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In un contesto segnato da crisi complesse e da un progressivo arretramento delle risorse pubbliche, la filantropia è chiamata a svolgere un ruolo sempre più rilevante a supporto del bene comune. Perché questo potenziale si realizzi, occorre però superare l’approccio caritatevole e frammentario ancora diffuso, promuovendo pratiche più intenzionali e orientate al cambiamento.

La filantropia è, infatti, un campo complesso: richiede di interpretare bisogni diversi, valutare alternative, definire obiettivi realistici e mettere in gioco tempo e competenze che molti donatori faticano a trovare.

Per approfondire la questione, nell’ambito di un Master in Philanthropic Studies presso l’Università di Kent, ho condotto una ricerca qualitativa sulle sfide e le opportunità della consulenza filantropica in Italia. L’indagine, realizzata nel 2024 coinvolgendo 8 grandi donatori e donatrici italiani, conferma le difficoltà del sistema: le intenzioni non mancano, ma spesso non si traducono in percorsi coerenti. Pesano la scarsità di strumenti e riferimenti affidabili, il timore di sbagliare, il sovraccarico informativo e, non di rado, un senso di isolamento decisionale. Anche reti personali, famiglia e pari incidono molto: possono accelerare il percorso, ma talvolta finiscono per sostituire un confronto più competente.

Ripensare la filantropia: trovare un equilibrio tra emotività e strategia

Di fronte a queste difficoltà, molti grandi donatori italiani si avvicinano alla filantropia con un approccio prevalentemente caritatevole, orientato a rispondere a bisogni immediati, mentre faticano a sviluppare percorsi capaci di promuovere cambiamenti strutturali. Le motivazioni sono autentiche e profonde, ma difficili da tradurre in scelte consapevoli e percorsi strutturati.

Per orientarsi, molti donatori si appoggiano a relazioni informali, che raramente consentono di sviluppare strategie strutturate, oppure intraprendono percorsi di autoformazione, che richiedono enormi risorse ed energie. Altri provano ad applicare logiche manageriali, ma senza un quadro dedicato rischiano di generare più frustrazione che risultati. Per questo serve una logica filantropica autonoma, capace di integrare motivazioni personali, etica e visione strategica.

Dalla motivazione al significato: la filantropia come esperienza trasformativa

La ricerca qualitativa che ho condotto mostra che, pur mossi da intenzioni autentiche, i donatori italiani raramente hanno vissuto il dono come esperienza di piena realizzazione personale. Il gesto nasce da motivazioni profonde, ma non sempre evolve in un percorso capace di generare soddisfazione.

È ormai chiaro che la filantropia non è solo una decisione economica: rappresenta un viaggio personale e relazionale, modellato da storie individuali e influenze sociali. Quando il percorso si allinea a identità e valori, può diventare un’esperienza trasformativa che rafforza la motivazione, genera crescita personale e contribuisce a uno scopo collettivo. Il passaggio a un impegno strutturato rende centrale la ricerca di significato, che richiede tempo, obiettivi chiari e confronto competente: senza questi elementi, il senso di realizzazione resta per molti un traguardo lontano.

Accompagnare i percorsi dei donatori: il potenziale della consulenza filantropica

In questo contesto si inserisce il ruolo del consulente filantropico. L’esperienza internazionale mostra che, se ben strutturata, la consulenza aiuta a superare molte barriere: incertezza iniziale, frammentazione dell’impegno, mancanza di tempo, difficoltà nel definire priorità e strumenti e nel valutare l’impatto.

Nei Paesi anglosassoni e in Svizzera, la crescente diffusione di percorsi formativi, reti professionali e standard condivisi ha reso l’advisory parte integrante dell’ecosistema filantropico. Anche senza un riconoscimento giuridico formale, questo ruolo è sempre più visto come un’infrastruttura relazionale capace di rafforzare l’allineamento tra intenzioni e comportamenti, sostenere la motivazione e amplificare l’impatto.

Nel “caso Italia” il quadro che emerge dalle interviste è frammentato. I donatori raccontano che consulenti finanziari, legali o di impatto raramente avviano conversazioni sul dono strategico, lasciandoli spesso senza riferimenti chiari. Molti donatori preferiscono tenere filantropia e gestione patrimoniale su piani distinti per evitare possibili conflitti di interesse. Allo stesso tempo, la mancanza di percorsi formativi e linee guida etiche condivise è percepita come un limite che indebolisce la qualità e la legittimazione del servizio.

Non sorprende quindi che i partecipanti alla ricerca conoscessero poco la figura del consulente filantropico, pur riconoscendone il potenziale. Dalle loro testimonianze emerge un’aspettativa chiara: se accompagnati da un professionista competente, neutrale e orientato all’ascolto, i donatori potrebbero vivere la filantropia con più coerenza e continuità. In particolare, immaginano una consulenza capace di offrire:

  • Empatia e capacità di costruire fiducia, come base per un rapporto autentico;
  • Competenze tecniche e culturali specifiche sulla filantropia, per orientare scelte complesse;
  • Indipendenza da attori finanziari o organizzazioni beneficiarie, a garanzia di imparzialità;
  • Approccio non prescrittivo, che favorisca autonomia e significato nelle decisioni.

Queste aspettative delineano con chiarezza non solo il potenziale del consulente filantropico, ma anche la responsabilità che questo ruolo comporta. Se svolta con rigore e sensibilità, la consulenza può infatti rispondere in modo efficace alle barriere emerse nella ricerca: mancanza di tempo e riferimenti chiari, timore di sbagliare, difficoltà nel definire priorità strategiche, pressione sociale e frammentazione dell’impegno. In pratica, uno spazio sicuro di ascolto, confronto e pianificazione, dove i donatori possano chiarire le proprie intenzioni, individuare obiettivi realistici e trasformare l’impulso iniziale in un percorso solido, coerente e gratificante nel tempo.

Verso un ecosistema del dono più consapevole

Perché la filantropia esprima pienamente il suo potenziale, deve essere affrontata in modo più consapevole e professionale. Servono infrastrutture adeguate: percorsi formativi per advisor, standard etici condivisi, luoghi di confronto tra pari per i donatori e una maggiore apertura del sistema finanziario al tema del dono come bene comune.

Per i grandi donatori, questo significa riconoscerne la complessità, prendersi il tempo per riflettere e, quando necessario, affidarsi a supporti qualificati. Anche il confronto con altri donatori può ridurre l’isolamento decisionale e favorire l’apprendimento reciproco. Per i consulenti filantropici, invece, la sfida è duplice: da un lato c’è una grande opportunità di diventare punti di riferimento credibili e autorevoli in un campo ancora poco presidiato; dall’altro, la responsabilità di offrire un accompagnamento competente, indipendente ed empatico, capace di rafforzare il potenziale trasformativo del dono senza sostituirsi alle scelte individuali.

Promuovere questa figura in Italia significa investire in un ecosistema capace di valorizzare l’impegno dei donatori e accompagnarli in percorsi intenzionali e duraturi. La consulenza diventa così un luogo di co-costruzione, in cui professionalità, empatia e visione strategica aiutano a vivere la filantropia con più coerenza, soddisfazione e capacità di generare cambiamento.

 

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Foto di copertina: Kelli Sikkema, Unsplash.com