4 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Il 23 aprile su Corriere Buone Notizie, inserto settimanale del Corriere della Sera, è stata pubblicata un’inchiesta curata da Percorsi di secondo welfare sul sistema cooperativo italiano. Di seguito trovate l’articolo di contesto di Paolo Riva, giornalista del Corriere, e l’l’infografica curata da Sabina Castagnaviz sui dati annuali di CSVnet; qui invece trovate una riflessione del nostro Valentino Santoni sul ruolo della cooperazione nel campo del secondo welfare.

Non una nicchia, ma una parte importante della nostra economia. Che ha retto bene la crisi e fa sempre più parte di una strategia di sviluppo del Paese. È l’immagine delle cooperative italiane che emerge dal primo rapporto Istat-Euricse dedicato a struttura e performance del settore nel 2015.

In Italia, le cooperative sono 59.027, occupano poco meno di 1,2 milioni di addetti, che rappresentano il 7,1% dell’occupazione totale delle imprese, e generano un valore aggiunto di 28,6 miliardi di euro (al netto delle cooperative del settore finanziario e assicurativo). Le cooperative più diffuse, quasi la metà del totale, sono quelle di lavoro, seguite da cooperative sociali, d’utenza o consumo e del settore primario.

“Per la prima volta, con questo rapporto – commenta il presidente di Euricse Carlo Borzaga – abbiamo un riferimento definitivo sulle dimensioni del settore cooperativo, per smettere di sottovalutarlo e per smentire alcuni stereotipi negativi, come quello sulle condizioni di lavoro”. Per lo studio Istat-Euricse, i lavoratori dipendenti delle cooperative sono soprattutto donne (52%), tra i trenta e i 49 anni (58,5%) e in più di otto casi su dieci hanno un contratto a tempo indeterminato.

Quello dei posti di lavoro è un tema centrale anche per capire come è stata affrontata la crisi. Secondo il presidente dell’Alleanza delle Cooperative Maurizio Gardini, “le cooperative hanno rappresentato un argine alla perdita di occupazione”. “Sacrificando utili e patrimonializzazione, nelle nostre imprese gli occupati sono cresciuti del 17%, mentre sono diminuiti di oltre il 6% in tutte le altre società”, ha dichiarato all’assemblea dell’organizzazione lo scorso febbraio, citando proprio il rapporto Istat-Euricse. A crescere in maniera simile è stato anche il numero delle cooperative, che nel 2007 erano 50.691.
 

La cooperazione ha un sistema di crescita anticiclico. Durante la crisi, siamo stati resilienti e abbiamo tutelato innanzitutto i soci lavoratori”, spiega Stefano Granata, presidente di Federsolidarietà e CGM, consorzio che raggruppa oltre 700 realtà in tutta Italia. Secondo Borzaga, è il tipico caso di ricadute indirette positive che il settore garantisce alla collettività. “Non riducendo e addirittura aumentando gli occupati, le cooperative hanno generato un risparmio per lo Stato in termini di ammortizzatori sociali non erogati. Ma ci sono anche altri esempi. Le coop sociali di tipo B, che danno lavoro a persone fragili, producono, in media, 4mila euro di risparmi di spesa pubblica per addetto. Le cooperative agricole, in Trentino e in Alto Adige, garantiscono una cura del territorio attenta e capillare. E così via”.

Per il presidente di Euricse, poi, la cooperazione sociale ha fatto moltissimo per cogliere i bisogni dei territori e trasformarli in servizi. Granata è d’accordo: è questa la strada su cui continuare, ora che la crescita avuta tra il 2007 e il 2015 si è esaurita, attestandosi su livelli decisamente inferiori. “Da un lato – argomenta – la crisi ha accelerato un processo già in atto: l’aumento delle dimensioni delle nostre imprese. Dall’altro, le cooperative, soprattutto quelle sociali che rappresento con Federsolidarietà, sono andate maggiormente sul mercato, non lavorando più solamente in appalto con le pubbliche amministrazioni, ma cercando clienti tra i privati, aziende e cittadini. È un bene perché, così, si aprono opportunità enormi”.

Certo, esistono anche delle criticità. Le cooperative sono ormai presenti in tutto il paese, ma la capacità di generare ricchezza non è uniforme, con differenze ancora significative tra Nord e Sud. C’è poi il tema delle false cooperative. Si stima che impieghino circa 100mila addetti, arrecando un grave danno di immagine a tutto il comparto che, infatti, sta chiedendo a gran voce l’approvazione di una legge di iniziativa popolare per contrastarle.

“Ne abbiamo bisogno come il pane. Oggi, quando parliamo di cooperative, la gente si mette le mani nei capelli”, commenta Granata. Una maggiore credibilità, invece, sarebbe fondamentale in questo frangente. Secondo il presidente di CGM la sfida per il futuro è rispondere in maniera sostenibile ai bisogni emergenti, cui lo Stato non riesce più a far fronte da solo. La cura degli anziani è un esempio e, già oggi, le cooperative che si occupano di sanità e assistenza sono quelle che impiegano più addetti e generano il maggior valore aggiunto. E i margini di crescita sono ampi, per esempio, nell’ambito del welfare aziendale. “In questa fase, dobbiamo investire e per farlo abbiamo bisogno di un sistema pubblico, ma anche privato, profit, in grado di immettere capitale nel nostro settore. Alle istituzioni, non chiediamo tanto interventi specifici per la cooperazione, quanto piuttosto di essere coinvolti in quei processi che andranno a costruire nuove risposte per i nuovi bisogni della società”. Anche il professor Borzaga, che studia il fenomeno da tempo, è ottimista riguardo al futuro. “Dopo una fase di involuzione negli anni del fordismo, la cooperazione sta tornando ad assumere un’importanza crescente come modello dell’attività economica. E questo perché mette al centro il fattore umano e l’interesse generale”.

Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del 23 aprile 2019 ed è stato realizzato nell’ambito della collaborazione tra Percorsi di secondo welfare e il settimanale del Corriere della Sera.