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Il 7 gennaio su Corriere Buone Notizie è stata pubblicata un’inchiesta sull’educazione finanziaria in Italia curata da Percorsi di secondo welfare. Nell’articolo che segue Luca Cigna spiega come bisognerebbe operare in questo ambito (anche) per migliorare la salute del nostro sistema di welfare. Qui invece potete leggere l’articolo in cui Paolo Riva descrive la situazione del nostro Paese in tema di competenze finanziarie e le misure messe in campo da soggetti privati e pubblici per migliorare le competenze dei cittadini. 


Il rapporto tra i cittadini e il sistema previdenziale è cambiato in maniera radicale
. Fino a pochi decenni anni fa il “pilastro” pubblico del welfare italiano proteggeva efficacemente i cittadini dai principali rischi sociali: vecchiaia, infortuni, disoccupazione. Oggi i processi di invecchiamento demografico e le trasformazioni del mercato del lavoro hanno mutato il volto della nostra società. Il welfare pubblico fatica a rispondere all’emergenza di nuovi bisogni e sfide sociali, come la conciliazione vita-lavoro, la formazione continua e l’assistenza a lungo termine (long term-care).

Di fronte ai limiti del welfare tradizionale, una galassia di soggetti sta contribuendo alla creazione di un “secondo welfare”, mettendo in campo interventi sensibili alle esigenze dei diversi gruppi e alle caratteristiche delle diverse comunità. Pensioni integrative, polizze vita e assicurazioni sono solo alcuni tra gli strumenti promossi nell’ottica di aumentare la sostenibilità del sistema di protezione e soddisfare i molteplici bisogni inevasi. Questi strumenti, tuttavia, spesso hanno bisogno di un’adeguata preparazione da parte di chi ne beneficia. Il nostro Paese in questo senso mostra un sostanziale ritardo nell’educazione alla cultura finanziaria, assicurativa e previdenziale: nel 2014, appena il 37% degli abitanti possedeva conoscenze finanziarie di base, collocandoci agli ultimi posti tra i Paesi europei.

In molti casi, la scarsa educazione finanziaria di alcuni gruppi tende a rinforzare le fratture esistenti nella società e nel mercato del lavoro. Donne, giovani, persone meno abbienti e meno scolarizzate riportano punteggi più bassi nei test delle competenze economico-finanziarie. Incidentalmente, questi gruppi ricorrono molto meno all’acquisto di prodotti finanziari come polizze LTC e fondi pensione, utili a sopperire alle mancanze del welfare di primo pilastro. Questo crea degli effetti perversi: le persone più vulnerabili e meno esperte in materia finanziaria hanno minori probabilità di ricorrere a strategie di protezione aggiuntiva.

In Italia, circa un quarto dei residenti conferma di aver ricevuto una “paghetta” in giovane età. Secondo alcuni studi, semplici abitudini come gestire piccole somme di denaro potrebbero rivelarsi preziose da grandi: in media, gli studenti che possiedono un conto in banca e che ricevono somme di denaro crescono più abili e informati, imparando a destreggiarsi in materie come spesa, investimento, previdenza e assicurazioni. Curare i propri risparmi aiuta a sviluppare una migliore attitudine al mondo finanziario, educando alla corretta pianificazione e aumentando la consapevolezza dei rischi nel corso della vita.

Perché i cittadini godano equamente dei “frutti” e delle opportunità offerte dal secondo welfare, urge quindi mettere in campo interventi che aumentino i livelli di conoscenza e abilità economico-finanziaria nella popolazione. Le carenze potrebbero essere colmate anzitutto con programmi mirati e adeguati alle esigenze di ciascun gruppo, accompagnando i soggetti vulnerabili e preparando i giovani a un mondo sempre più caratterizzato dal rischio. Strategie di “capacitazione” (empowerment) dovrebbero intercettare questo potenziale attivando percorsi di educazione finanziaria come forma di investimento sociale.


Questo articolo è pubblicato su Buone Notizie del 7 gennaio 2020 ed è stato realizzato nell’ambito della collaborazione tra Percorsi di secondo welfare e il settimanale del Corriere della Sera.