenze, soprattutto da parte di quelle piccole imprese che difficilmente riuscirebbero a sostenere i costi organizzativi di scambi a lunga distanza” (Staber, 2001, p. 330).

In questa fase di necessaria transizione tecnologica e organizzativa, il rilancio delle economie dei territori sarà dipendente da politiche capaci di sostenere gli effetti indiretti dell’economia della conoscenza in un’ottica di prossimità: sostenendo l’innovazione nelle imprese e nelle competenze dei lavoratori, valorizzando il contenuto immateriale di beni e servizi, diffondendo competenze di tipo culturale e creativo nei servizi artigianali, commerciali che si sviluppano in ambito urbano, sempre più intrecciati con le produzioni manifatturiere in specializzazioni diverse e peculiari (Caragliu, Del Bo, 2019).

Misure ed esempi per un’agenda di sviluppo urbano di prossimità

A partire da questo punto di vista, le piccole e medie imprese commerciali, artigianali e manifatturiere rappresentano il target privilegiato di un’agenda urbana rivolta ad un’ottica di prossimità come elementi chiave di un’offerta calibrata su una scala di quartiere e come veicoli di innovazione sistemica in settori per troppo tempo considerati ai margini delle agende politiche. Data la piccola dimensione di queste attività e il difficile momento congiunturale descritto nei paragrafi precedenti, il ruolo delle politiche urbane e locali diventa determinante nel preservare le economie urbane nella loro interezza.

Un ruolo particolare nei settori individuati può essere giocato da attori e approcci vicini a quelli dell’imprenditoria sociale, in particolare nella capacità di creare una governance d’impresa capace di interagire con i luoghi in cui le attività di queste si localizzano (Venturi, Zandonai, 2019). In questo senso, i ripensamenti delle politiche e dei servizi incontrano la prospettiva place-based per ragionare su più livelli di policy e ridiscutere il sistema di sostegno pubblico alle imprese e agli ecosistemi innovativi, criticato di essere poco efficace (Donatiello, Gherardini, 2019) anche in termini di disuguaglianze distributive e polarizzazioni prodotte (Mongelli, Rullani, 2017; Kemeny, Storper, 2020). Da una osservazione delle strategie e dalle politiche in via di sperimentazione, abbiamo selezionato tre possibili approcci:

Sostenere competenze diffuse per intercettare nuovi pattern di consumo e sviluppare metodi place-based di analisi della domanda locale di servizi. Sperimentare modelli innovativi e partnership in campo imprenditoriale (e di policy) per sostenere nuove economie di prossimità. Gestire percorsi di placemaking volti a trasformare la dimensione spaziale dei quartieri e delle economie di prossimità.

Nuovi pattern di consumo urbano e metodi place-based per analizzare la domanda locale

La crescita emergente di mobile commerce ed e-commerce è stata resa possibile dai recenti trend di innovazione tecnologica nel mercato retail, che comprende un’ampia gamma di servizi self-service e di supporto al commercio al dettaglio e ai servizi di quartiere, dove gli strumenti digitali e ICT consentono un miglioramento delle prestazioni sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda dei servizi commerciali e del loro legame con attività artigianali e manifatturiere. L’e-commerce trasforma la gestione stimolando nuovi modelli di business e formati di scambio, dove nuove figure professionali rendono operative tali trasformazioni (si pensi ai numerosi dipendenti Amazon che lavorano su turni nella catena distributiva interna al magazzino, prima che il prodotto entri nell’ultimo miglio). I consumatori traggono i vantaggi di una maggiore convenienza e concorrenza sui prezzi attraverso sistemi di marketing loyalty, siti web mobili e nuove piattaforme di pagamento, che continuano a trasformare l’esperienza del consumatore e l’efficienza delle attività di vendita al dettaglio.[8]

La digitalizzazione e gli strumenti ICT, inclusa la geo-localizzazione (tracciamento della posizione per un’offerta di prodotti e servizi selezionati e personalizzati), la vendita elettronica tramite dispositivi digitali, ed i nuovi servizi di consegna e raccolta adattati al cliente, contribuiscono a un’esperienza di acquisto multicanale che consente agli acquirenti di cercare rivenditori che offrono un’esperienza senza interruzioni online e offline. Questa nuova visione dei servizi prevede quindi la presenza di diverse modalità di interazione con i consumatori prevedendo la presenza di modalità di ingaggio combinate: online, nei punti vendita di strada, click and collect, applicazioni mobili, soluzioni elettroniche nei negozi, e a un servizio clienti offerto tramite diverse modalità[9] (Figura 1).

Figura 1. Nuova visione dei servizi commerciali nel rapporto con il consumatore.

 

Fonte. Elaborazione degli autori


Da una prospettiva locale, se per i negozi e le attività di vicinato queste nuove modalità operative rappresentano un valido aiuto per attirare i consumatori e intercettare nuovi clienti, allo stesso tempo la realizzazione di questa “visibilità digitale” richiede una capacità di investimento spesso non sufficiente per sostenere i costi fissi legati alla transizione (Überbacher et al., 2020).

In uno scenario di miglioramento dell’offerta di servizi di prossimità basati sul concetto della “città dei 15 minuti” sarà necessario sostenere un quadro di competenze e strumenti volti a sviluppare servizi condivisi di analisi del mercato locale a cui le imprese si rivolgeranno. Un quadro interessante deriva dal framework proposto dal progetto Urbact II Retailink: Innovative strategies to revitalise the retail sector, dove gli strumenti analitici place-based volti all’inquadramento dei pattern di consumo locale vertono su:

  • analisi della struttura della popolazione;
  • monitoraggio dei comportamenti dei consumatori;
  • monitoraggio delle preferenze e percezione del commercio.

In questo contesto è particolarmente rilevante la possibilità di mettere a disposizione di imprenditori e lavoratori i dati utili ad analizzare struttura economica dei quartieri e le caratteristiche socioeconomiche di chi li abita. Sulla base delle informazioni disponibili da fonti e statistiche ufficiali o generate appositamente: PIL pro capite; reddito disponibile e capacità di acquisto dei residenti e del bacino di utenza; struttura del mercato del lavoro locale. Sarà inoltre necessario rendere accessibili i dati sulle quote di destinazione del settore retail (prodotti locali e alimenti freschi, mercati, supermercati, centri commerciali, offerta di e-commerce locale, spazi coworking, altri servizi), l’eventuale offerta turistica, e gli spostamenti concentrati nel quartiere. Su una scala più ampia, è stata recentemente pubblicata una prima indagine sugli impatti della pandemia sul settore dei trasporti (Beria, 2020), facendo leva su una mole di dati fornita dal tool di Facebook “Data for Good”.

Con riferimento alla scala urbana, una accessibilità dei dati che includa anche i rapporti periodici di agenti immobiliari e associazioni di proprietari di immobili potrebbe permettere un monitoraggio più efficiente sui comportamenti dei consumatori in seguito alle contrazioni post-pandemia. Le modalità sono molteplici: utilizzo dei contatori di visite WiFi-based che rilevano dispositivi mobili IP; applicazioni mobile di monitoraggio del consumo dettaglio, e token digitali per registrare i singoli acquisti (il cliente accetta di utilizzare l’app e ottiene in cambio sconti speciali). Per monitorare le preferenze e la percezione del commercio saranno utili forme di valutazione funzionale, sensoriale o simbolica dell’esperienza di retail, da promuovere tramite survey online e offline sulla customer experience, sulle tipologie di acquisto di beni o servizi a bassa frequenza di acquisto (es. prodotti artigianali) o per acquisti quotidiani (es. prodotti alimentari).

Oltre il vicinato: innovazioni imprenditoriali di prossimità

Tra i numerosi esempi di politiche e iniziative sperimentate a supporto di innovazioni imprenditoriali che considerano le economie di prossimità in senso più ampio, possiamo menzionare due versanti in particolare:

  • un primo, che riguarda le organizzazioni a matrice comunitaria e le politiche energetiche da poco varante per stimolare investimenti in efficienza energetica;
  • un secondo, che riguarda le policy capaci di introdurre protocolli di “innovazione territorializzata” legati alle nuove tecnologie e alla valorizzazione di reti di prossimità.

Sul versante degli investimenti in campo energetico, vanno considerati come prioritari i recenti sviluppi sul mercato energetico europeo riconosciuti dalla recente direttiva UE RED II (direttiva n. 2018/2001), che hanno accelerato la definizione delle “comunità di energia rinnovabile”. Un processo di progressivo riconoscimento legislativo e regolamentare finalizzato a garantire la sostenibilità finanziaria di nuove iniziative con particolare riferimento al settore delle energie rinnovabili, responsabilizzando i cittadini, mobilitando il capitale privato e garantendo l’accettazione locale di nuove iniziative. In Italia il quadro regolativo di riferimento è la Legge n. 8 del 28 febbraio 2020 (promulgata convertendo il D. L. 162 del 30 dicembre 2019, “Decreto Milleproroghe 2020”), che ha introdotto la possibilità di creare comunità energetiche e attivare progetti di autoconsumo collettivo di energia da fonti rinnovabili, capaci di generare opportunità di sviluppo economico locale e lavoro come descritto dal rapporto Legambiente (2020) dedicato a osservare le iniziative pioniere del settore. È di recente introduzione l’investimento previsto di 2,2 miliardi di euro da destinare allo sviluppo di comunità energetiche e l’auto-consumo, inserita nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Governo Italiano, 2021), all’interno della Missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica), e specificata nel riquadro informativo M2C2, dedicato ai temi dell’energia rinnovabile, idrogeno, reti e transizione energetica e mobilità sostenibile. Nello specifico, l’intervento descritto dal PNRR individua i comuni con una popolazione inferiore ai 5 mila abitanti come target privilegiati della missione di sviluppo di nuove comunità energetiche.

Un esempio importante nel contesto italiano è la comunità cooperativa di Melpignano,[10] nata dalla collaborazione tra cittadini organizzati in forma cooperativa e l’amministrazione comunale. La comunità cooperativa ha l’obiettivo di gestire una rete di produzione di energia solare tramite pannelli fotovoltaici posizionati sui tetti degli edifici pubblici e privati della città, verso un’organizzazione e gestione collettiva di beni e servizi di comunità (Tricarico, 2016; 2018; 2021). La cooperativa, secondo lo Statuto (art. 5), ha la responsabilità di installare gli impianti e di provvedere alla loro manutenzione, gestendo la produzione di energia con metering adeguato alle necessità degli utenti e rivendendo l’eccedenza sul mercato. In realtà, l’organizzazione si configura come una potenziale struttura multi-utility, in quanto si prevede come oggetto di attività anche la distribuzione e la fornitura di gas combustibili e risorse idriche e la gestione dei servizi di rete. Da un punto di vista giuridico essa è configurabile come una tradizionale cooperativa mista (che contempla contemporaneamente produzione, lavoro e consumo). La realizzazione degli impianti ha funzionato grazie alla presenza di numerosi proprietari di tetti, i quali ne hanno ceduto l’uso alla cooperativa per 20 anni, ricevendo gratuitamente energia. L’acquisizione delle risorse finanziarie per l’investimento iniziale è avvenuta grazie ad un finanziamento erogato da Coopfond e da Banca Etica, ricevendo anche un piccolo contributo dalle sottoscrizioni associative. La capacità imprenditoriale della cooperativa ha permesso di ottenere sufficienti incentivi dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Tramite gli utili prodotti dalle attività la cooperativa sta riuscendo a ripagare gli interessi del finanziamento sull’investimento iniziale e a generare un fondo di investimento utile alle esigenze delle comunità locali. L’utilizzo degli utili viene stabilito dai soci e può essere destinato a interventi volti a favorire la rigenerazione dello spazio urbano: interventi di miglioramento del verde pubblico, rifacimento di superfici stradali, servizi di scuolabus, mense scolastiche.

Per quanto riguarda i protocolli di innovazione territorializzata legati alle nuove tecnologie, di particolare interesse è quello proposto dalla rete Fab City  e in particolare l’esempio di Parigi.[11] La Fab City Grand Paris è la sperimentazione parigina di un protocollo di sviluppo urbano globale denominato Fab city, un progetto in cui le città mirano a sviluppare strutture di produttività locale basate su partnership multilivello tra PMI, agenzie pubbliche e grandi imprese.[12]

Parigi e l’Ile-de-France hanno caratterizzato la declinazione del progetto Fab City mettendo in rete i movimenti di innovazione legate alle nuove tecnologie e al making, partnership tecnologiche con grandi imprese e le agenzie pubbliche attive nel campo delle politiche per la digitalizzazione, rigenerazione urbana ed economia circolare. Con l’obiettivo di produrre nuove sinergie locali tra questi attori con i settori della moda e tessile, della manifattura urbana e dell’agro-alimentare.

La struttura operativa è divisa in:

  • Laboratorio di ricerca fab city: uno showroom dedicato alla ricerca e ai corsi di formazione per transizione della città verso un modello produttivo circolare, supportato da infrastrutture e comunità locali, integrato in una rete internazionale di città che lavorano per gli stessi obiettivi.
  • Fab city store: struttura di supporto a designer, artigiani e produttori per sperimentazione di materiali sostenibili prodotti tramite filiera corta e riciclo, combinando la fabbricazione locale e la cooperazione globale.
  • Laboratorio alimentare e agricoltura urbana: per lo sviluppo di una rete di punti di produzione (mini fattorie urbane) e luoghi di trasformazione (cucine condivise collaborative) sul territorio di Parigi.
  • Prototipo fab city: il framework di strategia generale del progetto che agisce come proof of concept per analizzare gli scenari della produzione locale, circolare, distribuita, le sfide e le problematiche di un modello praticabile alla scala di una città o di un territorio.

Gestire percorsi di placemaking volti a trasformare la dimensione spaziale delle economie di prossimità

Un altro tema di grande rilevanza è quello del placemaking, ossia degli approcci multifunzionali alla pianificazione e alla gestione degli spazi pubblici e della loro interazione con gli spazi privati con forte attenzione alle pratiche d’uso del territorio (Crosta, 2010). Gli approcci di placemaking hanno il compito di promuovere, ispirare e creare spazi che siano utili alle persone nello svolgimento delle loro attività quotidiane. Il placemaking può essere considerato anche una forma emergente di politica territoriale per l’animazione culturale definita come creazione di luoghi creativi in cui organizzazioni artistiche e culturali si integrano con iniziative di sviluppo place-based nel lavoro di rivitalizzazione della comunità, mescolando la cultura con l’uso del suolo, i trasporti, lo sviluppo economico, l’istruzione, le politiche abitative, le infrastrutture e strategie di sicurezza pubblica. Si può quindi interpretare il placemaking sia come processo, sia come filosofia di progettazione capace di indirizzare iniziative di rigenerazione attraverso tre caratteristiche distintive (Turok, 2005):

  • l’obiettivo di cambiare la natura di un luogo e di coinvolgere nel processo comunità locale e attori che hanno un interesse nel suo futuro;
  • abbracciare molteplici obiettivi e attività che si intersecano con le principali responsabilità funzionali del governo locale, a seconda delle particolari problematiche e delle potenzialità dell’area;
  • sviluppare forme di collaborazione tra i diversi soggetti interessati, che possono variare a seconda dei settori inclusi nelle strategie e delle risorse pubbliche e private messe in campo.

Affrancandosi dal dibattito concettuale sul placemaking, si individuano due esempi di particolare interesse relativi a specifici progetti di rigenerazione urbana di spazi commerciali e artigianali: un esempio più indirizzato agli spazi privati ed un secondo caso rivolto agli spazi pubblici.

Sugli spazi privati, un esempio rilevante di approccio progettuale è quello promosso da Pop Up Lab  nelle attività di Sociolab, una cooperativa fiorentina specializzata nella ricerca e consulenza in ambito politico, sociale e della progettazione collaborativa. Il format Pop Up Lab è nato dal 2014 ed è stato replicato in dodici edizioni realizzate in numerosi Comuni tra le Province di La Spezia e Pisa, sino a coinvolgere capoluoghi quali Prato, Livorno e Grosseto. Pop Up Pal è un approccio sperimentale di placemakingvolto alla riapertura temporanea e stabile di attività commerciali, culturali, artigianali e ricreative che possono contribuire alla rivitalizzazione del tessuto commerciale privato e all’animazione dello spazio pubblico tramite interazioni virtuose tra reti e relazioni di imprenditori, associazioni ed enti locali. L’idea di Pop Up Lab, fin dalla prima edizione, è quella di riutilizzare temporaneamente i numerosi spazi sfitti e rilanciarli come luogo di aggregazione. Dopo l’individuazione dell’area di intervento e l’elaborazione di una strategia di rilancio, vengono mappati i fondi immobiliari sfitti dell’area, contattando conseguenzialmente i proprietari per stipulare accordi utili alla concessione gratuita degli spazi per un periodo dai tre ai cinque mesi ai migliori progetti commerciali, culturali o imprenditoriali selezionati attraverso una call for ideas. Una volta riaperti i fondi, si lavora alla costruzione di reti tra i diversi attori urbani e all’animazione dello spazio pubblico. I primi beneficiari nella riapertura dei fondi sfitti sono i proprietari ed i soggetti che si insediano gratuitamente per il periodo sperimentale (aziende, artigiani, associazioni). Sono quindi beneficiari indiretti le comunità in cui il progetto si inserisce, i residenti ed anche il tessuto commerciale esistente e la città in generale. Il successo del progetto Pop Up Lab ha stimolato misure regionali volte all’assimilazione di questo approccio nell’innovazione alle politiche pubbliche. Nel 2018, su sollecitazione dell’esperienza progettuale di Pop Up Lab, è stato definito un articolo del nuovo codice del commercio della Regione Toscana (L.R. 62/2018 art. 110) che permette ai Comuni di individuare aree particolari del proprio territorio nelle quali avviare percorsi innovativi di promozione e sostegno delle attività economiche attraverso il riutilizzo anche temporaneo di spazi inutilizzati a destinazione commerciale o artigianale e la possibilità di condividere gli spazi tra più attività commerciali.

Sul versante degli spazi pubblici, un esempio rilevante è quello fornito dalle attività dell’associazione di ricerca-azione culturale Dynamoscopio, costituita da ricercatori afferenti a diverse discipline di studio e produzione culturale (Tricarico et al., 2018). Il lavoro di ricerca che l’associazione ha condotto nel quartiere periferico di Giambellino a Milano, ha portato a un’approfondita indagine antropologica e storica dei principali nodi di socialità della vita del quartiere.

Il quartiere Giambellino si contraddistingue per una forte presenza di edilizia residenziale pubblica e da situazioni di povertà e precarietà, ma anche da un notevole protagonismo sociale grazie a diverse associazioni presenti sul territorio che cercano di contrastare il degrado sociale e culturale locale (Piva, 2006). Nel 2011 ha preso forma l’attività di documentazione sullo stato del mercato di Lorenteggio, per dar conto della situazione di degrado dello stabile e le difficoltà gestionali/finanziarie delle attività commerciali, tutte basate su un peculiare rapporto relazionale con il tessuto sociale locale. Da questo lavoro è emersa la difficoltà dei commercianti nel rispettare le direttive municipali che regolano l’esercizio di queste attività sia rispetto alle destinazioni d’uso, sia per le politiche di controllo dei prezzi e per le regole di somministrazione dei prodotti. Sempre nel 2011, con le licenze dei produttori in scadenza, l’associazione ha indetto una raccolta di firme per supportare la vertenza degli abitanti del quartiere, in merito alla preservazione ed il rilancio le funzioni originali del mercato, una forma di contributo “locale” nella definizione della strategia di ri-funzionalizzazione degli spazi. Con la riapertura del bando di gestione del mercato e vengono inserite alcune modifiche utili ad abilitare la partecipazione, sia di soggetti pubblici sia di soggetti consortili, inserendo l’obbligo di garantire il 10% degli spazi disponibili ad attività e organizzazioni culturali. Con l’obiettivo di mantenere e potenziare le funzioni originali del mercato, Dynamoscopio, in collaborazione con i commercianti, elabora una proposta articolata di attività e innovazione funzionale del mercato capace di soddisfare i criteri proposti dal bando. Nel 2013 Il consorzio ottiene l’assegnazione del mercato e viene dato il via ai lavori: la ristrutturazione viene effettuata per fasi mantenendo, durante i lavori, le funzioni commerciali operative, dove Dynamoscopio ha svolto funzioni di consulenza e mediazione con gli attori pubblici. La spesa per la ristrutturazione (circa 450 mila euro) viene coperta anche grazie all’attività di raccolta fondi svolta in cooperazione tra i diversi attori coinvolti nel consorzio e le associazioni culturali del quartiere. Parallelamente, il consorzio partecipa a vari bandi a fondo perduto, tra cui un bando di Fondazione Cariplo su rigenerazione e partecipazione delle comunità locali

Sostenere il ruolo di associazioni come Dynamoscopio significa dunque agevolare funzioni di coordinamento informale e approcci “emersivi” dei bisogni locali, orientati a garantire un’innovazione “dal basso” nell’utilizzo di spazi pubblici orientata a migliorare la qualità della vita del quartiere in una logica di prossimità.

Conclusioni

Per concludere, è importante ribadire alcuni concetti chiave utili a sostenere e implementare politiche di recovery e sviluppo urbano basato sulle economie di prossimità, di particolare rilevanza alla vigilia del Piano Next Genereation Eu e dell’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (2020). Al momento della stesura di questo articolo si dà atto della pubblicazione delle nuovo linee guida per la predisposizione del Recovery Fund nel contesto nazionale che rispetto ai temi trattati da questo articolo potrebbero trovare ambiti di applicazione nei programmi volti alla resilienza e al rilancio delle PMI come strumento di creazione di opportunità lavorative in contesti urbani e periurbani, dove gli approcci e strategie di sviluppo economico urbano legate alle economie di prossimità possono rappresentare un approccio inedito e fortemente legato alle trasformazioni in atto.

Se il trace and tracking sanitario avrebbe dovuto avere una funzione sempre più importante nella gestione epidemiologica, lo stesso principio dovrebbe applicarsi alla necessità di tracciare l’emergere di bisogni sociali ed economici da una prospettiva place-based al fine di sostenere:

  1. Un’offerta di servizi per orientare le PMI e le imprese sociali in questo momento di grave crisi, in cui il sostegno di strumenti condivisi di supporto alla digitalizzazione e all’analisi place-based della domanda di servizi potrebbe rappresentare un fattore chiave per garantire una resilienza capace di garantire la sopravvivenza e il rilancio di questa attività. Sarebbe opportuno integrare questi servizi con le iniziative di infrastrutturazione sociale condotte da organizzazioni del terzo settore e imprese sociali con particolare riferimento alle aree marginali del Paese, in particolare rispetto alle opportunità di veicolare politiche attive del lavoro per categorie di popolazione particolarmente colpite dalla crisi indotta dalla pandemia.
  2. Una domanda di innovazioni imprenditoriali volte a sostenere le relazioni virtuose tra attori economici in luoghi specifici. In questo punto le nuove opportunità di investimento nella transizione energetica e la sperimentazione di nuovi servizi di accelerazione imprenditoriale e professionale basato sulle nuove tecnologie sono esempi di rilievo (es. Fab City). In questo senso occorre una seria riflessione su come costruire un’agenda integrata di politiche capaci di combinare incentivi e sostengo a redditi e investimenti per categorie di lavoratori indipendentemente dalla loro posizione geografica, e politiche place-sensitive di carattere locale che possano attivare processi di capacity building e costruzione di network ed ecosistemi di innovazione (Beer et al., 2020; Rainnie et al., 2018).
  3. La sperimentazione di pratiche di placemaking in cui avviene una mediazione tra interessi immobiliari e di valore sociale prodotto nei processi di rigenerazione urbana, tramite lai valorizzazione di risorse ed ecosistemi locali di economia sociale e comunitaria, sostenendo l’infrastrutturazione sociale e l’integrazione tra servizi commerciali e iniziative culturali.

Un richiamo finale porta a suggerire che i cambiamenti indotti dall’emergenza sanitaria non diventino solo una parentesi temporanea, ma si conformino invece una palestra di innovazione orientata ai luoghi e ai legami di prossimità, per alimentare l’attitudine al cambiamento delle istituzioni (North, Wallis, 1994), dei meccanismi di produzione del valore e di ridiscussione della dinamica delle decisioni politiche e di riflesso nel design delle policy (Mazzuccato, 2018; Tricarico et al., 2021).

Note

  1. MP/A 2020, 30° Rapporto della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza, Lodi – Milano Produttiva.
  2. Città dimezzate: l’effetto smartworking su Milano, Lab24, Il Sole 24 ore, 2021; su dati estrapolati dal Community Mobility Report di Google.
  3. Indagine riportata da “Dataroom di Milena Gabanelli”, Corriere della Sera, 2020: Il Covid frena Milano: dai bar alla moda, danni all’economia per 10 miliardi. Le sfide da cui ripartire.
  4. Ibid., “Dataroom di Milena Gabanelli”, Corriere della Sera, 2020.
  5. Il “bonus affitti negozi 2020”, non cumulabile con il credito d’imposta previsto dal decreto “Cura Italia”, rientra in questo ventaglio di interventi incerti e altamente temporanei.
  6. Nell’ambito dei piani nazionali che i governi nazionali dovranno presentare per accedere ai fondi, come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentato di recente, la dimensione urbana degli interventi è identificata come prioritaria, così come le città in quanto attori ed attuatori dei progetti.
  7. Il valore di queste imprese è stato riconosciuto come prioritario nel contesto francese, dove un’azione congiunta del governo e Caisse des Dépots ha rilevato la proprietà di decine di migliaia di punti vendita di vicinato (non alimentari) e botteghe artigiane a rischio di chiusura in seguito allo scoppio della pandemia (Livini, 2020).
  8. Informazioni estratte da: Deloitte (2015), Global Powers of Retailing 2015: Embracing Innovation.
  9. Si veda anche: PWC (2015), Total Retail 2015: Retailers and the Age of Disruption.
  10. coopcomunitamelpignano.it
  11. Tra le città che hanno aderito riportiamo Barcelona, Zagabria, Shenzhen, Curitiba, Città del Messico, Amsterdam, Cambridge, Kerala, Sacramento, Belo-Horizonte, Brest, Boston, Tolosa, Parigi, Santiago, Seul e Detroit.

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