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Raramente il mondo del volontariato è al centro di indagini e rilevazioni sistematiche. Eurostat segna un primo passo fondamentale per conoscere meglio questo panorama variegato e per provare, per la prima volta, a mettere a confronto i numeri del volontariato nei diversi Paesi membri dell’Unione Europea.

Attraverso dati EU-SILC (Statistics on Income and Living Conditions, il sistema statistico europeo che approfondisce le dinamiche di povertà e le condizioni di vita) riferiti al 2015, l’Eurostat ha realizzato un approfondimento volto a misurare alcuni indicatori relativi alla cittadinanza attiva e alla partecipazione nella produzione del benessere della comunità: attività formali e informali di volontariato, attivivismo, integrazione con amici e parenti e impossibilità di confrontarsi con qualcuno per discutere di problemi personali.

La rilevazione ha coinvolto tutti gli Stati membri dell’Unione e diversi Paesi non membri geograficamente compresi nel territorio del continente e si è concentrata sulla popolazione di età maggiore ai 16 anni. I diversi temi sono letti anche attraverso la lente del genere, dell’età, del livello di istruzione e della fascia di reddito. In questo articolo vi raccontiamo i dati principali.

Volontariato formale e informale

Lo studio di Eurostat si è concentrato innanzitutto sulla percentuale di popolazione coinvolta in attività di volontariato formale – cioè svolto presso organizzazioni di ispirazione sociale, religiosa, politica, ecc. – e informale. Come mostra la figura 1, la media europea per il volontariato informale si attesta al 22,2% e per quello formale al 19,3%. Quasi dappertutto – anche se con significative eccezioni – il volontariato organizzato tende ad essere meno diffuso; le differenze variano significativamente da Paese a Paese rispecchiando concezioni culturali e sociali differenti del volontariato.

Figura 1. Partecipazione ad attività di volontariato (formale e informale), 2015
Fonte: Eurostat.

Tra i Paesi più virtuosi di questa particolare “classifica” si situano i Paesi Bassi (82,5% di volontariato informale e 40,3% di volontariato formale), la Finlandia (74,2% informale e 34,1% formale) e la Svezia (70,4% informale e 35,5% formale). Agli ultimi posti troviamo invece Malta e Cipro, dove sorprendentemente il volontariato formale è molto più diffuso di quello informale (Cipro: 2,6% volontariato informale e 7,2% volontariato formale; Malta: 0,9% informale e 8,8% formale).

L’Italia “che ricuce” (come è stata definita dal Presidente della Repubblica qualche mese fa) è in fondo alla classifica: al 22esimo posto su 28, con solo l’11,2% della popolazione coinvolto in volontariato informale e il 12% in attività formali.

Il livello di istruzione appare dappertutto come una dimensione rilevante per la propensione a donare ad altri il proprio tempo (v. figura 2): se in Europa l’11,5% della popolazione con una formazione primaria è coinvolto in attività formali di volontariato, la percentuale è più che raddoppiata per la popolazione con un’istruzione elevata (28,4%). La stessa dinamica si riproduce per il volontariato informale (da 14,6% a 29,6%). Il genere e l’età non permettono invece di rilevare differenze significative nella partecipazione ad attività di volontariato.

Figura 2. Partecipazione ad attività di volontariato (formale e informale), per livello di istruzione, 2015Fonte: Eurostat.

La “Cittadinanza attiva”

Un altro argomento affrontato dalla rilevazione è la cittadinanza attiva nei Paesi UE, intesa come coinvolgimento in attività collegate a gruppi politici, associazioni o partiti (ad esempio: partecipare ad uno dei loro incontri o firmare una petizione). In merito, in Europa è “attivo” il 12,8% della popolazione (v. figura 3). Anche qui si registrano differenze significative: tra i Paesi più attivi troviamo Svezia (31,3%), Paesi Bassi (25,3%) e Francia (24,8%); i Paesi in cui la cittadinanza attiva è meno presente registrano invece percentuali molto inferiori alla media (Cipro 2,1%; Slovacchia 2,8%; Romania 3,6%).

Anche in questo caso un crescente grado di istruzione influenza la propensione al coinvolgimento degli individui in attività pubbliche, specialmente in Paesi dove la cittadinanza attiva è particolarmente diffusa (in Francia la differenza tra cittadini attivi con un livello basso e alto di istruzione è di 27,5 punti percentuali). Anche il reddito appare come una variabile particolarmente influente: più il reddito cresce più i cittadini tendono ad essere attivi. La dimensione del genere non evidenzia invece variazioni significative, nonostante quasi dappertutto siano gli uomini a far registrare percentuali più elevate di partecipazione.

Figura 3. Cittadinanza attiva, per livello di istruzione, reddito e genere, 2015Fonte: Eurostat.

L’importanza dell’ascolto: discutere dei problemi personali

L’ultimo dato che vi raccontiamo è riferito alla percentuale di popolazione che in Europa e nei singoli Stati membri non ha qualcuno a cui rivolgersi per discutere dei propri problemi. Dallo studio emerge che in media il 5,9% della popolazione europea ritiene di non avere amici, parenti o vicini a cui chiedere aiuto e confronto in caso di problemi personali (v. figura 4).

Figura 4. Persone che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto, 2015Fonte: Eurostat.

Il dato sorprendente è che è proprio l’Italia il Paese in cui le persone hanno manifestato maggiori difficoltà a trovare aiuto e ascolto presso amici e parenti (13,2% della popolazione); segue il Lussemburgo (12,9%). All’altro capo della graduatoria si situano Repubblica Ceca e Finlandia, Paesi in cui solo l’1,9% della popolazione ritiene di non poter fare affidamento sulla propria rete relazionale in caso di difficoltà.

Anche in questo caso l’istruzione e il reddito sembrano essere dinamiche che influenzano significativamente l’isolamento sociale. Mediamente, infatti, in Europa la percentuale di popolazione con un basso livello di istruzione che non ha nessuno a cui chiedere aiuto è tre volte più grande della popolazione con un alto livello di istruzione; allo stesso tempo, la percentuale di popolazione con reddito più basso e senza la possibilità di confrontarsi con qualcuno sui propri problemi è più che doppia rispetto alla popolazione con un reddito elevato.

Alcune considerazioni conclusive

I dati illustrati rappresentano un primo tentativo di analizzare il volontariato in forma comparata tra i diversi Stati membri dell’Unione Europea. Gli elementi emersi contrastano in parte con l’immagine che la ricerca e i giornali ci danno di alcuni Paesi europei: paesi scandinavi con un welfare avanzato ma una cultura spiccatamente individualista; l’Italia che, pur appoggiandosi ad un welfare familistico che scarica sulle famiglie la maggior parte della responsabilità nel campo del benessere – o forse proprio in virtù di questa caratteristica – è più pronta a prendersi cura della propria comunità.

La speranza è che la rilevazione si ripeta – visto che al momento è definita come una ricerca ad hoc, che non prevede aggiornamenti futuri – e che provi a rendere conto delle differenze più significative in base al Paese, al genere, al livello di istruzione e reddito.

Riferimenti

L’indagine curata da Eurostat