9 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Alcune riflessioni preliminari
“Il quadro che ci consegnano le audizioni e il lavoro svolto è quello di famiglie che vivono in un contesto di forti difficoltà, spesso gravate dal peso di funzioni di protezione sociale e di cura dei propri componenti, che suppliscono alle fragilità ed ai limiti del sistema di welfare. Tale sistema, infatti, spesso non risponde appieno, in termini di diritti esigibili, alla molteplicità e alla crescente complessità dei bisogni e delle esigenze delle persone e delle famiglie. Da questo punto di vista, il persistente ruolo di compensazione svolto dalla famiglia entra sovente in contraddizione con i percorsi di libertà delle donne, traducendosi in pesante carico di lavoro e di fatica. Tale quadro di riferimento segnala l’opportunità di portare a pieno compimento il complesso delle misure legislative ed amministrative vigenti riguardanti la promozione e la tutela della famiglia. Si tratta di investire anche su un percorso di sviluppo e di potenziamento di un sistema di welfare, che non solo impedisca di far ricadere esclusivamente sulle famiglie e sulle donne il peso della risposta ai problemi e alle criticità evidenziate, ma che sappia garantire diritti e sollecitare responsabilità, in una logica di promozione autentica della persona e dei contesti sociali e familiari” (“Indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia”, Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, 2007, p. 73).

Questo passaggio – tra i tanti significativi che possono essere citati dell’indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia (nei riferimenti), svolta 6 anni fa dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati – fotografava, ben prima della crisi economica e finanziaria che sta spingendo oggi nell’affanno una parte consistente delle famiglie italiane, una realtà ormai da diversi decenni oggetto di attento studio da parte dei maggiori esperti di politiche di welfare e per la famiglia (si vedano in particolare i lavori di Ferrera, Esping-Andersen e Saraceno, indicati nei riferimenti); una realtà complessa e problematica che ha recentemente mosso il governo ad intervenire, finalmente in modo organico anche se purtroppo con risorse molto limitate, sul tema. Le famiglie italiane, come gran parte delle famiglie dell’area mediterranea dell’Europa, sono state chiamate in questi anni – pur in presenza di sistemi di protezione sociale evoluti ed articolati in un numero significativo di prestazioni – a svolgere un cruciale e spesso solitario ruolo di sostegno ai propri membri in condizione di disagio e fragilità (disoccupazione, non autosufficienza del bambino e dell’anziano, disabilità). Laddove, in altri paesi europei, una parte almeno di questi rischi sociali sono stati intercettati da istituti in grado di rendere gli individui autonomi nei propri corsi di vita, rispetto alla pur ineliminabile, e sottolineiamo, auspicabile solidarietà intergenerazionale familiare (si pensi all’istituto del reddito minimo garantito o al diritto di ogni bambino a frequentare un servizio educativo per la prima infanzia sancito nei paesi dell’area scandinava).
La famiglia italiana è stata ed è tuttora il più importante ammortizzatore sociale del paese, camera di compensazione delle difficoltà economiche e luogo d’elezione della cura dei suoi membri bisognosi. La solidarietà familiare, sotto il profilo del lavoro di cura, ha del resto come sappiamo bene un volto preciso: quello di una donna, sia essa la madre, la moglie o la nonna di chi della cura necessita. Solo negli ultimi anni si è cominciato a valutare con una certa attenzione quale costo economico e sociale sia, per l’Italia, la limitata presenza delle donne (i cui livelli di istruzione superano oggi significativamente quelli degli uomini) nel mercato del lavoro, nei ruoli dirigenziali, nella vita politica. Del resto, in un paese che non offre risposte adeguate alle esigenze di conciliazione tra lavoro e cura, il doppio carico sulle spalle femminili, fotografato anche recentemente dall’Istat, ha spinto e spinge troppo frequentemente le stesse (soprattutto nelle aree depresse del Meridione d’Italia) a sacrificare una parte delle loro aspirazioni per tentare di rispondere adeguatamente alle aspettative, prima di tutto culturali, di cui sono investite sul fronte della cura dei propri familiari.
Tuttavia, è bene non dimenticare che le difficoltà di conciliazione e le esigenze economiche delle famiglie, in presenza di figli, incidono fortemente anche sul comportamento maschile: alla nascita di un figlio gli uomini tendono ad adeguare i ritmi quotidiani alle esigenze del mondo produttivo, nello sforzo di incrementare la propria capacità di guadagno (molto interessante da questo punto di vista lo studio del Centre for Research on Families and Relationships del 2007). Comportamento che, se da un lato sembra meglio ancorare il lavoratore al mercato, dall’altro ostacola l’esercizio del diritto di ogni padre ad assumere per i propri figli non soltanto il ruolo di percettore del reddito ma anche quello di fondamentale figura affettiva ed educativa di riferimento, peculiare e non sostituibile da parte della madre. La possibilità per i padri di vivere questa pluralità di ruoli all’interno della famiglia, che è garanzia di una maggiore ricchezza emotiva e relazionale che a nessun uomo dovrebbe essere negata, passa imprescindibilmente per una serie di politiche pubbliche mirate prima di tutto a favorire un profondo cambio culturale negli ambienti di lavoro, che riconosca la multidimensionalità delle risorse umane e l’opportunità, anche economica, di investire affinché tale multidimensionalità possa trovare espressione in adeguati processi di “work-life balance”.
Il quadro che emerge da queste necessariamente sintetiche riflessioni è quindi molto complesso, e a tratti contraddittorio: la famiglie, in continua trasformazione a causa di legami affettivi sempre meno stabili, spesso in strutture che scontano le difficoltà relazionali delle parentele ricostituite, continuano a svolgere il proprio ruolo di sostegno ai membri fragili in un contesto, quello italiano, in cui la conciliazione tra lavoro e cura non viene adeguatamente sostenuta né da politiche pubbliche “intelligenti” (per la conciliazione non sono necessari forti stanziamenti ma strumenti di policy flessibili che disegnino un welfare territoriale efficiente ed innovativo), né da un settore imprenditoriale “family friendly”. E’ sufficiente fare riferimento all’esperienza sul campo delle Consigliere di parità per venire a conoscenza dell’inaccettabile e purtroppo diffuso fenomeno della mobbizzazione compiuta sul luogo di lavoro nei confronti dei padri che esercitano il loro diritto al congedo parentale ex legge 53/2000. Sono questi i segni inequivocabili dell’immaturità del paese sui temi del diritto alla cura e del work-life balance. E’ bene riflettere, però, sul fatto che su questi stessi temi si gioca la tenuta delle famiglie italiane e, di conseguenza, dell’intero tessuto sociale.

Il Piano nazionale per la famiglia
Il Piano nazionale per la famiglia è definito “un programma di alleanza italiana per la famiglia”. L’ispirazione, come sottolineato nel testo, viene dalle iniziative recenti dell’Unione Europea nel segno della valorizzazione della famiglia: «L’urgenza di un Piano nazionale di politiche familiari viene peraltro a collocarsi nell’orizzonte delle nuove politiche auspicate dall’Unione Europea che, con la Comunicazione della Commissione UE intitolata “Promuovere la solidarietà fra le generazioni” del maggio 2007 ha esplicitamente indicato la necessità di promuovere politiche pubbliche di sostegno alla vita familiare e, in concreto, ha lanciato la piattaforma della “Alleanza Europea per le Famiglie” (Nota del Consiglio della UE del 23 maggio 2007). (Piano nazionale per la famiglia, p. 6). Se viene riconosciuto un debito verso l’Unione, per quanto attiene i principi ispiratori del documento, è però innegabile che lo stesso sia il frutto di un processo di elaborazione saldamente incardinato nelle istituzioni italiane:

La legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) prevede, all’art. 1, comma 1251, l‟elaborazione di un piano nazionale per la famiglia “che costituisca il quadro conoscitivo, promozionale e orientativo degli interventi relativi all’attuazione dei diritti della famiglia”; a sua volta il regolamento istitutivo dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, adottato con DPCM 10 marzo 2009, n. 43, stabilisce che l‟Osservatorio stesso fornisca supporto al Dipartimento per le politiche della famiglia ai fini della predisposizione del Piano di cui alla norma sopra citata. Muovendosi in tale quadro di riferimento, il Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio ha elaborato un documento base preparatorio, e nel contempo l‟Assemblea dell’Osservatorio, appositamente articolatasi in gruppi di lavoro tematici, ha formulato le proprie proposte. Tale materiale, unitamente ai documenti prodotti autonomamente da alcune componenti dell’Osservatorio, ha fornito la base di discussione per la Conferenza nazionale della famiglia, svoltasi a Milano nel novembre 2010. A seguito di quanto emerso dai lavori della Conferenza, l’Osservatorio ha rielaborato il documento base redigendo una proposta di Piano che, previa intesa in Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali, è deliberato dal Consiglio dei Ministri ed adottato con Decreto del Presidente della Repubblica (Piano nazionale per la famiglia, p. 6).

Il Piano si fonda su nove principi ispiratori:
Cittadinanza sociale della famiglia. Si promuovono interventi che favoriscono la costituzione e lo sviluppo della famiglia come soggetto sociale avente diritti propri, integrati con i diritti individuali, in rapporto alle funzioni sociali svolte dal nucleo familiare.
Politiche esplicite sul nucleo familiare. Gli interventi sono mirati, per quanto possibile, sulla famiglia come luogo della solidarietà relazionale fra coniugi e fra generazioni. Alcuni interventi hanno come destinatari i “singoli” membri come portatori di diritti individuali (servizi per bambini, anziani, disabili), altri, in particolare le misure fiscali legate al reddito, presuppongono l’esistenza di un vincolo legale nella coppia.
Politiche dirette sul nucleo familiare. L‟obiettivo è quello di sostenere la forza e la funzione sociale delle relazioni familiari come tali (relazioni di coppia e genitoriali), anziché utilizzare la famiglia come ammortizzatore sociale, ossia come strumento per altri obiettivi (come la lotta alla povertà, la politica demografica, o altri problemi sociali).
Equità sociale verso la famiglia. Nel prelievo fiscale e nell’allocazione delle risorse, specie per via redistributiva (fiscalità), è necessario utilizzare un criterio universalistico di equità nei confronti del “carico familiare complessivo” (numerosità dei componenti e loro condizioni di età e salute).
Sussidiarietà. Gli interventi sono compiuti in modo da non sostituire ma sostenere e potenziare le funzioni proprie e autonome delle famiglie, in particolare mediante la scelta dei servizi esterni (in particolare i servizi sociali relazionali, come l‟educazione dei figli, la mediazione familiare, l‟assistenza domiciliare, ecc.).
Solidarietà. Gli interventi sostengono la solidarietà interna fra i membri della famiglia (evitando incentivi alla frammentazione dei nuclei) e la solidarietà tra le famiglie mediante il potenziamento delle reti associative delle famiglie, specie laddove si tratti di organizzazioni familiari e di privato sociale che erogano servizi alle persone.
Welfare familiare sostenibile e abilitante. L’obiettivo è di promuovere un welfare familiare che sia compatibile con le esigenze di sviluppo del Paese, il quale richiede politiche di capacitazione (empowerment) delle famiglie anziché di mero assistenzialismo.
Alleanze locali per la famiglia. L’obiettivo è di sostenere la diffusa attivazione di reti locali, costituite delle forze sociali, economiche e culturali che, in accordo con le istituzioni, promuovano nuove iniziative di politiche family friendly nelle comunità locali. Il criterio fondamentale che guida questo nuovo scenario è il passaggio da una politica della spesa (politics of delivery), che promette sempre nuovi benefici agli elettori, ad una politica di orientamenti all’impegno (politics of commitment) che impegna tutti gli stakeholders verso la meta di una società amica della famiglia e cerca la collaborazione di tutte le istituzioni e i soggetti coinvolti.
Monitoraggio dei provvedimenti legislativi e valutazione di impatto familiare della legislazione. Nella legislazione viene introdotto il principio secondo cui le misure adottate devono contemplare degli strumenti adeguati volti a monitorare gli effetti degli interventi stessi.

Il Piano individua inoltre tre “priorità” di intervento, dovute alla criticità del presente passaggio storico che imporranno da subito interventi mirati da parte degli enti regionali e locali: le famiglie con minori (ed in particolare quelle numerose); le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli, che richiedono sostegni urgenti.
Segue l’articolazione degli interventi, distinti in nove “parti” tematiche:
1) Equità fiscale ed economica
2) Politiche abitative per la famiglia
3) Lavoro di cura familiare: servizi per la prima infanzia, congedi, tempi di cura e interventi sulla disabilità e non autosufficienza
4) Pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro
5) Privato sociale, terzo settore e reti associative familiari
6) Servizi consultoriali e di informazione (consultori, mediazione familiare, centri per le famiglie)
7) Immigrazione (sostegni alle famiglie immigrate)
8) Alleanze locali per la famiglia
9) Monitoraggio delle politiche familiari.
Ogni area tematica è ulteriormente declinata in una serie di “azioni” specifiche che, citiamo, “saranno adottate e realizzate all’interno dei piani e programmi regionali e locali per la famiglia secondo le risorse disponibili. Le Regioni e le Autonomie Locali si impegnano altresì ad individuare obiettivi comuni da portare avanti nelle azioni suddette” (Piano nazionale per la famiglia, p. 8).
Un tema critico è rappresentato proprio dalle risorse. A tale proposito il paragrafo 7 del Piano non dà adito a dubbi sulla criticità del momento storico e sulla conseguente scarsa copertura finanziaria che ad oggi potrà essere garantita per la realizzazione del piano:
L’attuale momento di crisi economica in cui versa il Paese non consente di rendere disponibili ingenti somme per realizzare adeguate politiche familiari. Tuttavia le azioni richiamate e da attuarsi nell’ambito della legislazione vigente risultano finanziabili nei limiti degli stanziamenti previsti, mentre gli impegni assunti alla presentazione alle Camere di nuovi provvedimenti legislativi saranno condizionati al rispetto della disciplina ordinaria in tema di programmazione finanziaria, secondo quanto stabilito dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica). A tali impegni è, quindi, da riconoscere carattere meramente programmatico, in quanto la sede nella quale saranno ponderate le diverse esigenze di settore è la Decisione di finanza pubblica (DFP), sulla base della quale verrà definito il disegno di legge di stabilità (Piano nazionale per la famiglia, p. 40).

Alcune riflessioni conclusive
Non si può che plaudere all’iniziativa maturata in seno all’Osservatorio Nazionale per la Famiglia e tradottasi nel Piano nazionale per la famiglia ad opera del Ministero per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione. Si tratta di un primo passo, sicuramente perfettibile, ma di grande importanza sul piano della codificazione in azioni di principi fondamentali per il sostegno, in chiave promozionale, di quelle funzioni di protezione che i legami familiari naturalmente attivano ma che – in contesti produttivi sempre meno in grado di rispondere alle esigenze di reddito di giovani ed anziani e alla luce delle sempre più complesse biografie familiari degli individui – divengono sempre più onerose, nel concreto. Il Piano disegna uno scenario di welfare territoriale di comunità, in cui i soggetti del Secondo welfare sono chiamati a dare il proprio contributo nel modo il più possibile mirato e coordinato, attraverso un’efficace governance pubblica, per difendere e promuovere le potenzialità di inclusione sociale che la famiglia continua a possedere, nei confronti dei propri membri, all’interno della comunità di appartenenza. Ora sarà compito dei governi regionali e locali tradurre in corsi di azione concreti il Piano nazionale, tentando di sopperire alla drammatica scarsità delle risorse con interventi innovativi capaci di chiamare a raccolta gli attori del Secondo welfare (le “Alleanze locali per le famiglie” previste nel Piano).

Riferimenti

Piano nazionale per la famiglia

“Indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia”, Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, 2007

"Riccardi: welfare e famiglia, due urgenze ma non ci sono fondi", Marco Conti, Il Messaggero, 4 giugno 2012

Statistiche Istat sulla conciliazione

Lo studio del Centre fo Research on Families and Relationships

Esping-Andersen, G., 2009, The Incomplete Revolution. Adapting to Women’s New Roles, Cambridge, Polity Press

Ferrera, M., 2006, Le politiche sociali, Bologna, Il Mulino

Naldini, M. e Saraceno, c., 2011, Conciliare famiglia e lavoro, Bologna, Il Mulino