3 ' di lettura
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Le vacanze per me significano soprattutto leggere, in particolare romanzi (meglio se storici) e, se capita, qualche saggio “leggero” – che non richieda posizione eccessivamente “verticali” per essere capito – oltre a qualche articolo o newsletter “flaggati” in attesa di tempi migliori. Durante i mesi di lavoro, infatti, mi capita spesso di rinunciare a leggere per piacere, tanta è la mole di di mail, bozze, proposte, contratti, copy e via dicendo che mi fanno quasi sempre raggiungere la quota-quotidiana-di-parole-leggibili1.

Ecco perché, dicevo, le vacanze sono per me l’occasione di recuperare e letture “perse” durante il resto dell’anno. Quest’estate il “recupero” per fortuna è stato sostanzioso e mi ha permesso di leggere, tra le altre cose, “Al di qua del fiume. Il sogno della famiglia Crespi“, libro di Alessandra Selmi edito da Libri Nord. Il volume, in breve, racconta diverse storie legate al villaggio operaio sorto tra Ottocento e Novecento intorno al cotonificio realizzato sulle rive del fiume Adda, nell’attuale provincia di Bergamo, che col tempo assumerà il più noto nome di Crespi d’Adda. Un omaggio alla famiglia di imprenditori affermatasi nell’Italia di inizio XX secolo, i Crespi appunto, che qui crearono le condizioni per realizzare un’organizzazione del lavoro che fino a quel momento era esclusiva dei Paesi del Nord Europa. Operai impegnati in turni filati di 12 ore per far funzionare grandi macchine tessili mosse dalla forza dell’acqua, giorno e notte, tutti i giorni dell’anno, per garantire una produzione di massa che cambierà per sempre il mondo.

Perché ne scrivo qui su Secondo Welfare? Perché è un romanzo che attraverso le storie dei vari personaggi, più o meno frutto della fantasia dell’autrice, permette di riflettere anche su tante questioni sociali. Il libro racconta infatti le sfide di una società alle prese con l’avvento dell’industrializzazione e attraverso il vissuto di ricchi e poveri, operaie e nobildonne, locandieri e segretari, imprenditori e maestre permette di scoprire un mondo in cui il welfare per come lo intendiamo oggi ancora non esisteva.

Capiamoci: è una questione che sta sullo sfondo del romanzo, ma che in varie parti del libro emerge con una certa nitidezza e permette di riflettere sul tema. Sono infatti tanti i passaggi in cui vengono messe in luce, più o meno marcatamente, le mancanze di un giovane Stato che ancora non riesce ad occuparsi delle questioni sociali e a cui quindi, con tutte le contraddizioni del caso, provano a rispondere altre realtà. Come le imprese.

È appunto il caso del villaggio operaio nato nel Comune di Canonica dalla visione dei Crespi, che mutuarono esperienze nate in Paesi già industrializzati in cui, intorno alle fabbriche, nascevano abitazioni per chi lavorava, attività per il tempo libero e scuole per i figli. Ma anche la chiesa, l’ospedale, il teatro e il cimitero, in una logica “dalla culla alla tomba” che si affermerà nel welfare pubblico solo molti decenni dopo, a partire dal Regno Unito che applicherà la visione di Lord Beveridge. Un’idea di sviluppo dunque fatto non solo di tecnologie, processi e investimenti economici, ma anche di interventi sociali pensati per chi lavorava. Attraverso la storia del villaggio operaio di Crespi d’Adda si descrive un secondo welfare ante litteram, nella sua dimensione aziendale, che lascia da pensare.

Si tratta di interventi paternalistici e spesso opportunistici, ma che rappresentano una prima, concreta risposta ai bisogni di tante persone in un mondo in cui non c’era istruzione obbligatoria, non esistevano norme per la sicurezza sul lavoro, la previdenza e l’assistenza sanitaria pubblica ancora non si erano affermate. Il libro permette dunque di percepire questo “pre-welfare” che prova a intervenire laddove per sopperire alle enormi lacune a cui lo Stato comincerà a dare risposte solo a partire dagli anni 20 del Novecento. Risposte che solo molto più avanti diventeranno progressivamente strutturali, universali e generose.

Quella di “Al di qua del fiume” è lettura piacevole e coinvolgente, come dovrebbe essere quella di un romanzo, che però permette anche di comprendere, o almeno di intuire, quanto siano importanti le conquiste che abbiamo raggiunto con l’affermazione del Welfare State, di cui ancora oggi troppo spesso ci dimentichiamo. Per fortuna ci sono le vacanze che mi hanno permesso di ricordare questo fatto, che il mio lavoro dovrebbe impedirmi di scordare, ma che troppo spesso viene “sfocato” dalle tante cose da fare.

 

Note

  1. Per la cronaca, non saprei dire con precisione quale sia questa quota, ma arrivato a sera capisco subito se l’ho raggiunta o meno. E quasi sempre l’ho raggiunta.
Foto di copertina: Marin Forcella, Flickr