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Nell’ambito del percorso di ricerca sul welfare socio-culturale avviato da Percorsi di secondo welfare, abbiamo raccolto le considerazioni di Maria Stella Rasetti, direttrice della biblioteca comunale San Giorgio di Pistoia a proposito della funzione sociale delle biblioteche pubbliche locali, tema oggetto di dibattito a livello nazionale e internazionale.


Se dico biblioteca sociale…

Siamo nel posto giusto per parlarne. Alla San Giorgio incarniamo il modello della biblioteca sociale in salsa italiana, con una grandissima attenzione alle relazioni con le persone e alla partecipazione dei cittadini alla vita della comunità. Oggi – ad esempio – c’è la festa degli alleati della biblioteca. Nel corso di una piccola cerimonia, il sindaco premierà i cittadini e le associazioni che hanno offerto il loro tempo e il loro sapere per realizzare attività di educazione permanente per adulti e per ragazzi. Abbiamo un ventaglio di proposte decisamente ricco; è il sistema più ampio di educazione permanente della città. Ed è interamente gratuito.

Se lo confrontiamo con altri sistemi di educazione degli adulti che hanno fatto la scelta di puntare sull’educazione permanente, il sistema che abbiamo costruito qui alla San Giorgio ha caratteristiche peculiari. Per articolare le loro proposte, altre biblioteche strutturano un programma di corsi selezionando sul mercato esperti o scuole quotate. I cittadini accedono ai corsi versando una quota di iscrizione che copre i costi dei docenti, mentre i costi di struttura e di organizzazione vengono coperti dalla biblioteca. In questo modo la formazione ha un costo contenuto per chi vi partecipa. Nel nostro caso invece abbiamo cittadini esperti, magari professionisti iscritti a un albo, che gratuitamente offrono il proprio tempo nella realizzazione di un corso proposto gratuitamente ad altri cittadini. Sembrerebbe un’offerta piuttosto simile, in realtà cambia proprio la filosofia. La nostra biblioteca facilita l’impegno di cittadini attivi che progettano proposte non in un contesto docente-studente ma con l’idea di offrire un momento di scambio e di condivisione di idee.

 

Nel caso dei corsi a catalogo, sono previsti il corso di inglese, di francese, di tedesco, di spagnolo, e l’offerta è ben strutturata. Qui alla San Giorgio abbiamo il bridge e gli scacchi, ma non lo spagnolo, perché alcuni cittadini con quelle passioni ci hanno proposto quelle opportunità e altri cittadini si sono appassionati. Il nostro è un sistema disordinato, non iperstrutturato: nasce dal basso e valorizza l’intraprendenza delle persone nel mettere in circolo interessi e nel restituire qualcosa alla città.

Il “docente” di questi corsi è solitamente una persona coinvolta nella vita della biblioteca, che vive questi momenti non come un’occasione di profitto personale, ma con lo spirito di chi coltiva una passione. E i cittadini lo sentono: ci sono persone che fanno dei corsi ormai da anni, corsi che vengono continuamente richiesti, con docenti che finiscono per essere delle star in città. Il nostro corso con più edizioni si intitola “Niente panico, è solo ansia”. È curato da una psicologa che spiega come far fronte agli attacchi di ansia, e lo fa in modo molto divertente. Non lo fa da psicologa pagata, chiaramente ci mette il suo mestiere, la sua professione, ma lo fa in modo meno formale. Sembrano due modi simili in realtà sono molto diversi. Da noi si fa prevalere la preposizione “con”: i servizi non sono pensati “per” gli utenti, ma “con” gli utenti.

Possiamo dire che una biblioteca sociale collega interessi, curiosità, disponibilità presenti in una comunità?

Sì, e questo significa sviluppare maggiormente la dimensione di ascolto e porsi come produttori di un film in cui i cittadini sono registi e attori e fanno da sé la loro interpretazione. C’è differenza rispetto a vestire direttamente i panni del regista che tiene le briglie strette. Crediamo si tratti di un raccordo più alto che interpreta la biblioteca come un laboratorio di esperienze e di comunità, in cui ciascuno cresce assieme al personale della biblioteca e ricuce il grande divario tra cittadino e pubblica amministrazione. Nessun cittadino andrebbe all’anagrafe o al catasto a fare volontariato, o a chiedere se può mettere a posto le schede o le carte di identità, invece i cittadini in biblioteca vengono. Perché percepiscono la biblioteca come un progetto costruito anche da loro. La biblioteca è il posto dove ritrovarsi e stare insieme, dove ci sono tante persone e dove la comunità fa comunità. Quello che avveniva un tempo con le Case del popolo, e che ora succede raramente, succede qui. Questo grande laboratorio, politico, sociale, di elaborazione di idee, richiede che si condivida un percorso complicato ma estremamente innovativo.

In quali modi le biblioteche declinano il loro essere spazi sociali?

In molti modi, via via toccheremo quelli che concretamente pratichiamo qui. E parto da un evento recentissimo. Il 12 dicembre 2019 alla presenza del sindaco e di tante persone, è stato inaugurato il muro della gentilezza: una associazione, che lavora con noi, ha proposto di raccogliere cappotti e sciarpe e di renderli disponibili. Ragionandoci è venuto fuori che a Pistoia un posto di questo tipo poteva essere solo in biblioteca, perché è qui che le persone si sentono tutte uguali e mettono a disposizione il loro tempo o – in questo caso – le loro cose, in un progetto di condivisione, che è il fare comunità. Ma non la comunità intesa in senso superficiale: perché ognuno di noi ha radici diverse, c’è chi è bianco, c’è chi è nero, c’è chi viene da un’altra città.

Prendiamo gli amici della biblioteca: sono un’associazione di più di quattrocento persone, di cui stasera ne verranno premiati una cinquantina, e sono i volontari che sostengono la biblioteca. Ad esempio questa settimana dalla mattina alla sera hanno tenuto aperto il mercatino dei libri donati, e hanno raccolto un sacco di soldi che serviranno per fare iniziative o comprare nuovi libri.
I volontari poi fanno il prestito a domicilio. Vanno a coppie nelle case degli anziani a portare i libri e leggerli ad alta voce. C’è una signora di 99 anni che ogni settimana vuole i volontari che le leggano ad alta voce: “io non c’ho mica tempo da perdere, ho 99 anni”. I volontari la considerano un’esperienza straordinaria perché si mettono in relazione con persone che sono sole, alcune al limite dell’esclusione sociale, persone per le quali il giorno della lettura giorno è un giorno di festa perché viene qualcuno a trovarli, a parlare con loro.

Significa che noi come biblioteca tramite i nostri volontari portiamo un po’ di felicità. A questo punto possiamo chiederci se l’attività che realizzano è una attività sociale o culturale. Così come a proposito dei volontari che propongono letture negli studi pediatrici, nelle sale d’attesa, d’accordo coi pediatri, per sostenere le famiglie e orientarle nella lettura ad alta voce e proporre loro libri: svolgiamo un’attività sociale o promuoviamo la lettura? E poi i volontari curano i vari punti prestito della città, come ad esempio alla Coop. E, ancora i volontari poi gestiscono il librobus, che è il bibliobus al contrario: non è un pulmino che porta la biblioteca in giro, è un pulmino che tutti i giovedì va a prendere le persone a casa e le porta in biblioteca. Giovedì scorso era l’ultimo incontro dell’anno, sono venute signore eleganti ed è stata una festa bellissima: una nostra volontaria che di lavoro fa l’attrice ha recitato delle novelle della tradizione toscana. Ed è stato davvero bello, queste signore escono di casa e vengono qui a trascorrere del tempo, in compagnia, stanno con persone sorridenti che le fanno stare bene.

Invece cosa non chiedete ai volontari?

Alla San Giorgio i volontari non tengono aperta la biblioteca: figure non professionali non devono svolgere attività proprie del personale. La biblioteca non è uno spazio che si gestisce con un custode, è un insieme di servizi. Per questo non abbiamo mai voluto aprire impiegando persone che non facciano parte dello staff della biblioteca. I nostri volontari sono di supporto, e lo sanno: non vogliono fare il nostro lavoro. Nè pensiamo di aprire a vuoto: cioè uno spazio senza servizi. Ogni tanto ci arrivano le raccolte di firme “vogliamo che la biblioteca apra fin dopo cena”, ma se non ci sono le forze professionali interne, l’orario di apertura è limitato. Non immaginiamo aperture frazionate con riduzione di servizi e non ci immaginiamo uno spazio dove non ci sia lo staff dei bibliotecari a garantire il servizio.

Nel dibattito sul ruolo sociale delle biblioteche si discute di contrasto alla povertà. Cosa osservi a partire dalla tua esperienza?

Il muro della gentilezza che abbiamo inaugurato è un pezzo di questa storia. Ci sono tante forme di povertà, da quelle estreme a quelle meno visibili. In occasione del bilancio sociale abbiamo fatto una serie di interviste, e una mamma ci ha detto che era contenta che i figli venissero in biblioteca anche perchè – tra l’altro – così accendeva il riscaldamento alle sette di sera. Questa battuta ci racconta un vantaggio secondario che questa famiglia trae dall’uso della biblioteca. In uno spazio pubblico è essenziale evitare di etichettare la condizione personale: sappiamo che ci sono persone che trascorrono qui le giornate fredde ma non necessariamente è manifesto chi siano. La povertà è tante cose, molte ancora da scoprire, ma in questa biblioteca si riesce a rispondere a difficoltà che non sono immediatamente evidenti. Ad esempio la biblioteca viene usata – in accordo con i servizi sociali – come spazio protetto per l’incontro tra genitori e figli.

Avete quale forma di confronto o di collaborazione con i servizi sociali?

I servizi sociali sono nostri grandissimi alleati, noi dobbiamo continuamente imparare da loro come rapportarci o come intervenire su una certa situazione. Noi abbiamo una preparazione diversa e quindi per noi loro sono fondamentali per darci un lessico e delle imbeccate sull’approccio giusto da tenere in alcune situazioni.

Che collaborazione avete sviluppato con le scuole?

Il rapporto con le scuole è molto ben strutturato. Nella sezione ragazzi abbiamo una collega che si occupa delle attività con le scuole. La mattina abbiamo una o due visite di classi dal nido fino alle superiori, che fanno attività specifiche. Predisponiamo un calendario di moduli didattici standard tra i quali le insegnanti possono scegliere, ma c’è anche la possibilità concordare attività specifiche diverse. In genere i ragazzi partecipano volentieri alle nostre proposte, ma esprimono anche loro interessi. Nella costruzione di collaborazioni con le scuole medie e superiori c’è l’esigenza di ragionare, insieme con gli insegnanti, sulla scelta dei percorsi di lettura. Nello staff abbiamo persone che sanno proporre la biblioteca come risorsa, anche affrontando temi complessi. Ad esempio nei giorni scorsi abbiamo proposto un ciclo di presentazioni di una collana dedicata ai temi del gender e hanno partecipato diverse insegnanti, perché è un argomento che merita di essere affrontato insieme. Con le insegnanti lavoriamo anche sui bisogni educativi speciali, abbiamo una sezione per la lettura aumentativa e facciamo iniziative mirate.

 


Cosa rende una biblioteca accogliente?

Tra le cose interessanti ci sono i prestiti di cortesia: prestiamo occhiali da lettura, ombrelli, caricabatteria… E i prestiti non convenzionali: in questa biblioteca si trova un’artoteca, con opere donate da artisti locali. Prestiamo i computer portatili ma non siamo ancora partiti con i prestiti di cravatte o degli stampi da dolci. In America si prestano gli oggetti che capita di usare di rado: come gli stampi da dolci, le macchine da cucire, i trapani e gli sci…

Un’altra proposta interessante è quella del makerspace: abbiamo un American Corner finanziato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che sotto la presidenza Obama ha avviato un progetto di promozione della cultura statunitense. Così la nostra biblioteca è stata tra le prime in Italia a mettere a disposizione le stampanti 3D e oggi vengono da noi molti ragazzi di architettura per realizzare i loro plastici. Sempre nell’ambito dell’American Corner abbiamo sviluppato un progetto per ridurre il digital divide delle ragazze, dei giovani e delle persone in difficoltà. Abbiamo lavorato su questo tema realizzando un calendario di prima alfabetizzazione al mondo digitale per anziani, per bambini e per adulti. E sempre grazie a questa sponsorizzazione ospitiamo relatori di rilievo. Abbiamo ospitato una ingegnera della NASA, nata in un quartiere povero e poi è diventata scienziata (si è occupata tra le altre cose del rover Curiosity inviato su Marte). Sono venuti anche degli operatori della Lucas Film (Star Wars) e dei cori gospel. Il 21 dicembre 2019 realizzeremo una lezione concerto sui Christmas Carol… Insomma credo che una biblioteca sia un posto accogliente per somma di piccole attenzioni e proposte interessanti.


Qual è l’offerta per i bambini, le bambine, le famiglie?

Abbiamo una sezione ragazzi con tante attività per le famiglie, una sezione con una sua programmazione di film, spettacoli e incontri. Ci sono attività per bambini e genitori, altre solo per bambini o solo per genitori. Poi abbiamo i Winter Camps ed i Summer Camps che facciamo prendendo i ragazzi, un giorno dalle 9 alle 17, per fare una full immersion tecnologica: così si impara, ad esempio, a programmare, ad usare la stampante 3D o i kit Arduino…


Abbiamo accennato alle sponsorizzazioni. Che rapporto avete sviluppato con le aziende?

Il rapporto con le aziende è migliorato. Siamo più convincenti – soprattutto quest’anno – nel chiedere soldi per realizzare iniziative di qualità. E le aziende sono interessate a lavorare con noi. Un’azienda di vivaismo locale, ad esempio, ha allestito qui uno spazio e collabora nel realizzare iniziative. La collaborazione con le aziende è un traguardo da raggiungere ogni anno.

La biblioteca è uno spazio sociale, frequentato anche da chi ha l’esigenza di studiare…

Mi sta chiedendo che rapporto abbiamo con gli studenti universitari? La collocazione stessa della biblioteca San Giorgio è interessante, siamo prossimi all’Università di Pistoia… Quanto alla convivenza con gli studenti, la relazione tra chi studia e la biblioteca a volte è sofferta o poco compresa. Gli studenti sembrano avere un rapporto opportunistico con le biblioteche. Gli studenti universitari leggono i loro libri e passano qui le loro giornate. Ma anche questi ragazzi sono cittadini… E dobbiamo trovare il modo perchè, al di là del loro lavoro, trovino il modo di fare altro in biblioteca. Ad esempio, gli scacchi sono uno dei modi con cui abbiamo provato a catturarli: il giovedì pomeriggio c’è il maestro di scacchi, che è un nostro volontario. Agganciamo gli studenti con le iniziative e con i corsi: ma non è facile, sono come un gruppo di fruitori con una loro traiettoria dentro la biblioteca e al tempo stesso, però, sono una presenza costante e numerosa. I nostri grandi numeri sono fatti dalla somma di numeri diversi; arriviamo a 400.000 persone all’anno, un risultato fatto anche dalla presenza delle persone che qui trovano l’ambiente per studiare.


La biblioteca è un posto dove si può venire a lavorare? Ci sono professionisti che vengono coi loro computer e lavorano?

A volte sì a volte no. Questo fenomeno assomiglia a quello degli studenti universitari. Lavoro e biblioteca sono traiettorie che a tratti si incontrano. La biblioteca è uno spazio dove si viene a fare le proprie cose: si usano i servizi che ci sono, i bagni, internet, il bar o anche la bellezza degli spazi. Oppure a volte ci viene chiesto uno spazio per incontri. La fruizione di questo spazio non è a pagamento: abbiamo una stanza che usiamo per i piccoli corsi, ma visto che i corsi si tengono principalmente nella seconda parte del pomeriggio, la mettiamo a disposizione di persone che si trovano qui per riunioni di lavoro, anche perchè siamo vicini alla stazione. Ciò facilita l’incontro di professionisti locali con ospiti che vengono da fuori. Poi ci sono delle attività di lavoro che sono borderline – anzi, in realtà sono parecchio fuori dal bordo – perchè c’è il fenomeno degli insegnanti che fanno ripetizioni a pagamento in biblioteca.

La biblioteca è uno spazio a disposizione di iniziative promosse da altri?

Mi sta chiedendo se la biblioteca consente l’uso degli spazi come location per iniziative che non sono proposte dalla biblioteca? Solitamente non lo consentiamo. Abbiamo un auditorium che ogni tanto viene dato in affitto. Ma di norma proponiamo solo iniziative costruite insieme con altri. L’elemento qualificante è sempre un’iniziativa pensata con la Biblioteca. Al massimo può essere un evento del Comune: in quel caso diventa uno spazio per la città.

Nella prospettiva della biblioteca San Giorgio di Pistoia, in che relazione stanno sociale e culturale?

La biblioteca sociale e il tema della cultura… Mi chiedo se ha senso etichettare qualcosa come culturale e qualcosa come sociale. Per parte mia mi sono fatta un’idea precisa sul fatto che esista un rischio reale di etichettare la biblioteca sociale come biblioteca degli sfigati. Il luogo dove chi si trova in condizioni di minorità su vari livelli può trovare delle risposte, dove chi ha perso il lavore viene a seguire dei corsi sull’analisi delle competenze o dove chi è povero sta qui al caldo.

Se concepiamo la biblioteca sociale solo per chi è in difficoltà rischiamo di far scattare quel meccanismo di distanziamento: la persona che non si trova in difficoltà, smette di frequentare questo luogo: “non ci vado in quel posto che non è fatto per me”. Dobbiamo essere “multipli”, noi lo facciamo con l’offerta di servizi, con le iniziative e proviamo a sottolinearlo coi gadget: abbiamo fatto la “crema anti rughe per la mente”, abbiamo fatto la “scatola della propoli” con cinquanta buoni propositi, abbiamo fatto la “libromilla”.

Questo significa cercare di presentare la biblioteca come qualcosa di attrattivo, per tutti: per chi è fashion, per chi sta bene e per chi attraversa difficoltà. Cerchiamo di insistere attraverso tutti i canali, per raggiungere tutti. Stasera regaleremo, ai volontari, degli addobbi da mettere sull’albero, sono dei cerchietti di cartone con da un lato il disegno della biblioteca e dall’altro delle proposte di lettura. Abbiamo regalato la tazza della biblioteca e anche le borse: così avviciniamo la biblioteca a un pubblico di tutte le fasce sociali.

Anche nelle proposte culturali?

Sì, per esempio attraverso i contest. Il teatro comunale cittadino – che è stato uno dei nostri primi alleati – ci regala per ogni spettacolo che c’è in cartellone due biglietti. E noi regaliamo biglietti a chi vince vari contest tipo “indovina chi è l’autore” oppure “la migliore foto con un libro della biblioteca”. Iniziative che suscitano l’interesse di un pubblico variegato e danno della biblioteca un’immagine di agenzia che promuove cose interessanti. Credo sia essenziale evitare il labelling della biblioteca come luogo degli ultimi. Offriamo di tutto per tutti. Iniziative culturali “alte”: filosofia e teologia, ad esempio. Ad ottobre si tiene un festival straordinario che si intitola “L’anno che verrà”, dove presentiamo, attraverso le voci di editori e autori di livello nazionale, i libri che sono in uscita per l’anno successivo. Gli editori presentano i loro autori in anteprima, scoperchiano l’officina degli scrittori. Nel corso di questo festival sono stati presentati libri che hanno vinto il Campiello, o che sono stati finalisti al premio Strega. Neri Marcorè è venuto alla San Giorgio a leggere Gianni Rodari, e c’erano più di millecinquecento persone. Cerchiamo continuamente di mettere insieme l’alto ed il basso, in una continua contaminazione, in un continuo ribaltamento. Non vogliamo irrigidirci. La biblioteca ha la forma dell’acqua.


Come è nata l’idea della biblioteca pubblica San Giorgio?

Io sono un’ereditiera, perchè sono arrivata e ho trovato la biblioteca San Giorgio già costruita… Però ho ereditato una struttura che poteva anche essere un buco nell’acqua, una cattedrale nel deserto. L’ho presa in mano sei mesi dopo la sua inaugurazione. L’idea della San Giorgio è nata da una grande idea del mio predecessore, Maurizio Vivarelli, che ora insegna biblioteconomia all’università di Torino che è stato un genio nell’immaginare (nella sua testa) e nel far immaginare (agli amministratori dell’epoca) un sogno di cui ancora non si sentiva parlare.

Il progetto ha preso avvio all’inizio del 2000, ed è stato completato nel 2007. Antonella Agnoli avrebbe scritto le Piazze del Sapere nel 2009 sulla scorta dell’esperienza della biblioteca di Pesaro. Chi ha ideato e ha deciso di realizzare la biblioteca pubblica San Giorgio ha intuito che andavano rotti equilibri tradizionali nel modo di fare biblioteca. Avevamo – e ancora abbiamo in città una biblioteca storica. Una biblioteca del 1600, con fondi antichi e meravigliosi, come la prima edizione della Divina Commedia. Una biblioteca di studio e di ricerca che non operava come biblioteca pubblica.

Il salto è stato pensare ad una struttura contemporanea che lasciasse da parte una dimensione conservativa, di tutela (ancora perfettamente in funzione), per guardare il mondo in un un modo diverso, per concepire lo spazio le architetture di pubbliche con una prospettiva nuova: mettere al centro le persone. Da qui l’idea della piazza, dove si chiacchiera, dove c’è tanto rumore, dove c’è il bar (il più attivo di Pistoia). Naturalmente c’è anche uno spazio di studio dove si esercita la tradizionale funzione di biblioteca, dove si studia in silenzio. Però accanto alla funzione tradizionale si è immaginato un approccio di rottura che rompesse gli schemi: quello del silenzio, del bibliotecario in cattedra e persone di là. Un approccio che spingesse la progettualità degli stessi utenti. L’attuale biblioteca pubblica è il risultato: io ho ereditato un progetto innovativo e l’ho lavorato con tutto lo staff per trasformarlo in realtà quotidiana.


Quali ingredienti favoriscono l’innovazione?

Personalmente venivo da un’altra biblioteca, non avevo un’esperienza di questo tipo. Immaginavo che una biblioteca dovesse fare la biblioteca: presentare i libri, valorizzare i libri, incentrarsi sull’oggetto libro, valorizzando in ogni possibile la lettura. Qui ho dovuto cambiare mentalità: lo imponeva la struttura e le azioni che rendeva possibili. La struttura era – ed è – innovativa. E questo ci ha spinti a cambiare format di servizio, a cambiare modo di essere, a cambiare le parole e i progetti.

Chi anima una biblioteca sociale?

In questa biblioteca volontari e alleati immettono un’energia straordinaria. Ma negli anni, iniziativa dopo iniziativa, noi bibliotecari siamo cambiati. Come si fa a non avere voglia di lavorare nella biblioteca sociale più bella del mondo? Si entra in un giro contagioso di entusiasmo e positività che fa sì che ci sia sempre una squadra straordinaria di gente che lavora moltissimo, gente sorridente e disponibile. Siamo tutti dipendenti comunali e lavoriamo con molto impegno. In una biblioteca sociale tutto quello che sembra lavoro in realtà diventa passione.


Si possono fare foto?

Più foto ci fanno, più siamo felici!