Lo scorso primo agosto, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha licenziato Erika L. McEntarfer, capa dell’agenzia governativa statunitense responsabile dei dati mensili sull’occupazione, il Bureau of Labor Statistics (BLS). Euronews spiega che la decisione è arrivata dopo che un rapporto ha mostrato che le assunzioni sono rallentate a luglio e sono state molto più deboli a maggio e giugno rispetto a quanto riportato in precedenza.
In un post sulla sua piattaforma di social media, Trump ha sostenuto che i dati del Bureau sono stati manipolati per motivi politici e ha quindi scelto di rimuovere McEntarfer, nominata dal suo precedessore democratico Joe Biden.
“È come se il governo italiano licenziasse il capo dell’Istat, in pratica”, ha spiegato su Linkiesta la giornalista esperta di lavoro Lidia Baratta.
La decisione, criticata da molti esperti, è al centro di un commento pubblicato dal Financial Times e intitolato “La guerra di Trump ai dati causerà danni duraturi”. A firmarlo sono William Beach e Erica Groshen, i precedessori di McEntarfer alla guida del Bureau of Labor Statistics, nominati rispettivamente da Trump e dal presidente democratico Barack Obama.
A loro giudizio, la scelta di Trump è “una ‘cura’ disastrosa per un problema immaginario”.
Un licenziamento pericoloso
Per Beach e Groshen, il licenziamento di McEntarfer “danneggia gravemente la credibilità del BLS e di tutte le agenzie statistiche federali e crea un pericoloso precedente di interferenza politica nell’attività fondamentale di misurazione dell’attività economica. Di conseguenza, la fiducia del pubblico nelle statistiche federali vacillerà, portando a incertezza economica e a un rallentamento degli investimenti e della crescita negli Stati Uniti”.
I due ex funzionari proseguono spiegando nel dettaglio i dati che Trump ha usato come motivazione per il cambio al vertice del BLS, come l’ufficio raccoglie quegli stessi dati e perché le accuse mosse dal Presidente sono infondate. Poi, però, continuano a ragionare sul perché questa decisione è grave e su quali potrebbero essere le ripercussioni anche all’estero, citando anche casi simili avvenuti nel passato in altri Paesi.
“Sebbene le accuse di parzialità mosse dal presidente siano infondate, stanno comunque causando danni significativi”, con “implicazioni di vasta portata“, attaccano. “Senza le solide basi fornite dalle statistiche federali, non disporremmo di dati coerenti, trasparenti e affidabili a livello nazionale sulle persone e sull’economia. Inoltre, la maggior parte dei fornitori di dati privati si affida alle statistiche pubbliche per le proprie analisi interne”, continuano Beach e Groshen.
Cinque motivi di preoccupazione
Per i due ex direttori dell’ufficio, se il pubblico perdesse fiducia nella capacità del BLS di produrre dati oggettivi, finirebbe per affidarsi a fonti di qualità inferiore, il che porterebbe a decisioni peggiori e a una maggiore incertezza. Inoltre, la “soluzione” adottata da Trump (e cioè sostituire McEntarfer con uomini del suo partito) “rischia di erodere ulteriormente la fiducia e danneggiare le operazioni in diversi modi”.
In primo luogo, prevedono Beach e Groshen, nessuno che accetti l’incarico di commissario del BLS in queste circostanze, affiancato da altri incaricati politici, sarà considerato indipendente.
In secondo luogo, i tassi di risposta ai sondaggi del BLS potrebbero diminuire, poiché le persone e le imprese non si preoccuperanno di partecipare a sondaggi che alimentano statistiche inaffidabili.
In terzo luogo, i dirigenti e il personale che temono di essere licenziati per motivi politici potrebbero cedere alle pressioni per modificare le metodologie o rivelare informazioni prima della loro pubblicazione.
In quarto luogo, le metodologie potrebbero cambiare bruscamente senza test o annunci.
Infine, il BLS perderà probabilmente competenze specialistiche, poiché le decisioni di assunzione e promozione daranno la priorità alla passività o alla lealtà politica.
Baratta, sempre su Linkiesta, ricorda che “Trump da tempo ha un rapporto conflittuale con le statistiche ufficiali sull’andamento del mercato del lavoro” e che già nella campagna del 2016 aveva accusato il BLS di diffondere dati falsi, salvo poi fare marcia indietro l’anno dopo quando le cifre sull’occupazione erano invece positive.
Grecia, Argentina e il prezzo da pagare
“Trump – prosegue l’articolo della giornalista – non è né il primo né l’ultimo. Ridisegnare la realtà, selezionando e leggendo i dati parzialmente, con angolazioni favorevoli, è un vecchio gioco politico. I giochi di prestigio statistici sono comuni, così come l’occultamento dei numeri scomodi”.
Il licenziamento di McEntarfer, però, ha scritto il New York Times, é stato “una mossa senza precedenti nella storia secolare delle statistiche economiche degli Stati Uniti. E per una buona ragione: quando i leader politici interferiscono con i dati governativi, raramente finisce bene”. Beach e Groshen usano toni ancora più duri sul FT: “altri paesi hanno già seguito questa strada in passato, con conseguenze devastanti”.
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Il riferimento è a Grecia e Argentina. Nel primo caso, il governo ha falsificato per anni i dati sul deficit, contribuendo a una crisi debitoria debilitante che ha richiesto diversi round di salvataggi finanziari. La Grecia ha poi perseguito penalmente il capo dell’agenzia di statistica quando questi ha insistito nel riportare i dati reali, minando ulteriormente la reputazione internazionale del Paese.
Nel secondo caso, che forse è il più tristemente famoso, negli anni 2000 e 2010 l’Argentina ha sistematicamente sottostimato i dati sull’inflazione al punto che la comunità internazionale ha finito per smettere di fare affidamento sui dati del governo. Questa perdita di fiducia ha fatto aumentare i costi di finanziamento del Paese, aggravando una crisi del debito che alla fine ha portato al mancato rispetto dei suoi obblighi internazionali.
Entrambi i paesi, scrivono Beach e Groshen, “hanno pagato un prezzo elevato in termini economici e sociali”. Per questo, conclude il loro commento, “Trump ha commesso un grave errore lanciando questo attacco ingiustificato alla credibilità e alla qualità delle nostre statistiche federali”.