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Sabato 7 ottobre a Torino sarà presentata la diciottesima edizione del Rapporto Giorgio Rota, documento realizzato dal Centro Einuadi – e sostenuto nel tempo da importanti organizzazioni come Compagnia di San Paolo e Banca del Piemonte – che si propone di leggere successi e fallimenti, nuovi obiettivi e traguardi raggiunti dalla città di Torino. Un testo che parte dal contesto locale, ma che offre spunti interessanti per comprendere dinamiche più ampie che riguardano l’Italia intera. 

Il rapporto di quest’anno, intitolato "Recuperare la rotta", dedica ad esempio ampio spazio ai temi del lavoro, dell’istruzione, delle relative politiche di sostegno, confrontando le città italiane e il nostro Paese con le altre nazioni. Di seguito proponiamo qualche anticipazione sui dati più interessanti contenuti nel documento.

In primo luogo, da qualche anno in Italia le cose paiono andar meglio per le donne, i cui livelli occupazionali quasi ovunque sono tornati ai livelli precedenti la crisi del 2008, talvolta superandoli; invece l’occupazione maschile ha recuperato (e non del tutto) solo nelle metropoli del Centronord. Le distanze tra Nord e Sud, nel complesso, permangono: i livelli occupazionali maschili diminuiscono gradatamente scendendo verso Sud, nel caso di quelli femminili il calo risulta particolarmente brusco.


Figura 1 – Tassi di occupazione maschile nelle province metropolitane
Fonte: Istat

Figura 2 – Tassi di occupazione femminile nelle province metropolitane
Fonte: Istat

I più colpiti dalla crisi, in ogni caso, sono soprattutto giovani e stranieri. La condizione delle nuove generazioni italiane è caratterizzata dal paradosso per cui “più i giovani sono diminuiti, sia in numero sia come quota sulla popolazione complessiva, più sono diventati ‘sovrabbondanti’ rispetto alle capacità di assorbimento da parte del mercato del lavoro” (Abburrà L., Giovani e lavoro: la questione italiana, «InformaIres», 41, 2012, p.4).

Nel 2016, tra le 208 nazioni mondiali, 78 hanno livelli di disoccupazione peggiori dell’Italia, ma solo 12 (di cui 3 europee: Croazia, Spagna e Grecia) superano l’Italia per disoccupazione giovanile. Tra le province metropolitane, poi, rimane netta la frattura tra quelle centrosettentrionali e quelle meridionali, dove la disoccupazione giovanile registra valori decisamente più elevati. Tra capoluoghi e i rispettivi territori metropolitani non emerge una tendenza dominante: in alcuni casi si registrano livelli di disoccupazione inferiori nel capoluogo (è il caso di Milano, Genova, Venezia, Roma e, al Sud, di Bari e di Palermo), mentre in altri contesti sta meglio la provincia, Ciò è vero, in particolare, nel caso di Torino, che a livello di capoluogo registra una disoccupazione giovanile di entità ormai del tutto simile a quella delle città meridionali.


Figura 3 – Tassi di disoccupazione dei giovani dai 15 ai 24 anni nei capoluoghi metropolitani (valori percentuali)
Fonte: Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro, su dati Istat

Oltre ai giovani, anche gli stranieri sono in piena crisi occupazionale. Tra il 2008 – anno d’inizio della crisi globale – e il 2015, nel nostro Paese il tasso di occupazione degli italiani adulti (15-64enni) si è ridotto del 6,3%, tra gli stranieri del 12,3%. Tale tendenza, però, non è stata uniforme: ad esempio, tra le province metropolitane, il peggioramento dell’occupazione ha colpito maggiormente gli italiani in cinque casi (in tre dei quali, a fronte di un calo di occupati italiani, si è registrata una crescita dell’occupazione straniera).


Figura 4 – Impatto della crisi sull’occupazione nelle province (variazioni percentuali dei tassi di occupazione 2008-15)
Fonte: Istat

In tale quadro, in che misura il fatto di possedere un elevato titolo di studio continua a rappresentare una garanzia occupazionale e di mobilità sociale? A livello nazionale, gli indicatori relativi a lavoro (e non lavoro) sono piuttosto confortanti, confermando come un prolungato e proficuo percorso scolastico continui a costituire un punto di forza sul mercato del lavoro: il tasso di occupazione dei laureati, ad esempio, è oggi all’incirca doppio rispetto a quello di chi ha conseguito solo la licenza media, viceversa nel caso del tasso di disoccupazione o di inattività.

Al tempo stesso, tra i giovani, si segnala un indebolimento di tale effetto “protettivo”, in particolare nel caso della laurea: tra i 25-34enni italiani, infatti, il tasso di occupazione dei laureati (62,2%) risulta leggermente inferiore a quello dei diplomati (62,9%), viceversa sono un po’ più elevati sia il tasso di disoccupazione (16,2% contro 15,9%) sia la quota di “inattivi”: 25,8% contro 25,2% (dati 2016, fonte: Istat). In parte ciò può dipendere dal fatto che, nella fascia d’età considerata, un certo numero di laureati si trova ancora in una fase di inserimento nel mercato del lavoro (specie chi ha impiegato molti anni a completare l’università); al tempo stesso, potrebbe trattarsi di un segnale della crescente difficoltà occupazionale che molti neo laureati stanno incontrando: negli ultimi anni i livelli occupazionali dei laureati sono peggiorati nella gran parte delle città, specie al Sud.


Figura 5 – Tasso di occupazione dei laureati nelle province metropolitane
Fonte: Istat

Al di là della differenze tra metropoli, nel complesso il nostro Paese mantiene (nel 2016) una delle più basse quote (59,9%) di abitanti che hanno conseguito almeno un diploma superiore: in Europa, solo Spagna, Portogallo e Malta registrano valori inferiori. Considerando i soli giovani laureati (30-34enni), il ritardo italiano rispetto alla media europea risulta dilatato nell’ultimo decennio: nel 2005, tale quota era per l’Italia pari all’17,1%, contro una media UE del 28,5%, nel 2015 i due valori sono rispettivamente saliti a 25,3% e a 38,7%. Ancora una volta, il nostro Paese risulta sostanzialmente “spaccato” in due, col Centronord che mantiene quote di laureati sulla popolazione adulta (over 25) decisamente più elevate rispetto a quelle del Mezzogiorno: i valori più alti si registrano nelle province metropolitane di Roma (22,1%), Milano (20,8%), Bologna (20,7%) e Trieste (20,6%).

Uno dei motivi per cui in Italia i livelli di istruzione medi rimangono piuttosto bassi è che molti studenti si perdono per strada, sin dalle scuole medie. I dati più recenti continuano a confermare per il nostro Paese, purtroppo, una delle quote più alte d’Europa di giovani usciti precocemente dal sistema formativo; solo in Romania, a Malta e in Spagna i valori sono peggiori (fonte: Eurostat 2016).

Il più rilevante programma finalizzato ad aggredire i problemi della disoccupazione giovanile e della dispersione scolastica è stato probabilmente in questi anni Garanzia Giovani, avviato dall’Unione Europea nel 2013 allo scopo di favorire una "presa in carico" da parte dei servizi per l’impiego di giovani disoccupati da indirizzare a percorsi di tirocinio, servizio civile, formazione professionale e, quindi, al mondo del lavoro, incentivando fiscalmente le aziende ad assumere i giovani iscritti a tale programma. Dopo alcuni anni di attuazione, a metà 2017, il 69,3% dei 1.370.779 giovani italiani iscritti al programma risulta "preso in carico" dai servizi per l’impiego (di questi, circa il 45% ha trovato lavoro nel giro di sei mesi), con i valori più elevati in Val d’Aosta (84,2%), Emilia Romagna (82,8%), Lombardia (80%), Toscana (79,2%). Se si tiene conto del numero di misure erogate, è però l’Umbria a risultare la regione più virtuosa (con 61 misure erogate ogni 100 giovani iscritti), precedendo Lombardia (54), Trentino (48), Veneto (38), Lazio (33) ed Emilia Romagna (27).

Garanzia Giovani – come altre politiche pubbliche per l’occupazione – continuano in gran parte a basarsi su servizi di intermediazione che però, nel complesso, continuano a dare segnali di scarsa efficacia. Nonostante diversi interventi di riforma e riorganizzazione, infatti, i Centri per l’impiego – come per altro le agenzie private – mantengono in Italia un ruolo decisamente marginale rispetto all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, in un quadro in cui sono sempre le reti familiari e amicali a risultare largamente determinanti per le carriere occupazionali.

Tabella 6 – Occupati (15-64 anni) nei capoluoghi metropolitani, per canale con cui hanno trovato il lavoro attuale 
Fonte: Istat