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Durante il XVII Workshop sull’impresa sociale di Iris Network, svoltosi a inizio settembre a Riva del Garda sul tema "Identità è valore: oltre l’impatto", è intervenuto anche il Presidente di Fondazione Cariplo Giovanni Fosti. Partendo dai contenuti del suo intervento, abbiamo chiesto a Fosti di raccontarci meglio il proprio punto di vista sull’impresa sociale italiana, sulla sua capacità di generare innovazione e, soprattutto, sugli aspetti legati alla valutazione, che ricorrono spesso quando si parla di questa realtà e, più in generale, di Terzo Settore. Ecco cosa ci ha detto.


Nel suo lavoro di ricerca all’Università Bocconi lei si è spesso occupato di questioni legate al mondo non profit – penso ai processi di innovazione dei sistemi di welfare, alle nuove forme di gestione dei servizi sociali e sociosanitari, ai network di programmazione e offerta dei servizi e, più recentemente, delle tematiche legate alla Long Term Care – che vedono protagoniste anche le imprese sociali. Ci racconta brevemente qual è il suo punto di vista su questi soggetti?

Penso che le imprese sociali siano tra gli attori più vicini al territorio e ai bisogni delle persone; lo possono essere molto più di altri, perché la loro attività si manifesta in modo molto concreto in servizi di cui le famiglie hanno bisogno, per la cura e l’assistenza. Credo che le imprese sociali che producono maggior valore siano quelle che hanno così fortemente incorporato la loro mission nel loro DNA da non aver nemmeno bisogno di affermarlo: si vede a colpo d’occhio, e quotidianamente, per ciò che fanno e per come lo fanno; indirizzano il valore delle loro azioni verso i loro beneficiari, le loro comunità e a chi vi lavora all’interno, in modo molto coerente. Ma vale anche il contrario: ci sono imprese sociali che sono talmente prese dall’esigenza di dichiarare e raccontare a loro stesse e al mondo la loro natura sociale da non concentrarsi sulla produzione di valore per i loro destinatari, per le comunità e per chi lavora all’interno. 

Sta quindi alla nostra capacità distinguere tra quelle che sono in grado di produrre valore sociale e quelle che lo sono meno; in questa capacità, c’è un elemento importante per il Paese, perché sostenendole promuoviamo innovazione sociale, dando vita a cose che altrimenti non accadrebbero e certi bisogni rimarrebbero non soddisfatti. Da questo punto di vista Fondazione Cariplo ha avuto il grande merito di dedicare molta attenzione a queste organizzazioni, capaci spesso di dare risposte a bisogni concreti; credo debba continuare a concentrarsi e mantenere questa attenzione e anzi darsi l’ambizioso compito di essere sempre più attenta nel sostenere e promuovere l’innovazione dei soggetti che desiderano creare valore per le nostre comunità.

Ci spiega meglio come Fondazione Cariplo in questo momento sta sostenendo l’imprenditoria sociale?

Accanto ai tradizionali contributi che la Fondazione Cariplo assegna con diverse modalità, siamo intervenuti, ad esempio, non a grant, fornendo una dotazione patrimoniale alla Fondazione Social Venture – Giordano dell’Amore. È uno scatto in avanti, in un mondo che sta crescendo e che ha bisogno di un sorta di “Venture Capital sociale”. Dobbiamo aiutare le imprese sociali ad attrarre risorse ed essere sostenibili dal punto di vista finanziario; servono risorse economiche ma anche competenze nuove, per questo motivo la Fondazione non si limita al classico contributo, ma va a fondo nella progettazione, e arriva a sostenerne il capacity building, ad esempio. 

Dobbiamo portare contaminazione di conoscenza; le competenze sociali devono trovare uno spazio in un mondo governato da processi e conoscenze legate al digitale. Ci sono bellissimi esempi di imprese sociali che sanno fare innovazione tecnologica tra cui una start up sta realizzando una cintura di precisione in grado di guidare un non vedente nel camminare; un’altra sta realizzando un dispositivo per facilitare il prelievo del sangue ai bambini ed anziani. Così si cambia davvero la vita delle persone. Tutto questo produce valore.

Anche durante il Workshop sull’impresa sociale è stato spesso richiamato il tema della valutazione come strumento per ricalibrare l’azione delle imprese sociali. È una questione di cui in generale si parla molto nel Terzo Settore e su cui tra l’altro le Fondazioni di origine bancaria hanno puntato molto negli ultimi anni, soprattutto nel campo del welfare. Ritiene che questa sia ancora la strada giusta de seguire?

La valutazione è un dispositivo cruciale per il funzionamento dell’impresa sociale, delle organizzazioni e delle Fondazioni di origine bancaria. Detto questo dobbiamo metterci d’accordo nell’individuare il bisogno a cui la valutazione risponde. La valutazione può rispondere a bisogni molto diversi: al bisogno di imparare, di conoscere, di rendere conto, di migliorare. Non credo che si possano promuovere processi ambiziosi di innovazione sociale senza dispositivi seri di valutazione. In questo senso occorre stare molto attenti a distinguere tra la valutazione che fa crescere il sistema e la valutazione che si presta a un dibattito sterile.

Diffido dei dibattiti sulla valutazione che non siano ancorati a delle aspirazioni progettuali, all’idea di promuovere e supportare percorsi di miglioramento nel dare risposte ai bisogni delle persone e delle comunità. Io ripartirei da qua: se vogliamo creare valore per le persone e le comunità abbiamo bisogno di imparare e comprendere a che punto siamo e definire a che punto vogliamo arrivare, quindi gli obiettivi.

L’elemento cruciale della valutazione non sta tanto nel risultato finale in cui si verifica come è andata, e cosa è stato fatto, perché rischia di essere un guardare all’indietro senza un punto di riferimento vero; ma piuttosto è importante il momento iniziale in cui si dichiarano gli obiettivi, senza i quali non è possibile valutare i risultati. Credo che avere organizzazioni che hanno il coraggio di esprimere gli obiettivi significhi avere organizzazioni che hanno anche il coraggio di porsi l’ambizione di ottenere dei risultati. Più noi usiamo la valutazione come uno dei dispositivi che ci obbligano a dichiarare gli obiettivi, più siamo costretti a chiederci in anticipo perché quegli obiettivi sono importanti e perché creano valore per la comunità; avremo così una base solida su cui incardinare la valutazione e avremo fatto della valutazione un elemento per migliorare i nostri progetti.