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Questo contributo fa parte di un ciclo di riflessioni sviluppate nell’ambito del laboratorio Smart Working promosso dal Consorzio sociale CS&L di Cavenago Brianza (MB). Condotto da Giulia Bertone, Graziano Maino e Maria Giovanna Salaris, il laboratorio mira a definire regolamenti aziendali per introdurre modalità di lavoro agile, adeguati all’assetto delle cooperative partecipanti. Questa è la terza puntata; qui è possibile leggere la prima sugli spunti operativi per lavorare smart, e qui la seconda sui fondamenti normativi dello smart working.


Per rendere operativo e funzionale il lavoro da remoto è inevitabile porsi la questione delle competenze necessarie per avviare, diffondere e consolidare le caratteristiche e le funzionalità che sono state sperimentate nel corso del lockdown (Bentivogli 2020). Le competenze che servono alle persone e ai gruppi di lavoro sono diverse, in parte cumulabili e in parte nuove e impreviste, mai raggiunte una volta per tutte (Lanzara 1993). L’acquisizione e lo sviluppo di competenze nell’uso degli strumenti, nella gestione dei processi di lavoro, nello svolgimento di compiti e di processi produttivi, nella collaborazione nell’ambito di gruppi di lavoro, comporta porsi la questione dei modelli di apprendimento praticati nell’organizzazione.

Non si tratta quindi di stabilire i soli contenuti formativi, ma anche di decidere gli approcci formativi più efficaci per mettere in circolo conoscenze e abilità operative (Anderson e Dron 2011). La formazione è un ulteriore punto essenziale per costruire e avviare il piano operativo, che non riguarda solo chi lavora o lavorerà in modalità smart, ma riguarda l’intera compagine professionale coinvolta. Infatti, anche chi continuerà a lavorare dall’ufficio o sarà impegnato in attività operative, si rapporterà con personale in parte presente in ufficio e in parte al lavoro da remoto, avendo quindi la necessità di disporre di strumenti performanti, conoscenze aggiornate e competenze adeguate per gestire il lavoro agile nei suoi diversi aspetti (Seabrook 2021).

Rilevare le esigenze formative e identificare risorse ad hoc

Lo smart working richiede competenze nuove, ad ogni livello, che riguardano sia l’utilizzo degli strumenti e degli applicativi necessari per lo svolgimento delle attività da remoto, sia la capacità di coordinare, organizzare, valutare in modo differente le attività lavorative.

Operativamente si possono intraprendere alcuni passi concreti:

1. considerare i fabbisogni formativi interni, sia in modo informale sia utilizzando schede di autovalutazione dei lavoratori, per rilevare:

  • le competenze digitali di base e nell’uso di piattaforme e applicativi collaborativi (Google Workstation; Microsoft 365, applicazioni per videoconferenze e applicazioni che offrono lavagne e spazio di lavoro interattivi, ecc.).
  • le competenze nell’uso degli applicativi specifici per le mansioni aziendali;
  • le competenze per il lavoro collaborativo a distanza;
  • le competenze comunicative per gestire l’intreccio di attività da remoto e di attività in presenza;
  • le competenze organizzative per la gestione e il coordinamento a distanza e in forma ibrida (personale in presenza e personale operativo a distanza);

2. valutare la capienza del fondo interprofessionale al quale si aderisce per verificare la possibilità di attivare i percorsi formativi ritenuti utili;

3. monitorare bandi e finanziamenti per poter individuare possibilità per potenziare risorse e opportunità formative;

4. a partire dai software utilizzati o dalle piattaforme collaborative adottate, decidere di attivare momenti formativi sia con il supporto di figure esperte esterne, sia con l’ausilio di figure interne più esperte.

Identificare le esigenze formative che servono all’organizzazione e alle persone che vi lavorano per operare in modalità agile significa valutare i percorsi formativi da intraprendere, non solo per acquisire e sviluppare nuove capacità operative ma con l’obiettivo di fare della formazione un’occasione per praticare e sperimentare modalità di lavoro in presenza e a distanza anche fra loro interconnesse in modo dinamico.

Approcci formativi attivabili

Di seguito abbiamo identificato quattro approcci formativi (figura 1) che ci sembra possano aiutare a costruire una mappa dei tracciati di apprendimento che le organizzazioni possono rendere disponibili al loro interno.
 

Reskill – Riqualificazione

Le questioni a cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo possono essere considerate come una matrice per valutare i fabbisogni formativi in relazione all’adozione di modalità di lavoro da remoto. Non mancano le possibilità di accedere a percorsi formativi e di predisporli sulla base delle esigenze specifiche dell’organizzazione. Si tratta dunque, per il gruppo interno all’organizzazione che ha il compito di favorire la transizione a modalità di lavoro da remoto consolidate, di formulare un piano dei fabbisogni formativi, anche in consonanza a quanto richiesto dai sistemi di gestione adottati e dagli accreditamenti acquisiti. Diversi gli apprendimenti di cui si può fare tesoro: servono competenze diffuse sulle abilità tecnologiche essenziali, così da rendere autonome le singole persone nel lavoro da remoto. Servono competenze diffuse sui software, sulle piattaforme e sugli ambienti digitali che l’organizzazione ha adottato o intende adottare, così da assicurare l’operatività dei gruppi di lavoro. Insieme alla formazione in campo tecnologico, sono utili anche momenti di formazione dedicati ad approfondire le modalità di lavoro a distanza e i processi per introdurre soluzioni che agevolano il lavoro da remoto, consentendo un confronto fra le esperienze delle persone partecipanti. Il piano formativo potrebbe svilupparsi per unità formative brevi, anche rivolte a persone non impegnate in attività di lavoro a distanza, con l’obiettivo di diffondere e potenziare competenze tecnologiche, operative e collaborative. Un piano da mettere a punto progressivamente, anche sulla scorta degli apprendimenti organizzativi e dei nuovi bisogni che via via emergeranno.


Upskill – Aggiornare

L’aggiornamento intenzionale costituisce una risorsa per i gruppi di lavoro. Novità e innovazioni sono continue, al punto da essere distraenti. Si tratta, allora, di riservare delle energie anche all’aggiornamento di chi già possiede competenze di base o avanzate, per mettere in circolo nell’organizzazione conoscenze ancora più approfondite. Per le attività di formazione di aggiornamento, le piattaforme digitali collaborative (Microsoft 365, Google Workspace, Miro, ecc.) mettono a disposizione un’ampia varietà di tutorial e di esemplificazione. Inoltre il materiale per prendere confidenza con le novità, può essere rintracciato su YouTube. Ciò comporta immaginare l’aggiornamento anche come una attività che può essere programmata e condotta in autonomia all’interno dell’organizzazione affidando il compito di cercare materiali e indicazioni utili a figure incaricate di svolgere una funzione di facilitazione. Inoltre, è opportuno che anche le figure di coordinamento contribuiscano a fluidificare i processi di acquisizione e di aggiornamento delle capacità operative presenti nei gruppi di lavoro. Tali figure potrebbero avere l’incarico di predisporre un archivio di video tutorial ragionato e condiviso, facilmente accessibile da remoto.

Co-skill – Formazione “spalla a spalla”

Per esprimere un approccio basato sulla condivisione progressiva di apprendimenti utilizziamo l’espressione “spalla a spalla”. Si tratta di una modalità formativa intenzionale e diffusa, innestata nell’operatività quotidiana, una modalità formativa peer-to-peer (Corneli et al., 2016) da inserire strutturalmente nei processi di lavoro. L’idea nasce dal riscontrare che nelle organizzazioni sono presenti competenze diffuse – che alcuni padroneggiano meglio, per propensione, per aver trovato soluzioni rispondenti, per avere partecipato ad un percorso formativo – che non vengono socializzate e quindi non vengono messe in circolo e rese disponibili. Il lavoro da remoto, proprio per le sue caratteristiche intrinseche di inevitabile distanza, sollecita le persone coinvolte a fare uno sforzo per creare un ambiente dove poter lavorare insieme e quindi diventa necessario inframezzare l’attività con risposte a domande o spiegazioni rivolte a colleghi per illustrare una specifica funzionalità, scorciatoia, soluzione che aiuta a rendere più agevole e fluido il lavoro. L’osservazione di questi ricorrenti comportamenti ci spinge a proporre di trasformare qualcosa che accade in modo spontaneo in un’attività più strutturata (Davies, 2005).

Una prima possibilità, come abbiamo accennato, fa leva sulla presenza di facilitatori digitali interni ai quali affidare il compito di:

  • raccogliere le disponibilità di persone interessate ad approfondire le conoscenze in ambito tecnologico;
  • organizzare brevi ma frequenti momenti di condivisione delle competenze digitali nei gruppi di lavoro;
  • con l’aiuto delle persone formate, promuovono la diffusione di abilità e novità digitali nei gruppi di lavoro mettendo a disposizione figure di supporto alle quali sia facile rivolgersi per le questioni meno complesse.

Questa modalità di intervento consente di mettere a disposizione dei gruppi di lavoro e delle singole persone un supporto formativo strutturato e flessibile, in grado di intervenire in modo personalizzato e di facilitare l’introduzione capillare di nuovi software e di nuove modalità di lavoro. Una seconda possibilità mira ad attivare le singole persone con modalità più consapevoli e distribuite nel tempo. Si tratta di creare uno spazio – anche di pochi minuti – negli incontri di coordinamento per presentare novità tecnologiche e segnalare gli aggiornamenti dei software, per scambiare apprendimenti, per condividere tutorial trovati in internet. Questa pratica di condivisione, oltre ad essere poco costosa, mira a coinvolgere i gruppi di lavoro in uno sforzo di aggiornamento che si rivela utile. Una terza possibilità identifica nella scrittura a più mani su temi di interesse comune uno spazio di apprendimento. Si tratta di un’opportunità che non sempre interessa tutti i gruppi di lavoro, ma che si rivela essere una buona occasione per aumentare le connessioni nell’ambito di équipe che lavorano con modalità di diffuse.

Le tre modalità di apprendimento cooperativo possono essere praticate con intensità variabili, possono venire proposte e attuate in modo differenziato per potenziare i processi di condivisione osmotica della conoscenza, processi che avvengono spontaneamente – ma con lentezze e disomogeneità – nelle organizzazioni (Casucci e Maulini, 2006), facilitando la capacità dei gruppi di lavoro di essere risorsa per gli individui e per i gruppi stessi.

Safety Skills – Formazione per lavorare in sicurezza

Un quarto approccio formativo riguarda la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; infatti, nel mettere a punto il piano per il consolidamento delle modalità di lavoro da remoto è opportuno considerare come vengono ridefinite e condivise le regole per rispettare gli adempimenti normativi cogenti (adempimenti in ambito salute e sicurezza e relativi alla tutela dei dati personali) e gli adempimenti volontari (certificazioni qualità, ambiente, sicurezza). Si tratta di valutare l’adeguatezza dell’impianto degli adempimenti e dei sistemi di gestione rispetto alla introduzione di modalità di lavoro da remoto. Disposizioni e procedure, infatti, potrebbero risultare insufficienti o inadeguate in relazione al mutato assetto operativo e produttivo.

In particolare per gli aspetti relativi alla tutela della salute e della sicurezza del personale che opera in modalità agile è necessario mettere a punto un aggiornamento/integrazione della valutazione dei rischi e della sicurezza prevista dall’azienda. Si tratta di una revisione condotta per tenere conto del diverso contesto lavorativo in cui si svolge la specifica attività. Per questo è essenziale predisporre con l’aiuto dell’RSPP (responsabile del servizio prevenzione e protezione) un documento di valutazione dei rischi specifico per il lavoro da remoto, anche considerando le diverse possibilità di dislocazione del lavoro agile che l’organizzazione ha deciso di consentire e con particolare attenzione per i rischi determinati dall’ambiente (luce, temperatura, aerazione), dalle strumentazioni disponibili (prese elettriche, lampade, stufette, computer, stampanti), dalle condizioni ergonomiche e posturali (Menduto 2020 e 2021). Infatti, insieme alle condizioni ottimali dell’ambiente in cui si svolge l’attività da remoto vanno considerate anche le misure per prevenire i rischi da attività sedentaria, in particolare sono importanti le pause e le attività di moto e gli esercizi fisici che interrompono routine di lavoro statiche (Holtermann et al. 2017). Vanno inoltre rivalutati i rischi concernenti la gestione dei dati nello svolgimento di attività da remoto, sia da casa, sia da altri ambienti in cui sia consentito svolgere il lavoro a distanza. Inoltre, come accennato vanno riconsiderati i protocolli operativi che fanno parte dei sistemi di gestione qualità e ambiente per assicurarne l’adeguatezza anche in presenza dei cambiamenti operativi determinati dall’introduzione diffusa del lavoro dislocato in ambienti diversi dalla sede dell’organizzazione.

Costruire un piano per mettere a punto forme di lavoro agile

Per continuare ad essere produttive ed efficienti le organizzazioni devono modificare gli assetti operativi conosciuti e le modalità di lavoro adottate, anche effettuando una valutazione sulle forme innovative di apprendimento rendere disponibili in contesti di lavoro a distanza. Il passaggio a forme di lavoro da remoto può rappresentare un’opportunità, generare benefici per le persone coinvolte e per le imprese, ma può essere fonte di ostacoli da affrontare e di tensioni da gestire. Passare dallo smart working come risposta alle condizioni emergenziali a forme di lavoro da remoto frutto di un progetto organizzativo comporta fare tesoro della mobilitazione emergenziale per introdurre soluzioni calzanti e sostenibili di lavoro agile. Si tratta di definire un piano di evoluzione del lavoro agile, consultando le parti interessate, valutando le risposte adottate, identificando soluzioni efficaci e potenziali controindicazioni. E, alla luce di una lettura dello stato dell’organizzazione e del disegno verso il quale orientarsi si tratta di identificare i supporti formativi necessari e gli approcci che possono venire introdotti e sperimentati per sostenere la transizione verso modalità di lavoro agile vantaggiose per le persone e per l’organizzazione.

Link e riferimenti

Anderson, T. and Dron, J. (2011). Three generations of distance education pedagogy, in The International Review of Research in Open and Distributed Learning, 12(3), 80-97.

Bentivogli M. (2020), Verso un piano di reskilling dei lavoratori, Formiche, 158/2020, pp. 68-69.

Casucci S., Maulini C. (2006), Apprendere in età adulta, Anicia.Corneli J., Danoff C.J., Pierce C., Ricaurte P., and Snow MacDonald L., eds. (2016), The Peeragogy Handbook. 3rd ed. Chicago, IL./Somerville, MA.: PubDomEd/Pierce Press, http://peeragogy.org.

Davis M. (ed.) (2005), Technologies for cooperation, Institute for the Future.

De Pisapia N., Vignoli M. (2021), Smart working mind. Strategie e opportunità del lavoro agile. Il Mulino.

Gorbis M., Vian K. (2020), Post-COVID-19 Futures: What Can We Build After the Global Pandemic?, Institute for the Future, Medium, May 7, 2020.

Grant A. (2021), Building a culture of learning at work. How leaders can create the psychological safety for people to constantly rethink what’s possible, Strategy+Business, 3 February 2021.

Holtermann A. et al. (2017), A practical guidance for assessments of sedentary behavior at work: A PEROSH initiative, in Applied Ergonomics, Volume 63, September 2017, Pages 41-52.

Lanzara G. F. (1993), Capacità negativa. Competenza progettuale e modelli di intervento nelle organizzazioni, Il Mulino.

Menduto T. (2020), COVID-19 e lavoro agile: come tutelare la salute e le esigenze lavorative?, puntosicuro.it, 25 settembre 2020.

Menduto T. (2021), La pandemia, il lavoro agile e i rischi del lavoro sedentario, puntosicuro.it, 25 gennaio 2021.

ILO (2017), Working anytime, anywhere: The effects on the world of work.

Seabrook J. (2021), Has the pandemic transformed the office forever?, The New Yorker, 25 January 2021.