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Come possiamo favorire l’abitabilità di Ligonchio, incidendo sulla restanza e sulla ritornanza, offrendo nuove opportunità di lavoro e di vita?

Circa 40 persone hanno passato un intero weekend a chiederselo. Ligonchio è una frazione di Ventasso, Comune dell’appennino tosco-emiliano classificato come area interna “ultraperiferica” dalla Strategia Nazionale Aree Interne 2020. Le persone che hanno provato a rispondere a questa domanda non sono di Ligonchio: provengono da tutta Italia, e hanno partecipato a uno degli 8 workshop che rappresentavano una componente fondamentale del Social Enterprise Open Camp (SEOC) 2025, svoltosi dal 28 novembre al 1° dicembre tra Torino, Cuneo e le Langhe.

Anche noi di Percorsi di Secondo Welfare, in qualità di media partner, abbiamo preso parte all’evento. Di seguito vi raccontiamo un po’ di cose interessanti che abbiamo visto e capito.

Cos’è il SEOC?

Il SEOC, giunto nel 2025 alla sua sesta edizione, è un’iniziativa internazionale di formazione e networking dedicata all’imprenditoria sociale e all’impact investing, nata con l’obiettivo di favorire l’incontro tra attori dell’economia sociale, della filantropia innovativa e della finanza a impatto. Il Camp si propone come uno spazio di confronto qualificato per rafforzare competenze, costruire relazioni e reti e stimolare la generazione di nuove progettualità nel campo dell’innovazione sociale.

L’iniziativa è ideata e promossa da OPES Fund, una realtà che opera in Italia, Europa e Africa fornendo capitali pazienti e supporto manageriale a giovani imprese sociali che si rivolgono ai bisogni delle persone a basso reddito. Ma il Camp è poi realizzato con il supporto di un vasto network di soggetti attivi nell’ecosistema dell’economia sociale e della cooperazione internazionale, con l’intento di accompagnare la crescita delle imprese a impatto e contribuire allo sviluppo di un ecosistema più solido, interconnesso e orientato al cambiamento sistemico.

L’obiettivo del SEOC è duplice: da un lato rafforzare le competenze degli operatori del settore, dall’altro favorire la nascita di nuove collaborazioni e connessioni trasversali tra attori del non profit, del mondo imprenditoriale e della finanza. Proprio per questo il pubblico coinvolto è ampio e composito: imprenditori sociali, aspiranti innovatori, studenti universitari, operatori della cooperazione internazionale, investitori, comunicatori sociali, rappresentanti istituzionali e del mondo accademico.

L’edizione 2025, a cui hanno partecipato circa 400 persone, era dedicata al tema del Systemic Change: in pratica, come affrontare le cause strutturali dei problemi sociali e ambientali attraverso approcci integrati, capaci di intervenire sulle dinamiche organizzative, culturali ed economiche? Tra i temi di approfondimento figuravano, tra gli altri, i modelli di welfare territoriale, la sostenibilità delle filiere, le nuove forme di finanziamento e il rafforzamento della governance delle organizzazioni, in un’ottica di impatto duraturo e generativo.

Farsi tante domande: il format del SEOC

Il SEOC è strutturato come un percorso formativo intenso, immersivo e residenziale della durata di 4 giorni. Il programma si articola in sessioni plenarie – con keynote speech, panel e momenti di dibattito – e in workshop tematici basati su casi studio di 8 imprese sociali provenienti da diverse aree geografiche. I partecipanti lavorano in gruppo, guidati da workshop leader e knowledge advisor, approfondendo temi chiave legati allo sviluppo organizzativo, alla sostenibilità economica e alla generazione di impatto sociale e ambientale. Tutte occasioni preziose per farsi domande, stimolare il confronto e approfondire queste diverse dinamiche.

I casi studio selezionati per il SEOC 2025 testimoniano la portata internazionale del Camp e la sua attenzione a guardare all’economia sociale da punti di vista diversi e attraverso ambiti operativi concreti anche molto diversificati. Qualche esempio? Il caso di Circular11, impresa del Regno Unito che trasforma plastiche non riciclabili o a basso valore in materiali compositi che sostituiscono il legno nelle costruzioni e nelle strutture outdoor (recinzioni, panchine, fioriere, arredi da esterno, ecc.). Oppure Kalatà, un’impresa culturale-sociale italiana di Mondovì che investe nel patrimonio storico e artistico trasformando beni culturali poco valorizzati in esperienze di visita guidata coinvolgenti e accessibili (visite alle cupole, castelli, itinerari “inediti”); con un approccio che unisce rigore storico, comunicazione creativa e fruizione popolare. O, ancora, l’esperienza di Smart Havens Africa, che in Uganda realizza abitazioni sostenibili a basso costo per famiglie a basso reddito, in particolare donne capofamiglia, utilizzando tecniche costruttive a basso impatto ambientale, con un modello “rent-to-buy” che consente di diventare proprietari senza accesso al credito tradizionale.

Questi, come gli altri casi studio, mostrano concretamente cosa significa “fare impresa sociale” in termini di azioni reali, investimenti, rischi. E anche l’impronta dei workshop è molto concreta: ogni gruppo è stato guidato da domande simili a quella sull’abitabilità di Ligonchio da cui siamo partiti, proposta dalla Cooperativa di Comunità San Rocco (che è nata con la volontà di porsi come protagonista nello sviluppo territoriale di Ligonchio). Le realtà impiegate come caso studio, infatti, sono arrivate al SEOC raccontando le loro storie e attività, ma anche condividendo criticità, sfide e preoccupazioni. Chi ha partecipato al SEOC ha lavorato a ritmi serrati per individuare possibili direttrici di sviluppo e sostenibilità.

Ma a cosa serve, quindi, parlare di Ligonchio?

Adesso dovrebbe sorgere una domanda: perché, se vivi e lavori in Kenya, dovrebbero interessarti le sfide dell’economia circolare nel Regno Unito? Se sei un cooperatore di Cagliari, che cosa ti spinge a chiederti come rendere Ligonchio più abitabile? La risposta, in breve, è che tutte le imprese sociali – ovunque lavorino – hanno bisogno di porsi continuamente domande, perché solo così possono individuare nuovi ambiti di lavoro, dinamiche emergenti, esigenze senza risposte, sfide future.

Come raccontano gli organizzatori sul sito – e come confermano diversi partecipanti intervistati – il SEOC è un’occasione per fare networking, conoscere nuove persone e stringere nuove relazioni fra professionisti e fra organizzazioni. Il SEOC dà poi l’opportunità di ascoltare rappresentanti autorevoli dell’economia sociale a livello mondiale. “E non è facile, in Italia, trovare così tanti relatori di così alto livello in un evento”, puntualizza un partecipante. Tutti, in sostanza, hanno la possibilità di imparare qualcosa al SEOC: le imprese che fanno da casi studio per i workshop tornano a casa con nuove idee e prospettive – anche molto concrete – per orientare il proprio sviluppo. Chi partecipa ai workshop ha la possibilità di confrontarsi con altre realtà, più o meno simili, e di mettere in comune domande, criticità, esigenze.

Sebbene il SEOC richiami esperienze molto distanti fra loro, infatti, il tema del cambiamento sistemico è globale. Cambiano i contesti, ma i problemi sono spesso simili: dalla carenza di risorse – in particolare di fondi unrestricted – alla difficoltà nel reperire personale, fino alla necessità di intercettare i bisogni reali delle comunità. D’altra parte il confronto con realtà diverse permette di individuare anche dinamiche assolutamente peculiari di alcuni territori/contesti.

Prendere parte a occasioni formative come il SEOC, dunque, significa prendere parte attivamente al dibattito nazionale e internazionale in seno all’economia sociale, recependo da un lato criticità e bisogni, e dall’altro approcci e idee innovative in corso di sviluppo. Non è un caso, per esempio, che anche diverse organizzazioni filantropiche italiane ed europee abbiano trovato qui uno spazio di confronto e conversazione, come testimoniato dai numerosi panel, interviste e conversazioni dedicati al dibattito filantropico. È proprio in spazi ibridi come questo che approcci trasformativi come la filantropia basata sulla fiducia – tema ricorrente di questi 4 giorni piemontesi – possono essere scoperti, discussi e apprezzati. E, auspicabilmente, sperimentati nei propri contesti di riferimento.

 

Foto di copertina: Uladzislau Petrushkevich, Unpalsh.com