Mancano 5 anni al 2030 e i dati non sono incoraggianti. Il 18% degli obiettivi è regredito al di sotto dei livelli di riferimento del 2015 e il 17% non ha registrato miglioramenti1. Per quanto riguarda il divario finanziario, guardando solo ai Paesi in via di sviluppo, servono 4.000 miliardi di di dollari all’anno per colmare questo gap, che potrebbero diventare 6.400 nel 2030 in assenza di riforme sostanziali del sistema globale.
Guardando ai finanziamenti pubblici, il contesto generale peggiora rapidamente. USAID sta affrontando tagli al bilancio superiori all’80% (Percorsi di Secondo Welfare ne ha parlato qui, ndr) e l’OCSE prevede un forte calo dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (ODA – Official Development Assistance) nel 20252. Allo stesso tempo, il mercato privato degli investimenti a impatto in Europa, pur raggiungendo i 190 miliardi di euro in asset diretti, rappresenta ancora una frazione minima rispetto alla finanza tradizionale (2.5%)3.
Di fronte a questa emergenza, la domanda non è solo “quanto capitale serve?”, ma soprattutto “quale tipo di capitale può davvero fare la differenza?”. La risposta passa attraverso un concetto chiave: l’addizionalità. Secondo uno studio di Impact Europe, il 62% del capitale investito presenta tratti di addizionalità, un dato incoraggiante ma che lascia spazio all’aumento degli interventi più trasformativi. Capiamo meglio di cosa si tratta.
L’addizionalità: una logica di supporto trasformativa
Quando si parla di addizionalità degli investitori, ci si riferisce alla contribuzione del finanziatore che porterà, o ha portato, ad effetti positivi che non si sarebbero verificati in assenza dell’investimento stesso. Quando vi è addizionalità, si generano cambiamenti positivi più duraturi, e maggiori sono i benefici sociali e ambientali.
L’addizionalità si manifesta in due dimensioni complementari. La addizionalità non finanziaria riflette un coinvolgimento attivo da parte dell’investitore che migliora le prestazioni di impatto delle organizzazioni supportate. L’addizionalità finanziaria si esprime, invece, attraverso una maggiore propensione al rischio, un orientamento al lungo periodo, una flessibilità negli strumenti finanziari offerti, e/o condizioni di finanziamento agevolate.
E quando l’addizionalità si esprime nella sua dimensione finanziaria, può assumere la forma di “capitale catalitico”.
Capitale catalitico: addizionalità in azione
Il capitale catalitico mira a colmare le lacune lasciate dalla finanza tradizionale e/o dal settore pubblico. Catalizzare investimenti aggiuntivi è un criterio per definire il capitale catalitico, tuttavia non il solo. La vera essenza del capitale catalitico è, infatti, il suo potenziale di produrre un impatto positivo addizionale che altrimenti non sarebbe stato generato4.
ll capitale catalitico è propenso al rischio: si concentra su soluzioni innovative, mercati e geografie emergenti, tecnologie non provate, e si inserisce in contesti che la maggior parte degli investitori preferisce evitare. È paziente e supporta le organizzazioni sia nella fase di seeding (prototipazione e validazione) che di scaling (espansione e crescita), senza pressioni per performance finanziarie a breve termine. È flessibile: si adatta alle esigenze specifiche di ogni contesto attraverso strumenti finanziari diversificati (grant, equity, debito, garanzie) e modifica le proprie strategie in base all’evoluzione delle necessità delle organizzazioni finanziate. Inoltre, accetta deliberatamente rendimenti inferiori a quelli di mercato in cambio di impatto positivo addizionale, favorendo la sostenibilità di lungo periodo delle soluzioni.
Secondo Convergence, rete globale che si occupa di blended finance, se investito strategicamente il capitale catalitico potrebbe mobilizzare 286 miliardi di dollari da investitori privati, sette volte di più rispetto a quello che in un anno realizza la finanza per lo sviluppo e per il clima, e quattordici volte di più di quello che riportano annualmente le Banche Multilaterali di Sviluppo (MDBs) e le Istituzioni Finanziarie per lo Sviluppo (DFIs).
Ma questo potenziale può essere liberato solo attraverso un cambio di mentalità che parta, anche, dalla fiducia. Ed è qui che entra in gioco la trust-based philanthropy.
Trust-based philanthropy: circolo virtuoso, tra addizionalità e capitale catalitico
Molta della narrazione propria dell’addizionalità e del capitale catalitico è presente nei principi alla base della trust-based philanthropy.
Favorire la flessibilità nell’approccio, non costringendo le soluzioni innovative dentro schemi rigidi, pensati per contesti diversi. Ridefinire il rischio, accettando che l’innovazione comporta fallimenti, che l’apprendimento richiede sperimentazione e che i tempi di maturazione di soluzioni sistemiche sono lunghi. Fornire supporto non finanziario: expertise tecnica, connessioni all’interno del proprio network e accompagnamento strategico. Ma anche, e soprattutto: costruire relazioni di fiducia, basate su rispetto e trasparenza, riconoscendo l’expertise delle organizzazioni sul campo attraverso un dialogo continuo e la valorizzazione della conoscenza locale. Adottare modelli partecipativi che trasferiscono il potere, posizionando le organizzazioni finanziate al centro delle decisioni strategiche. Non gravare eccessivamente sulle organizzazioni che si supportano, semplificando i processi di due diligence, riducendo gli oneri amministrativi, snellendo il reporting, al fine di liberare tempo ed energie da dedicare al perseguimento della mission.
La trust-based philanthropy è dunque un approccio che non solo abilita ma genera naturalmente addizionalità su entrambi i fronti, finanziario e non.
Partire dalla fiducia significa quindi generare addizionalità. Generare addizionalità significa liberare il potenziale del capitale catalitico. E questo non è solo un modello più efficace: è l’unico modello in grado di affrontare la complessità delle sfide che abbiamo di fronte. Il tempo per agire è adesso. E la domanda non è più se possiamo permetterci di cambiare approccio, ma se possiamo permetterci di non farlo.
Note
- Per approfondire si rimanda a The Sustainable Development Goals Report 2025 delle Nazioni Unite.
- Per approfondire si veda anche il Report OECD Cuts in official development assistance
- Per approfondire: The Size of Impact di Impact Europe
- Per approfondire si veda Catalysing Impact. Catalytic Capital in Europe White paper di Impact Europe