Negli Stati Uniti, i tagli ai programmi federali di raccolta e diffusione dei dati pubblici decisi dall’amministrazione Trump stanno avendo conseguenze profonde sul lavoro di centinaia di organizzazioni non profit. Su Percorsi di Secondo Welfare abbiamo già raccontato di come questa “guerra ai dati” potrebbe causare “danni duraturi” all’intera economia statunitense e, ora, un’inchiesta del Chronicle of Philanthropy si concentra su quello che sta avvenendo in settori come il non profit e la filantropia.
Per la testata specializzata statunitense, la riduzione delle risorse dedicate a censimenti, rilevazioni socio-economiche e banche dati nazionali rischia di privare il settore sociale di una delle sue principali bussole: la conoscenza dei fenomeni che intende affrontare.
Per molti osservatori, si tratta di una crisi silenziosa ma potenzialmente devastante, che mette a rischio la capacità del terzo settore di pianificare interventi basati sull’evidenza e di valutare i risultati raggiunti. In un momento in cui le disuguaglianze sociali si accentuano e le risorse pubbliche diminuiscono, perdere punti di riferimento affidabili significa brancolare nel buio.
Un’infrastruttura invisibile ma essenziale
Molti enti filantropici e organizzazioni sociali si basano su informazioni prodotte da agenzie federali come il Census Bureau, il Bureau of Labor Statistics o il Department of Housing and Urban Development. Questi dati permettono di conoscere con precisione la diffusione della povertà, i livelli di disoccupazione, la condizione abitativa o l’accesso ai servizi sanitari.
Grazie a queste informazioni, le organizzazioni possono indirizzare meglio i propri interventi, valutare l’impatto delle politiche pubbliche e individuare i territori o i gruppi sociali più vulnerabili. Si tratta dunque di un’infrastruttura invisibile ma cruciale, che sostiene quotidianamente il lavoro di chi si occupa di welfare e sviluppo comunitario.
L’amministrazione Trump, tuttavia, ha ridotto in modo significativo i finanziamenti destinati a queste attività.
Tra i tagli più discussi vi è quello all’American Community Survey, una delle indagini più complete sulla composizione sociale ed economica del Paese, considerata indispensabile da economisti, sociologi e operatori sociali. Allo stesso tempo, diverse agenzie federali hanno subito limitazioni nell’accesso e nella condivisione dei dati, rendendo più difficile per il pubblico e le organizzazioni civiche ottenere informazioni tempestive e comparabili.
“I dati sono come le strade che percorriamo: sono l’infrastruttura di tutto ciò che facciamo”, ha affermato Meghan Maury-Fox, direttrice del progetto Funders for the Future of Public Data. E, ora, questa infrastruttura rischia di crollare.
Un settore che rischia di “agire alla cieca”
Per numerosi enti non profit, la perdita o la riduzione di queste fonti significa dover operare senza una base informativa solida. “È una catastrofe per molte organizzazioni, e per alcune è un vero e proprio disastro”, ha affermato John G. McNutt, professore emerito dell’Università del Delaware, esperto di terzo settore. Senza statistiche nazionali affidabili, ha avvertito, le organizzazioni sono costrette ad “agire alla cieca”.
Chi lavora nella lotta alla povertà, nel sostegno all’infanzia o nell’inclusione abitativa si trova oggi con indicatori meno aggiornati o del tutto assenti.
Secondo l’inchiesta, le realtà più piccole sono le più penalizzate: non hanno risorse per condurre proprie indagini e dipendono quasi interamente dai dati pubblici. Alcune grandi fondazioni filantropiche, come la Ford Foundation o la Annie E. Casey Foundation, hanno cercato di reagire finanziando progetti di raccolta dati indipendenti o piattaforme di condivisione di informazioni. Ma si tratta di iniziative frammentarie, spesso limitate a singoli temi o aree geografiche, che non possono sostituire un sistema pubblico coordinato.
Libertà d’informazione minacciata
Gli esperti sottolineano anche il rischio democratico della situazione: quando le informazioni sono incomplete o poco accessibili, diventa più difficile chiedere conto alle istituzioni e misurare l’efficacia delle politiche pubbliche. La mancanza di dati aperti e affidabili indebolisce il dibattito pubblico e riduce la capacità della società civile di proporre soluzioni basate sull’evidenza.
“Quando i dati sono indeboliti, navighiamo a vista”, ha spiegato a Chronicle of Philanthropy Leslie Boissiere, vicepresidente degli affari esterni della Annie E. Casey Foundation.
Il caso statunitense dimostra quanto la disponibilità di dati accurati e continuativi sia un bene pubblico essenziale, alla base non solo della ricerca e della pianificazione economica, ma anche della giustizia sociale. La raccolta di informazioni statistiche affidabili consente di rendere visibili i fenomeni di esclusione e disuguaglianza che altrimenti resterebbero invisibili.
Per questo motivo, molti osservatori hanno parlato di “taglio alla conoscenza”: ridurre gli investimenti nella produzione di dati significa indebolire la capacità collettiva di capire il presente e immaginare politiche future. Come ha spiegato a Chronicle of Philanthropy Alonzo Plough della Robert Wood Johnson Foundation, “quando dati scientificamente validi vengono rimpiazzati da miti e disinformazione, la vera essenza della libertà d’informazione è minacciata”.