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Lo scorso 19 settembre le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, insieme a Confindustria, Inps e Ispettorato Nazionale del Lavoro, hanno sottoscritto un’intesa per definire una strategia comune per la misurazione e la certificazione della rappresentanza sindacale. L’accordo – firmato anche dal neo Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo – è finalizzato a contrastare il cosiddetto dumping contrattuale, cioè la proliferazione di contratti firmati da organizzazioni prive di rappresentanza.

Il testo (disponibile in versione integrale qui) prevede infatti che siano stimati gli iscritti delle associazioni sindacali che stipulano contratti collettivi, in modo tale da accertare l’effettiva rappresentatività di tali sigle. A effetturare questa valutazione sarà l’Ips, che si occuperà di raccogliere i dati relativi alle elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie attraverso un contatto diretto con i dirigenti dei singoli Ispettorati territoriali del lavoro.

Due sono gli aspetti fondamentali introdotti in questo senso. Da un lato – attraverso la creazione di un indicatore che stima il numero degli iscritti e quello dei voti ottenuti dalle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) – l’accordo sancisce che potranno partecipare al tavolo della contrattazione nazionale solo i sindacati che raggiungono almeno il 5% nel mix tra iscritti e voti ottenuti. Dall’altro è stabilito che saranno considerati validi solo gli accordi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali che – al livello cumulativo – rappresentano almeno il 50% più uno dei dipendenti delle imprese che si rifanno a quello specifico CCNL. A garanzia del processo di certificazione sarà istituito un Comitato composto da esponenti delle parti sociali e presieduto da un esperto del Ministero del Lavoro.

Il fenomeno del dumping contrattuale

Quanto espresso da tale intessa è la concreta applicazione di alcuni dei principi definiti nel cosiddetto “Patto per la fabbrica” (di cui vi abbiamo parlato qui). Il principale obiettivo del “Patto” era infatti quello di porre un freno al dumping contrattuale, fenomeno sempre più rilevante e d’impatto per l’intero sistema delle relazioni industriali del nostro Paese. Sono molti gli studi che negli ultimi anni hanno confermano tale dinamica. Secondo il report “I recenti sviluppi delle relazioni industriali in Italia”,analisi di Banca d’Italia di cui vi abbiamo parlato qui, la diffusione di accordi “minori” ha conosciuto un corposo aumento dal 2010 in poi, anche grazie al perdurare della crisi economico-finanziaria che ha investito il nostro Paese. Nel 2015, ad esempio, gli accordi collettivi stipulati da organizzazioni marginali sono arrivati ad interessare circa il 9% delle unità lavorative annue del settore del commercio, circa il 3% dei lavoratori del comparto dei servizi e circa l’1% di quelli dell’industria e della manifattura.

Eppure la frammentazione contrattuale va spesso a discapito dei lavoratori. In primo luogo la totalità di questi contratti “minori” garantiscono forme di tutela inferiori – in termini di trattamenti retributivi, aumenti salariali e flessibilità oraria – rispetto a quelle previste dai contratti collettivi firmati dalle organizzazioni di rappresentanza principali. Inoltre, il dumping contrattuale può generare ripercussioni all’interno di un intero settore produttivo: la sola esistenza di CCNL con costo del lavoro ridotto, infatti, esercita una pressione al ribasso sulle retribuzioni dell’intero comparto e riduce il potere contrattuale dei sindacati più rappresentativi (qui abbiamo approfondito queste tematiche).

Anche per tali ragioni, nel corso del 2018 Cnel e Inps hanno avviato un’attività di analisi finalizzata a fornire informazioni di natura quantitativa sui CCNL stipulati nel nostro Paese (vuoi saperne di più?). 

Un accordo atteso, ma ora bisogna guardare all’associazionismo datoriale

Come sottolineato anche dalle parti firmatarie alla stampa (è possibile leggere alcune dichiarazioni all’interno del portale Rassegna.it), siamo di fronte ad un cruciale passo in avanti per il contrasto alle sigle meno rappresentative che, soprattutto a livello di contrattazione collettiva, utilizzano la loro posizione per sottoscrivere accordi con minori garanzie per i lavoratori (soprattutto da un punto di vista salariale).

La convenzione firmata lo scorso 19 settembre rappresenta però solamente un passaggio di un processo iniziato da quasi 10 anni. Si è partiti infatti nel 2011 con l’accordo interconfederale sulla rappresentanza, sottoscritto tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil (il 28 giugno 2011), per poi arrivare al Protocollo d’intesa sulla rappresentanza, del 31 maggio 2013, e al Testo Unico sulla rappresentanza siglato il 10 gennaio 2014.

Il prossimo passo dovrà riguardare l’estensione di quanto previsto per i sindacati anche per le associazioni datoriali. I problemi che sono emersi negli ultimi anni per le rappresentanze dei lavoratori sono infatti noti ed evidenti anche per la controparte datoriale. Sono auspicabili quindi novità entro breve tempo sotto questo punto di vista.


Riferimenti

Il testo integrale dell’intesa