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Michele Bianchi, autore del Working Paper “Cooperative di comunità, nuove forme di sviluppo e welfare locale”, in questo articolo ci racconta alcuni degli elementi più rilevanti del suo lavoro di ricerca sulle cooperative di comunità: realtà impegnate nel soddisfare i bisogni socio-economici di specifici territori grazie a reti collaborative nate dal basso e formate da diversi stakeholder locali. 



Un nuovo fenomeno per l’Italia

Da più di dieci anni, in Italia, si parla di “cooperative di comunità”, una nuova forma d’impresa collettiva che svolge ruolo di rigenerazione delle economie locali e animazione sociale dei propri territori. Sebbene nel nostro Paese il movimento cooperativo possa vantare una lunga storia le cui origini risalgono alla metà del XIX secolo, non si è mai verificato prima che il modello cooperativo si saldasse così esplicitamente con i temi dello sviluppo di comunità.

Questo è dovuto sicuramente all’assenza nel dibattito politico e sociale italiano della tematica specifica dello “sviluppo di comunità”, un tema molto più consolidato nel contesto anglo-sassone sin dagli anni ’60 (Craig et al 2011). La cooperazione, infatti, si è sempre basata sullo scambio mutualistico tra i propri membri e la cooperativa stessa. Queste nuove forme invece ampliano il gruppo di beneficiari considerando ogni residente della comunità come un potenziale destinatario di questo beneficio (Bianchi 2019).

Similmente, le cooperative sociali hanno svolto un ruolo significativo nel creare nuovi sistemi di welfare locali, sia attraverso al co-programmazione nei piani di zona che con la co-progettazione di nuovi interventi (Fazzi 2013), oltre che essere parte di un nuovo modello di sviluppo locale (Bernardoni e Picciotti 2017). Ciononostante, l’indirizzo che queste cooperative hanno sempre avuto è stato quello di generare valore ed impatto sociale per la società nella sua interezza e non per specifiche parti, come invece fanno le cooperative di comunità che si rivolgono a determinati territorio contraddistinti da un’identità sociale. Le cooperative sociali operano inoltre per soddisfare specifici bisogno come l’assistenza socio-sanitaria, educazione o integrazione nel mercato del lavoro per categorie svantaggiate; le cooperative di comunità operano con una pluralità di servizi per migliorare lo sviluppo socio-economico di un territorio (Mori e Sforzi 2018).

Queste caratteristiche distinguo chiaramente le cooperative di comunità da altri modelli ed è per questo motivo che si è ritenuto utile implementare l’analisi di tale modello cercando di comprenderne gli elementi essenziali per definirne il valore in termini d’innovazione sociale, contribuzione allo sviluppo locale sostenibile e per valutarne il ruolo all’interno del panorama del secondo welfare.


Innovazione sociale dal basso

Il significativo cambiamento nell’approccio da parte dei cittadini al modello cooperativo, con conseguente suo utilizzo nelle dinamiche di sviluppo locale, coincide con il fermento civico per la cura dei beni comuni a seguito di referendum sull’acqua pubblica del 2011 (Borzaga e Zandonai 2015) e alla concomitante drastica riduzione del potere di spesa e azione delle amministrazioni locali (Visco 2018). La nuova forma d’impresa rappresentata dalle cooperative di comunità sta dando possibilità alle forze civiche di organizzare dal basso nuovi servizi per il soddisfacimento di alcuni dei bisogni socio-economici delle proprie comunità attivando reti di collaborazione con diversi attori del territorio.

Quali sono gli elementi che le contraddistinguono? Primo elemento caratteristico è l’uso di risorse locali, come immobili pubblici non più usati dagli enti locali, beni comuni come le risorse naturali o il patrimonio culturale, oppure la creazione di nuove infrastrutture per servizi ai cittadini come la produzione di energia sostenibile (Bartocci e Picciaia 2013; Bianchi e Vieta 2019; Burini e Sforzi 2020). Secondo elemento, queste imprese nascono da gruppi sociali radicati nelle loro comunità che desiderano implementare soluzioni “dal basso” per problemi locali, soprattutto di natura economica, a cui però affiancano anche un desiderio di rinsaldamento dei legami sociali di comunità (Mori e Sforzi 2018; Bianchi e Vieta 2019). Terzo, al fine di potenziare la portata del loro progetto, i gruppi di cooperatori creano reti locali di collaborazione con i cittadini ed altre organizzazioni locali, sia pubbliche che private, al fine di poter meglio comprendere i bisogni delle proprie comunità, poter progettare interventi mirati utilizzando risorse strategiche del territorio e meglio condividere i benefici derivanti dalle attività della cooperativa. Per meglio comprendere il lavoro di questo realtà, il paper analizza cinque casi studi posizionati in diverse regioni e in contesti sia urbani che rurali per poter mettere in evidenza tratti comuni e particolarità di ogni realtà.


Cinque casi studio

Il working paper "Cooperative di comunità, nuove forme di sviluppo e welfare locale" mette in evidenza come le cooperative di comunità possano essere considerate una forma di secondo welfare. Il paper presenta parte dei risultati della ricerca di tesi di dottorato dell’autore e compara cinque casi studio. Di seguito sono riportati in breve le descrizioni di queste cooperative.

  • AnversiAmo, ad Anversa degli Abruzzi (AQ), nasce dalla collaborazione tra due cooperative storiche del territorio ha portato alla creazione di un terzo soggetto nel 2018. Questa cooperativa si prefigge l’obiettivo di salvare il paesino dallo spopolamento con nuove forme di turismo e riattivazione di terreni abbandonati per la cultura degli ulivi.
  • Brigì è situata nel comune di Mendatica (IM), sulle Alpi liguri, la cooperativa Brigì si occupa di turismo slow totalmente incentrato sulle ricchezze del proprio territorio: le bellezze naturali, la vicinanza al mare e i prodotti tipici. Questa impresa inizia nel 2015 da un gruppo di giovani residenti uniti dalla comune esperienza di volontariato nella Pro Loco del paese, l’idea nasce proprio dai limiti di azione di questa associazione.
  • La Paranza opera a Napoli, nel Rione Sanità, ha più volte conquistato l’attenzione di media, istituzioni e ricercatori per l’incredibile lavoro fatto nel suo quartiere. Il Rione Sanità è da sempre considerato una via di mezzo tra il centro e la periferia di Napoli. Tra le testimonianze più antiche della presenza umana in questa zona vi sono le Catacombe di San Gennaro, dove furono conservate per diversi secoli i resti del santo protettore della città. In questo contesto di forte marginalità e fragilità sociale, è nato un progetto molto ambizioso che oggi ha dimostrato come la cultura può salvare il destino di molte persone e di un rione considerato per decenni un ghetto.
  • Il PostModernissimo, a Perugia, è stato il primo esempio di “cinema di comunità” in Italia. La storia di questo progetto s’inserisce, quasi per caso, in dinamiche molto più ampie di rinascita di un quartiere per mezzo del lavoro dei propri cittadini che hanno creduto tanto al loro potenziale di attivatori sociali. L’esperimento ben riuscito di quattro amici che hanno deciso nel 2014 di riaprire una di queste sale storiche fondata agli inizi del ‘900 e sperimentare l’idea di un cinema di comunità costruendo la propria offerta culturale con un’ampia rete di soggetti del territorio e con una stretta collaborazione con l’associazione dei residenti.
  • Sulla scia delle esperienze argentine delle emprese recuperade por su trabajadores, a Trezzano sul Naviglio (MI) Ri-maflow ha unito operai e raltà del territorio per un progetto di “fabbrica aperta”. Anni di lotte e di esperimenti di autogestione hanno fatto nasce questa società di mutuo-soccorso operaio e cooperativa di comunità. Col passaggio in un nuovo stabile nel 2019, la cooperativa ha intensificato le proprie attività, sia produttive come gruppo di artigiani ospitati nello stabile e la distillazione dell’amaro partigiano, che di lotta sociale e politica con la rete nazionale Fuori Mercato.


Perché le cooperative di comunità sono una forma del secondo welfare


Alla luce dei dati raccolti e delle considerazione inerenti le informazioni emerse, nel paper di spiega perché è possibile vedere anche le cooperative di comunità come una forma di secondo welfare. In sintesi, il motivo di tale affermazione risiede anzitutto nella loro mission, volta al perseguimento dell’interesse collettivo delle proprie comunità estendendo i benefici del mutualismo cooperativo anche a soggetti non membri delle organizzazioni. A ciò si aggiunge il fatto che queste cooperative hanno degli obiettivi non prettamente economichi ma ibridi. Si deduce dai dati raccolti che i cooperatori non si associano al fine di organizzare la produzione di beni e servizi ma che questi sono impostati come subordine di un obiettivo più ampio che è il rigenerare il senso di comunità e il benessere di questa attraverso l’azione cooperativa.
 
 


Riferimenti Bibliografici