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Nell’ambito del Programma QuBì, “Al bando le povertà” ha promosso la nascita di reti territoriali che coinvolgono istituzioni pubbliche e Terzo settore nella realizzazione di azioni di contrasto alla povertà minorile nel territorio di Milano.

In particolare, il bando ha previsto la costituzione di reti multi-attore che, a livello di quartiere, sono prima state chiamate a co-progettare e successivamente a implementare le “ricette di quartiere”, ovvero interventi specifici rivolti ai minori in povertà e definiti a partire dalla valorizzazione delle risorse presenti nei singoli territori.

All’interno delle reti, l’interazione fra Comune di Milano e Terzo settore è stata realizzata attraverso il coinvolgimento delle “assistenti sociali di comunità”, ovvero di assistenti sociali del Comune di Milano che si dedicano a tempo pieno al progetto QuBì.

Dopo aver approfondito con Daniela Attardo le concrete modalità grazie a cui è stata avviata la partnership pubblico/privato (si veda qui), con Rossella Fiorentino, assistente sociale di comunità nel IV Municipio, abbiamo parlato di come questa esperienza stia incidendo sulle competenze delle assistenti sociali coinvolte nel progetto.

Come è cambiato il tuo modo di lavorare a seguito della partecipazione al progetto QuBì?

Partiamo dal considerare che è la prima volta in assoluto che delle assistenti sociali del Comune di Milano si distaccano dai servizi per progettare congiuntamente con le associazioni del Terzo settore. In generale, dopo alcune difficoltà iniziali e alcune diffidenze emerse da entrambe le parti, il lavoro è stato molto proficuo e interessante. Ritengo che la fase di co-progettazione degli interventi, che è stata realizzata grazie al sostegno di facilitatori nel periodo compreso fra settembre e dicembre 2018, sia stata arricchente e stimolante.

Puoi spiegarci perché?

La co-progettazione ci ha dato la possibilità, per la prima volta, di confrontarci sulla povertà minorile, di come si declina nei singoli quartieri e di come è intesa dai diversi soggetti in base alle  specificità e competenze di ciascuno. Ne è quindi venuta fuori una fotografia completa.


Quindi, grazie a QuBì, avete avuto modo di integrare visioni differenti?

Sì. Io ho potuto portare la mia esperienza come assistente sociale di territorio. Tieni conto che, lavorando in un servizio sociale di primo livello, le famiglie accedono spontaneamente, a volte solo per un orientamento o una consulenza. Nella mia attività vedo una parte del disagio che la famiglia, sulla base di un rapporto di fiducia, mostra e per il quale chiede un nostro intervento. Diverso è invece il caso (ad esempio) di un doposcuola. Un’associazione che gestisce un doposcuola instaura una relazione differente con la famiglia e con i minori, a volte più informale, di conseguenza può individuare altre esigenze.

Direi quindi che soltanto grazie a una visione integrata dei problemi da parte di tutti i soggetti è possibile definire i bisogni di un quartiere. Da questo punto di vista, quello della co-progettazione è stato un periodo estremamente arricchente.

Altrettanto significativa è stata la conoscenza delle tante realtà del privato sociale che operano sui territori; l’aver lavorato insieme nella fase di progettazione ha permesso di esplicitare i reciproci ruoli e funzioni.

Che cosa significa per te essere assistente sociale di comunità?

Dal punto di vista della mia professionalità, ho sempre collaborato con la rete del territorio e con le famiglie; grazie anche al progetto QuBì, l’attenzione si è spostata sulla collettività e non più sulla singola situazione. Oggi “servizio sociale di comunità” per me significa costruire con tutti i soggetti del territorio un pensiero comune volto a migliorare la condizione di una comunità, conoscere esattamente quello che offre il territorio, averne la consapevolezza e condividere questa conoscenza con i colleghi .

Come avviene il raccordo fra te e i tuoi colleghi e quindi fra le “assistenti sociali di comunità” e le assistenti sociali comunali?

In primo luogo, aggiorno periodicamente i miei colleghi via mail circa le azioni e i servizi che avviamo nel quadro di QuBì. In questo modo, quando le assistenti sociali elaborano i progetti personalizzati rivolti agli utenti (ad esempio nell’ambito del REI) sanno che possono prevedere l’erogazione di alcuni servizi specifici rivolti ai minori presenti nel nucleo e attivati grazie a QuBì.

In secondo luogo, ci sono degli incontri settimanali con le colleghe in occasione delle riunioni di équipe di primo livello ai quali  partecipo tutte le settimane. . Durante le riunioni ho la possibilità di aggiornarle sul progetto e su altre iniziative, svolgendo dunque una funzione di raccordo tra le colleghe e la rete del territorio.

Queste sono le modalità già attive in questo momento. Ho poi un’idea che sto valutando insieme alla mia responsabile che riguarda la possibilità di invitare alcune colleghe agli incontri di cabina di regia con le reti di progetto. Questo permetterebbe un loro maggiore coinvolgimento. In alternativa, sarebbe utile trovare altri momenti; con la referente di rete ad esempio abbiamo presentato il progetto durante una delle riunioni di équipe.

Ci sono ulteriori elementi che, in futuro, possono essere valorizzati grazie a QuBì?

Sì. Sarebbe utile coinvolgere maggiormente la cittadinanza e quindi attivarla all’interno dei progetti. L’obiettivo è quindi promuovere il volontariato in un’ottica di cittadinanza attiva. Ovviamente questa è la parte più complessa e che richiede una prospettiva di lungo periodo. Ad esempio, in una scuola dell’infanzia, stiamo cercando di sviluppare una “mappa dei talenti” chiedendo a tutti i genitori di mettere a disposizione della comunità le proprie competenze


Cosa pensi ti lascerà l’esperienza di QuBì? E in che modo potrai valorizzare in futuro le competenze acquisite?

Sicuramente vorrei mantenere questi incontri con le reti del territorio; si tratta di un’attività indispensabile che, per quanto impegnativa, di fatto, facilita il lavoro. La conoscenza delle risorse del territorio e la connessione con esse permette di offrire risposte più efficaci ai bisogni di una comunità.

A causa del sovraccarico di lavoro, il ruolo dell’assistente sociale rischia di fossilizzarsi e di non riuscire a svolgere una funzione preventiva, perdendo di vista la comunità e i cambiamenti che avvengono in un dato territorio. Il confronto con gli altri soggetti e con la cittadinanza dà la possibilità di costruire nuove strategie di intervento rispondenti alle reali necessità degli utenti.

*La presente intervista è stata realizzata a Milano il 29 maggio 2019