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Parents and people with caring responsibilities have the right to suitable leave, flexible working arrangements and access to care services. Women and men shall have equal access to special leaves of absence in order to fulfill their caring responsibilities and be encouraged to use them in a balanced way”.

Così nel 2017, con la proclamazione dei 20 Pilastri dei Diritti Sociali europei, veniva sancita la work-life balance come diritto sociale fondamentale. In quest’ottica, negli ultimi anni, le politiche di conciliazione vita-lavoro stanno diventando sempre più centrali e importanti nelle politiche europee e dei singoli Stati nazionali. Questo perché non solo puntano ad abbattere le frontiere per l’accesso al lavoro alle donne in un tentativo generale di aumento del tasso di occupati, ma si propongono anche di rendere più equa la distribuzione del tempo impiegato in azioni di cura e per le quotidiane attività domestiche tra uomini e donne. Inoltre, un buon equilibrio tra vita privata e vita lavorativa migliora lo stato di benessere mentale dei lavoratori rendendoli più coinvolti e produttivi nel lavoro.

A confermare la centralità e la rilevanza del tema è il fatto che il 4 aprile scorso il Parlamento europeo ha approvato, con ampia maggioranza, la direttiva sul work-life balance (di cui vi abbiamo parlato qui). Direttiva che scaturisce dalla proposta della Commissione europea denominata “A new start to support work-life balance for parents and carers”, promossa a partire da aprile 2017 sulla scia del Pilastro dei Diritti Sociali europei. Il Consiglio poi, il 13 giugno 2019, ha adottato la direttiva, che è stato infine pubblicata, entrando in vigore, a luglio 2019. L’obiettivo generale della direttiva è favorire la parità nel mercato del lavoro riducendo la disparità di genere in termini di occupazione, retribuzione e pensioni. Nel merito, la direttiva intende facilitare la diffusione di misure di conciliazione vita-lavoro e di prestazioni di welfare aziendale, come congedi e accordi di lavoro flessibili (vuoi saperne di più?).

La direttiva ha previsto:

  • l’introduzione di un congedo di paternità di almeno 10 giorni;
  • il rafforzamento del diritto di 4 mesi di congedo parentale rendendo due di questi quattro mesi non trasferibili da un genitore all’altro;
  • l’introduzione di un congedo di assistenza di cinque giorni all’anno, anch’esso compensato a livello di retribuzione per malattia, per i lavoratori che forniscono assistenza personale o sostegno a un parente anziano o non autosufficiente;
  • l’estensione del diritto esistente di richiedere accordi di lavoro flessibili (orari di lavoro ridotti, orari di lavoro flessibili e flessibilità sul posto di lavoro) a tutti i genitori che lavorano con bambini fino ad almeno 8 anni e a tutti i caregiver.


Work-life balance: una questione di genere?

Prima di entrare nel dettaglio della questione è bene aprire un piccolo inciso per chiarire il termine work-life balance. Il concetto è inequivocabilmente astratto e spesso vengono usati diversi nomi per alludere alla stessa dimensione. Questo rende talvolta complicata la comprensione di questo concetto. Tuttavia possiamo trovare delle linee guida per interpretare il significato di questa composizione semantica. Quando si fa riferimento al termine “work” usualmente ci si riferisce all’attività lavorativa retribuita, mentre con il concetto di “life” si fa per lo più riferimento a quella sfera della vita in ambito familiare, domestico e ai doveri di cura.

Alla luce di questo chiarimento, il primo elemento per valutare un buon bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa è quello di guardare alle ore settimanali di lavoro. In Europa, di media, un uomo lavora circa 40 ore settimanali mentre una donna ne lavora 34. Dobbiamo prestare attenzione a questi numeri anche perché in realtà le donne spendono molto più tempo lavorando senza ricevere una retribuzione. Per la precisone, molte donne lavorano di meno o non lavorano affatto per prestare cure all’interno della famiglia, spesso a causa di un insufficiente supporto dei servizi sociali pubblici, come confermato nel rapporto di Eurofound 2018.

Il dato fa ancora più impressione se pensiamo che i trend demografici prefigurano un progressivo invecchiamento della popolazione mondiale e, di conseguenza, un incremento della domanda di assistenza formale a lungo termine (Long-Term Care). Ciò, secondo Eurofound, porterà da un lato ad un aumento della spesa pubblica e dall’altro ad un incremento dei carichi di cura per le donne.

A tal riguardo, i dati EWCS del 2015, rintracciabili all’interno del rapporto, ci aiutano ad avere un’idea più chiara di come uomini e donne spendono il loro tempo fuori dal lavoro, confermando quando detto fino ad ora (figura 1).


Figura 1. Media delle ore settimanali per attività di cura (per genere).

Fonte: Database Eurofound.

A sostegno di tali dati vi è anche una survey prodotta da Eurofound nel 2017. La ricerca sostiene che in Europa sono circa il 32% gli uomini coinvolti nella cura di bambini o nipoti contro il 40% delle donne. Inoltre il 20% delle donne è coinvolto in una situazione di cura con persone con disabilità o infermità contro il 15% di coinvolgimento maschile. A questi dati aggiungiamo i più recenti resi noti da Eurostat, i quali evidenziano un gender gap nel mondo del lavoro che distanzia uomini e donne di 11,6 punti percentuali nell’UE a 28. Se da un lato è vero che il gender gap si è ridotto di ben 6,4 punti percentuali negli ultimi 18 anni, dall’altro, è vero anche che il numero rimane piuttosto rilevante e incisivo. A ciò si aggiunge il fatto che in Italia il gender employment gap è decisamente più alto rispetto alla media UE arrivando a quota 19,8. Dietro di noi solo Grecia, Malta, Macedonia e Turchia.

Questi dati quindi confermano uno scenario in cui l’equilibrio della work-life balance è piuttosto precario e sbilanciato a discapito della componente femminile. Seppur lavorando meno degli uomini, le donne infatti sono in media meno pagate, meno occupate e maggiormente coinvolte nella cura dei familiari e nelle attività domestiche. Pertanto sembra cruciale dover ricalibrare i pesi della bilancia al fine di una più equa distribuzione del tempo di cura e lavoro fra i generi, così come affermato nei principi europei e nella direttiva approvata dal Parlamento Europeo.

Work-life balance e percorsi di vita

Il rapporto di Eurofound (2018) ci dice che le preferenze e le esigenze degli individui in termini di allocazione del tempo nella sfera privata e lavorativa variano durante le fasi di vita e in base alle diverse circostanze all’interno della famiglia. Pertanto è necessario che le politiche tengano conto delle molteplici esigenze in base ai percorsi di vita delle persone.

Il rapporto mette inoltre in risalto i profili che – tendenzialmente – hanno maggiori difficoltà nel conciliare vita privata e lavorativa. Ad incidere maggiormente sono elementi come il paese di residenza, il sesso, l’età e la composizione della famiglia. Ad ogni modo sono emerse delle tendenze generali per cui l’equilibrio tra lavoro e vita privata appare più complicato per le donne quando sono in coppia con un bambino piccolo (di età inferiore ai sette anni) e per gli uomini quando il bambino ha tra i sette e i dodici anni. Le madri single, i padri single e gli uomini in coppie con bambini sono quelli che segnalano più difficoltà di conciliazione. Esistono anche marcate differenze tra i gruppi professionali. Quelli più in difficolta nei tempi di conciliazione sono gli addetti all’assistenza e alle vendite, i dirigenti, gli operai specializzati di macchina e impianti; mentre quelli che meglio conciliano i tempi sono gli impiegati d’ufficio, coloro che svolgono impieghi a bassa qualifica e i professionisti.

Invece in termini di settori, il peggior adattamento si riscontra nei trasporti, nel commercio e nella salute, mentre il migliore si riscontra nelle aree del settore pubblico – istruzione e pubblica amministrazione – e nel comparto dei servizi finanziari.

Figura 2. Conciliazione tempi vita lavoro tra professioni e settori lavorativi

Flessibilità: freno o motore del work-life balance?

Il telelavoro e lo smart working sono spesso forme di lavoro utilizzate per andare incontro alle necessità di conciliazione vita-lavoro. Questi strumenti organizzativi aziendali sono in grado di aumentare la produttività e le prestazioni dei lavoratori che, dall’altro lato, possono risparmiare tempo nel pendolarismo con un abbattimento dei costi sugli spostamenti e una potenziale riduzione dei costi anche per gli uffici, guadagnando una maggiore autonomia. Inoltre queste forme di flessibilità sono capaci di generare un aumento della motivazione dei lavoratori e dell’efficienza del lavoro. Ciò è confermato da diversi studi tra cui uno promosso da Eurofound & ILO nel 2017.

Tuttavia in molti hanno evidenziato come la flessibilità rischi – talvolta – di produrre effetti indesiderati, come l’aumento della conflittualità tra le mura di casa, la "sfocatura" dei confini tra lavoro e vita privata e il sovraccarico lavorativo, soprattutto per coloro che si trovano frequentemente a lavorare in posti diversi dall’azienda e dall’ufficio (Eurofound & ILO, 2017; Eurofound, 2018).

I dati e gli studi su questi temi mettono quindi in risalto pregi e difetti. Innegabile è il fatto che la possibilità di gestire il tempo possa essere una potenziale risorsa per i lavoratori e i datori di lavoro; tuttavia tale possibilità può rilevarsi controproducente se mal gestita. C’è anche chi afferma – con una giusta dose di provocazione – che la work-life balance sia una “sciocchezza”. Così viene definita da Guy Clapperton e Philip Vanhoutte nel volume “Il manifesto dello smarter working. Quando, dove e come lavorare meglio”. Questo perché secondo gli autori nessuno parla mai di equilibrio rispetto ad una ampia pluralità di attività: “non è solo il lavoro a dover essere in equilibrio con la vita, sono tutte le componenti della vita che devono essere in equilibrio fra loro”, scrivono gli autori. Assumendo questa visione, Clapperton e Vanhoutte alludono di fatto ad una concezione più personale e psicologica della conciliazione vita-lavoro privandola però di una connotazione sociale di cui è permeata, come abbiamo mostrano in questo articolo e come è evidente dall’investimeno fatto anche dal livello comunitario.

Riferimenti Bibliografici

Eurofound (2017), Sixth European Working Conditions Survey – Overview report, Publications Office of the European Union, Luxembourg.
Eurofound (2018), Striking a balance: Reconciling work and life in the EU, Publications Office of the European Union, Luxembourg. 
Eurofound & International Labour Office (2017), Working anytime, anywhere: The effects on the world of work, Publications office of the European Union (Lussemburgo) e International Labour Office, Ginevra
European Commission (2017a), The European Pillar of Social Rights in 20 principles, Brussels.
European Commission (2017b), Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on work–life balance for parents and carers and repealing Council Directive, COM(2017)253 final, Brussels. 
Eurostat, Database su “Gender employment gap”.
Guy Clapperton e Philip Vanhoutte (2014), Il manifesto dello smarter working. Quando, dove e come lavorare meglio, ESTE, Milano, pp. 140-143.