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E’ noto che, a causa dei grandi mutamenti determinati dalla crisi economica e occupazionale che persiste nel nostro Paese, si assiste all’affermarsi di una duplice sfida. Da una parte si registra un crescente bisogno di protezione sociale da parte dei cittadini, dall’altra la continua riduzione delle risorse a disposizione del welfare pubblico. Quest’ultimo aspetto impedisce al sistema di rispondere efficacemente ai bisogni dei cittadini e di assolvere pienamente ai compiti per il quale è stato creato. Rischi sociali e bisogni sono in aumento, ma gli strumenti pubblici per contrastarli sono deboli e inefficaci: ecco che diventa fondamentale concentrarsi su misure che evitino lo spreco delle poche risorse pubbliche a disposizione, organizzandole in modo più efficiente e integrandole con risorse private.

In occasione della Giornata Nazionale della Previdenza, tenutasi a Milano dal 14 al 16 maggio scorso, Assoprevidenza e Percorsi di secondo welfare si sono confrontati sulle sfide a cui è sottoposto il modello di welfare italiano alla ricerca di soluzioni per tutelare persone e famiglie e trasformare le politiche sociali da voce di costo in fattore di crescita e investimento. Il seminario sul welfare integrato si è tenuto il 15 maggio con la partecipazione di Franca Maino (direttrice di Percorsi di secondo welfare) che ha presentato il contesto culturale e normativo, e di Tiziana Tafaro di Assoprevidenza che ha illustrato la proposta e fornito evidenze della sostenibilità dello schema di welfare life-cycle. Alla tavola rotonda, moderata dal Presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello, hanno partecipato anche Paola Gilardoni, Segretaria regionale CISL Lombardia, e Valerio Ceffa, Direttore FIMIV.

Questo contributo (sintetizzato di seguito ma disponibile nella sua interezza come Quaderno n. 19/2014 di Assoprevidenza) è finalizzato a comprendere cosa si intende per welfare integrato, come costruire un sistema di questo tipo, e quali sono i vantaggi e i rischi legati alla sua implementazione. Alla proposta e alla stesura del Quaderno hanno contribuito Laura Crescentini, Assoprevidenza; Franca Maino, Università degli Studi di Milano e Percorsi di secondo welfare; Fabio Marchetti, LUISS Guido Carli; Pasquale Sandulli, Università degli Studi di Roma La Sapienza; Tiziana Tafaro, Studio attuariale Orrù&Associati.


1. Le finalità della proposta

Il mutato quadro economico e strutturale e in particolare le iterate misure di contenimento della spesa pubblica – troppo spesso lineari e aselettive – hanno colpito e colpiranno ancora nel prossimo futuro la spesa sociale, lasciando senza copertura una parte dei bisogni dei lavoratori e dei cittadini. Questo non solo con riferimento a situazioni di disagio derivanti dalle modifiche della legislazione pensionistica di base (in particolare della Legge n. 201/2011, cd. “Riforma Fornero”), ma anche in via più generale con riferimento ad altri tipi di coperture di welfare, prima fra tutte l’assistenza sanitaria.

Per tale motivo, Assoprevidenza conduce da tempo un’approfondita riflessione tecnica sulle possibili trasformazioni del modello di welfare italiano nella convinzione che il welfare debba essere visto non come un costo ma come risorsa in grado di contribuire – tramite lo sviluppo del benessere sociale – ad aumentare la ricchezza del Paese e agire come volano per lo sviluppo, anche favorendo la creazione di occupazione. L’obiettivo della riflessione è la definizione di un modello complessivo di welfare integrato fondato su uno schema generale dotato di adeguata flessibilità in modo da potersi adattare alle singole necessità dei beneficiari. In tale quadro deve essere approfondito il ruolo che i diversi attori del comparto – in primo luogo fondi pensione e casse di assistenza ma anche l’insieme dei soggetti che operano nel secondo welfare (aziende, enti bilaterali, fondazioni, terzo settore) nonché le istituzioni pubbliche, in particolar modo nella loro declinazione territoriale – potranno sostenere nel prossimo futuro nella costruzione del nuovo sistema.

Questo, in particolare, con riferimento alle possibilità di intervento consentite dalla legislazione che disciplina i singoli segmenti nei quali il welfare è attualmente articolato, ma senza trascurare una visione di più lungo termine che contempli anche – dove necessario – modifiche al quadro normativo di riferimento utili per renderlo più duttile e favorevole allo sviluppo del comparto. E’ importante sottolineare come lo studio non intenda esprimere alcuna preferenza per una particolare struttura (fondo pensione, fondo sanitario, altro) quanto evidenziare il valore aggiunto connesso alla possibilità di fare sinergia fra i diversi comparti del welfare indipendentemente dalla struttura organizzativa adottata o adottabile, materia nella quale ogni scelta rientra nella competenza esclusiva delle parti sociali.


2. Il punto di partenza: la contrattazione collettiva

Ogni riflessione circa la definizione dello schema di welfare integrato non può che avere come riferimento principale la contrattazione collettiva, in particolare con riferimento alla dimensione aziendale e/o territoriale. La contrattazione decentrata rappresenta lo strumento per l’individuazione di soluzioni condivise, focalizzate sulle effettive esigenze della platea coinvolta, che consentono di evitare inutili duplicazioni sia con le prestazioni offerte dai diversi soggetti che interagiscono nel comparto (fondi pensione, fondi sanitari, prestazioni di tipo assistenziale) che rispetto alle coperture offerte dal sistema pubblico.

Non a caso il welfare, nelle sue varie declinazioni, è oramai in maniera sempre più significativa parte integrante degli accordi collettivi e risulta particolarmente apprezzato sia dai lavoratori che dagli imprenditori, quale elemento di “fidelizzazione” e strumento di incremento delle retribuzioni a costo contenuto, come emerge anche dai contributi del nostro Focus su contrattazione e welfare.
Il ricorso alla contrattazione collettiva deve peraltro trovare adeguato sostegno e impulso nell’azione delle amministrazioni locali, nella consapevolezza che in una fase di contrazione delle risorse disponibili non ci si possa limitare a mere politiche “di cassa” ma occorra favorire attivamente la cooperazione dei diversi soggetti pubblici e privati che operano sul territorio. In tal senso sono due le direttrici di intervento:

  • promozione e (nei limiti delle possibilità) finanziamento di progetti di sostegno alle imprese interessate all’istituzione di sistemi di welfare: pubblicazione di bandi, consulenza e supporto organizzativo, costituzione di «reti territoriali» per favorire dialogo e co-progettazione tra soggetti pubblici e privati;
  • governance del sistema, con l’obiettivo di monitorare la sua “razionalità e coerenza” al fine di evitare sovrapposizioni tra le diverse iniziative, anche con riferimento ad una sorta di “controllo di qualità“ rivolto all’efficacia delle iniziative intraprese.

La proposta di istituzione di uno schema di welfare integrato si articola in tre punti: definizione del modello generale; approfondimento relativo agli interventi di tipo normativo necessari e/o opportuni per lo sviluppo del nuovo sistema di welfare integrato; analisi di fattibilità delle possibili iniziative secondo un criterio di “semplicità amministrativa”, che tenga conto cioè del maggiore o minore grado di intervento normativo necessario per la sua attuazione.


3. La costruzione di un sistema di welfare integrato: il modello

La costruzione di un sistema di welfare integrato, quale che sia il livello di operatività, si fonda sullo studio della collettività interessata e la classificazione dei bisogni di welfare della platea dei soggetti coinvolti, suddivisi nelle sue diverse componenti. A tal fine occorre in primo luogo operare un’analisi della vita dell’individuo in base al suo possibile percorso lavorativo. Al riguardo è importante evidenziare che oramai la tradizionale bipartizione fra vita lavorativa e pensionamento non appare più attuale, in relazione sia alle mutate caratteristiche del mercato del lavoro – in particolare al diffondersi del fenomeno della “precarietà” connessa alla diffusione di forme di ingresso nella vita lavorativa alternative al contratto a tempo indeterminato – sia tenendo conto del significativo spostamento in avanti dei requisiti dell’età pensionabile previsto dalla Riforma Fornero, che ha posto non pochi problemi di riduzione/assenza di reddito lavorativo negli anni antecedenti alla maturazione del diritto alla prestazione pensionistica INPS. Sulla base di queste considerazioni si ritiene più rispondente alla realtà l’individuazione delle cinque classi di bisogno esposte nella Tabella 1.

 

Tabella 1. Classi omogenee di età articolate per bisogni di welfare

All’interno di ogni classe sono stati individuati i possibili tipi di prestazioni suddividendole in: immediate, quelle che riguardano prestazioni di cui l’iscritto potrebbe beneficiare durante il periodo di permanenza nella medesima classe; differite, quelle che riguardano prestazioni che potrebbero essere erogate in occasione del passaggio a una successiva classe di bisogno con particolare riferimento all’ingresso in pensione.

Per ciascuna prestazione sono state evidenziate le possibilità di copertura che sono in qualche modo “esplicitamente” previste dall’ordinamento attuale, essenzialmente legate alla costituzione di fondi pensione o fondi sanitari, e il finanziamento delle quali gode di un regime tributario di favore, come emerge dalla tabella 2. Accanto alle coperture “normativamente tipizzate” esiste l’universo parallelo delle coperture offerte dal “welfare aziendale” di derivazione esclusivamente contrattuale. Rinviando al Primo Rapporto sul Secondo Welfare per una rappresentazione esaustiva di queste iniziative, è evidente che esse sono parte integrante della costruzione di un nuovo modello di welfare e andranno, dunque, considerate nell’ambito delle scelte politico-istituzionali ed economiche in tema di benefits.

Nell’ambito del welfare integrato la definizione del piano di coperture dei bisogni dovrà essere adeguato al percorso di vita, in un’ottica che definiamo di “welfare life cycle”, individuando le tipologie di prestazioni maggiormente coerenti con le esigenze della collettività considerata all’interno di una fase specifica del ciclo di vita. Il passo successivo consiste nel determinare un costo per ciascuna prestazione, per valutarne la compatibilità con le risorse disponibili (contributi), in modo da rendere possibile una scelta consapevole delle parti sociali in base ad una sorta di analisi costi/benefici. Al riguardo va evidenziato come la valutazione non può che essere condotta su base collettiva, così da poter “sfruttare” il potenziale economico rappresentato dalla solidarietà. La “condivisione” del rischio su collettività ampie, nelle quali siano presenti coorti con caratteristiche demografiche diverse, consente, infatti, di realizzare significative economie in termini di costo, economie non praticabili laddove il medesimo rischio gravi non solo sul singolo ma anche su una collettività omogenea sotto il profilo demografico.

Tabella 2. Possibili prestazioni di welfare integrato distinte per classi di età omogenee e tipo di bisogno


Venendo al finanziamento delle prestazioni, sono diverse le modalità secondo cui può essere organizzato. E’ esplicito se avviene mediante apposita contribuzione integrativa da parte del lavoratore (o del pensionato) ed eventualmente del datore di lavoro. E’ implicito quando avviene mediante prelievo di una quota di contribuzione già dedicata a coperture integrative esistenti (per fondi complementari e fondi sanitari). In questo caso la copertura dovrà essere realizzata nell’ambito dei fondi stessi e nel rispetto delle normative vigenti. Può essere derivato, mediante prelievo di una quota del montante contributivo accumulato presso il fondo pensione, e valgono a questo proposito le medesime osservazioni formulate per il finanziamento implicito. Infine può essere modulare o “a vita intera”, mediante versamento di un contributo sempre uguale (fisso o in percentuale), la cui destinazione si sposta al modificarsi della classe di appartenenza. Da ultimo va menzionata la possibilità, laddove opportuno, della costituzione di accantonamenti ad hoc, finalizzati a consentire di fissare una contribuzione costante nel tempo, non legata in maniera automatica all’andamento dei “sinistri”.
 

4. Gli interventi normativi necessari per lo sviluppo di un sistema di welfare integrato

La normativa istituzionale e civilistica
A parte le consolidate iniziative in tema di welfare pensionistico e sanitario, si richiede oggi la creazione di un quadro normativo armonico e sufficientemente omogeneo per lo sviluppo del settore che sia comunque rispettoso delle specificità territoriali e dell’articolazione economica (con riferimento alle variegate dimensioni aziendali, ma anche tenendo conto delle diverse capacità dei settori produttivi).

E’ perciò opportuno che nel quadro delle attuali scelte costituzionali – presumibilmente non suscettibili di essere modificate in tema di assistenza e di diritti sociali – la legislazione statale nel definire i livelli essenziali indichi quale obiettivo la valorizzazione dello strumento della contrattazione collettiva in coordinamento con le iniziative degli enti locali e delle istituzioni non profit. La partecipazione a un processo di coordinamento territoriale delle iniziative pubbliche (territoriali e non) e private (collettive, ma anche individuali) va incentivata con un’equilibrata agevolazione tributaria che comporti ragionevoli ma effettivi controlli, e che orienti verso le diverse linee di intervento attraverso un’opportuna diversificazione delle misure. Nella consapevolezza che il sistema dei benefits vada comunque inquadrato nell’ampia nozione di trattamento economico complessivo del contratto individuale di lavoro, la cui regolazione è appunto di specifica competenza della contrattazione collettiva.

Nel contesto di cui sopra, la funzione della contrattazione collettiva deve esplicarsi, per evitare eccessive frammentazioni, sia mediante fissazione di soglie minime al di sopra delle quali un servizio organizzato di welfare può svilupparsi anche in una dimensione aziendale, sia attraverso l’attribuzione di precisi ruoli agli enti bilaterali di “prossimità”, che vanno vieppiù assumendo il carattere di modello prevalente, secondo un processo di espansione dei principi della compartecipazione economico/produttiva alla gestione del “sociale”. La fisiologica riconduzione a questo modello di bilateralità può consentire una riflessione su una più congrua ed efficace utilizzazione dello schema dell’art. 2117 c.c. (già neutralizzato quanto alle forme pensionistiche aziendali) ed ammodernamento dell’art. 2123 c.c.; altrettanto deve dirsi quanto all’ammodernamento dell’art. 12 della Legge n. 300/1970, in termini di prevalenza della rappresentanza dei lavoratori.
Prendendo comunque a modello le forme di welfare consolidate, avendo attenzione in via prioritaria alla forme pensionistiche (D.lgs. n. 252/2005, ma anche 124/1993 per l’area del lavoro pubblico, la cui problematica non può ragionevolmente continuare a restare sospesa), è prospettabile un intervento di estensione delle funzioni, eventualmente con l’introduzione di meccanismi di gestione separata. In alternativa, si ipotizza la formazione di un fondo generale per il secondo livello con singole e separate gestioni (previdenziale, sanitaria altro) destinate ad operare secondo le normative specifiche (di legge o contrattuali), ma in sinergia.

Ove non si reputi maturo questo tipo di intervento, limitatamente alla disciplina dei Fondi pensione, appare oramai necessario il superamento del rigido collegamento del regime prestazionale del secondo livello con quello delle prestazioni di base, così come risulta oramai sempre più evidente l’opportunità di attenuare la rigidità della integrale capitalizzazione individuale, lasciando spazi, seppur modesti, alla valorizzazione della funzione mutualistica/solidaristica. In tale contesto si rende auspicabile la revisione dell’anticipazione secca del 30% con eventuale sostituzione di forme di utilizzo “assistenziale” motivato, fiscalmente agevolato. Così come si rende necessario coordinare gli interventi in tema di prestazioni per motivi sanitari, concentrando ragionevolmente questo tipo di attività sui fondi sanitari e liberando da questa incombenza i fondi pensione, che potrebbero invece concorrere con i fondi sanitari alla realizzazione di interventi di long term care.

Dove si tratti di prestazioni erogate su iniziativa di enti territoriali pubblici o anche di istituzioni private non profit, le regole di accesso saranno quelle proprie della singola istituzione; laddove, invece, si tratti di enti bilaterali di derivazione contrattuale, si contemperi la libertà di scelta con l’adozione di modalità che orientino la scelta stessa ed inducano la più ampia diffusione possibile. L’effetto di adesione tacita dei Fondi pensione potrebbe ulteriormente essere potenziato mediante l’estensione degli effetti di destinazione al fondo negoziale anche quanto alla contribuzione corrente di entrambe le parti, salva una facoltà di revoca a breve. Superato il momento genetico del rapporto individuale, occorrerà che con ragionevole periodicità si apra la strada della revoca controllata.

La normativa tributaria
Il welfare aziendale soffre dal punto di vista fiscale di un’ormai alquanto datata disciplina normativa, inidonea a rispondere alle attuali esigenze prospettate dall’evoluzione della società, in generale, e del mondo del lavoro, in particolare. La disciplina fiscale risulta in buona parte permeata da un sorpassato paternalismo, laddove tutto il settore del welfare riconducibile a finalità sociali ed assistenziali non prevede la possibilità della contrattualizzazione dei benefits ai fini della loro deducibilità fiscale. Si veda al riguardo il combinato disposto dell’art. 51, comma 2, lett. f) e dell’art. 100, comma 1, del TUIR. Ciò determina, inoltre, la separazione fra gli interventi di welfare riconducibili al citato art. 100 (servizi socio-sanitari, ricreativi, di formazione professionale e così via) da quelli riconducibili ad altre lettere dell’art. 51, comma 2 (asili nido, borse di studio per l’istruzione dei figli, fino alle contribuzioni previdenziali e sanitarie).

Con specifico riguardo, poi, alle contribuzioni previdenziali e sanitarie si osserva che la vigente normativa disciplina separatamente i limiti di deducibilità fiscale (rispettivamente di 5.164,57 € e di 3.615,20 €, importi fissati da più di dieci anni e mai aggiornati), senza consentire la possibilità di vaso-comunicazione fra l’uno e l’altro plafond, in un’ottica di flessibilità di scelta fra coperture previdenziali e coperture sanitarie, in risposta alla variabilità delle esigenze collegate al trasformarsi del nucleo familiare o al procedere dell’età.

Infine, anche nel caso in cui dovessero essere superati tutti gli ostacoli di ordine regolamentare e giuslavoristico ai fini dell’utilizzabilità dei fondi pensione o delle casse sanitarie per finalità sociali e assistenziali (spese per studi dei figli, non autosufficienza, ecc.), ciò comporta, da un lato, una distrazione di risorse specificamente dedicate alla copertura previdenziale per diverse (sia pur meritevoli) finalità e, dall’altro, l’assoggettamento di siffatte risorse ad imposizione fiscale (nel caso, invece, ad esempio di borse di studio per il pagamento degli studi dei figli le somme a tal fine erogate dal datore di lavoro sono totalmente escluse da imposizione).

Le criticità richiamate impongono un ripensamento complessivo della disciplina in materia di welfare aziendale, avendo come obiettivo:
a) la razionalizzazione della normativa esistente, variegata e frastagliata, anche al fine di evitare fughe in avanti da parte della pratica, conseguenti alla pressione delle parti sociali, con soluzioni che potrebbero non sempre essere in linea con la disciplina medesima e, quindi, potenzialmente portatrici di non desiderabili contestazioni da parte del fisco;
b) il superamento della visione paternalistica, consentendo la contrattualizzazione anche delle finalità sociali, assistenziali, ricreative, e similari, normate dal combinato disposto dell’art. 51, comma 2, lett. f) e dell’art. 100, comma 1, del TUIR;
c) la riunificazione, più volte auspicata , dei plafond di deducibilità fiscale previsti dall’art. 51 per i contributi previdenziali e sanitari;
d) l’aggiornamento dei suddetti plafond (di 5.164,57 € per la previdenza e di 3.615,20 € per l’assistenza sanitaria), il cui ammontare è fermo da oltre dieci anni.


5. L’analisi di fattibilità

La costruzione di un modello di tipo welfare life cycle, che abbia cioè come obiettivo una copertura differenziata in relazione al percorso di vita del singolo, presuppone un sostanziale cambiamento del quadro normativo esistente. Anche a normativa vigente sarebbe peraltro possibile dare vita a coperture diverse rispetto a quelle tradizionalmente previste da un fondo pensione o da un fondo sanitario.

Nel dicembre 2013, in occasione di un convegno organizzato da Assoprevidenza, Mercer e Fondo pensione BNP, era stata illustrata l’analisi condotta dallo Studio Attuariale Orrù & Associati relativa ad alcuni esempi di coperture che potrebbero già essere attivate nell’ambito di un fondo pensione, in “aggiunta” alla rendita complementare. Rinviando al Quaderno di Assoprevidenza per una trattazione più dettagliata dell’analisi, ci si limita qui a ricordare come le valutazioni abbiano evidenziato la concreta possibilità di fornire una copertura adeguata al bisogno generato dalla riduzione/mancanza di reddito prima del pensionamento tramite l’utilizzo del montante accumulato. Le scelte in proposito vanno calibrate in base alle caratteristiche soggettive degli interessati (età, posizione rispetto al trattamento pensionistico di base, ecc.) e all’entità del bisogno. In via generale, come intuitivo, l’utilizzo del 30% del montante – che può assicurare una rendita variabile dal 20% al 40% dell’ultima retribuzione – appare più indicato per fronteggiare una riduzione parziale del reddito da lavoro, mentre in caso di totale assenza di reddito più congruo appare l’utilizzo del 50% del montante, che consente una copertura variabile fra il 33% e il 70%. Interessante poi è constatare come i montanti residui consentano comunque rendite apprezzabili (dal 10% al 40% dell’ultima retribuzione) in particolare quando si accetti un differimento nella data di percezione della prestazione.

Di seguito è illustrata l’analisi di fattibilità condotta con riferimento a un’ipotesi vera e propria di welfare life cycle, con prestazioni articolate nel corso dell’intera vita del soggetto, al fine di dimostrarne la sostenibilità economica, pur nella consapevolezza che la sua organizzazione richiede quantomeno approfondimenti di tipo giuridico circa le concrete modalità realizzative.


6. La costruzione di una copertura di welfare life cycle: primi risultati

Per la costruzione del modello di welfare life cycle in base a quanto specificato fino a qua, il primo passo è rappresentato dalla definizione dei costi relativi a ciascuna prestazione, in particolare laddove si immagini di avere come riferimento un’azienda a dimensione nazionale che abbia cioè necessità di una copertura sull’intero territorio del Paese. Nel seguito si indicano le principali ipotesi che sono state considerate nell’analisi – sempre condotta da Assoprevidenza insieme con lo Studio Attuariale Orrù & Associati – precisando che i dati utilizzati non sono riferiti ad una specifica realtà, ma tengono conto di alcune significative esperienze già operative nei diversi comparti del welfare, in modo da realizzare una coerenza complessiva sotto il profilo economico e regolamentare con l’impianto delle coperture attualmente vigenti. L’analisi di sostenibilità è stata condotta con riferimento a due diverse fattispecie riassunte nella tabella 3.
 

Tabella 3. Analisi di sostenibilità del modello di welfare integrato: due fattispecie

Nel caso A, lo scopo è individuare il costo per singolo individuo spalmato lungo l’intera vita lavorativa e da pensionato, mentre la valutazione del caso B consente di evidenziare la “sensibilità” del costo in relazione ad alcuni parametri fondamentali quali età e sesso della collettività. Non si è invece ritenuto di considerare anche variazioni relative al parametro reddito, poiché, avendo ipotizzato un contributo in cifra fissa, tale variabile è risultata ininfluente. Tuttavia si è ritenuto comunque opportuno dare un’indicazione circa il “peso” che tale contributo riveste nell’ambito della struttura reddituale ipotizzata anche al fine di poter disporre di indicazioni circa le potenzialità di “miglioramento” della copertura in caso di redditi superiori.

I risultati delle valutazioni, esposti nella tabella 4, mostrano come l’ipotesi della costruzione di una copertura del tipo welfare life cycle sembri, nel quadro delle ipotesi adottate, sostenibile. Il contributo annuo individuale nei casi tipo considerati è pari, al netto delle prestazioni per non autosufficienza da pensionato a 200€, valore che si riduce a 140€ dopo il pensionamento, pari allo 0,8% della retribuzione. La prestazione più cara è ovviamente la copertura per non autosufficienza da pensionato, che comporta un contributo ulteriore (da versare per l’intera vita attiva) che varia da un minimo di 370€ per un individuo che entra a 25 anni, ad un massimo di 630€ in caso di ingresso in assicurazione a 40 anni. Peraltro la copertura del relativo onere potrebbe essere realizzata destinando una quota del montante pensionistico accumulato, per il 13% per il venticinquenne e 24% per il quarantenne, inferiore cioè alla quota del “30%” disponibile su semplice richiesta dell’iscritto al fondo pensione.

 

Tabella 4. Contributi annui relativi alle ipotesi di copertura di tipo welfare life cycle

L’analisi del contributo medio relativo a diverse collettività mostra una scarsa sensibilità alla distribuzione per sesso mentre, com’era del resto prevedibile, anche uno scarto minimo nell’età media si riflette in maniera non trascurabile sull’importo del contributo medio.


7. Conclusioni ed elementi di riflessione

I risultati emersi, anche se parziali, testimoniano come la riflessione sul tema della costruzione di piani di welfare integrato che mettano a sistema le differenti componenti che oggi forniscono coperture di carattere “sociale” non sia confinata solo al dibattito teorico, ma possa offrire spunti per una concreta realizzazione. A questo riguardo va tuttavia ricordato che l’analisi condotta si riferisce a una copertura di tipo collettivo, realizzata cioè in maniera sistematica e continuativa per il complesso di una collettività specifica, il che presuppone se non proprio l’obbligatorietà di adesione, quantomeno forti meccanismi di disincentivazione all’uscita dalla collettività degli iscritti (o, in alternativa, di riduzione della copertura). Inoltre, il modello ipotizzato è per sua natura estremamente sensibile alle caratteristiche della popolazione assicurata, che andranno quindi attentamente analizzate e verificate nel caso concreto, in particolare nei primi anni di attivazione della copertura. Una possibilità a tal riguardo è rappresentata dalla costituzione di appositi accantonamenti, finalizzati a fronteggiare andamenti della sinistrosità particolarmente sfavorevoli.


Riferimenti

Quaderno Assoprevidenza n. 19/2014

 “Studio di un progetto di welfare integrato – Primi risultati” – Quaderno Assoprevidenza n. 18/2013
(con la partecipazione di Studio Attuariale Orrù & Associati e Fondo Pensione BNL/BNP Paribas Italia)

Convegno Assoprevidenza “Previdenza e Assistenza: proposte per un approccio integrato” del 9 dicembre 2013

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