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In questi giorni, la proposta di un “reddito di quarantena”, attraverso l’estensione in senso universalistico del Reddito di Cittadinanza, sta incontrando sempre più consenso, configurandosi come una vertenza comune per una molteplicità di soggetti. La proposta si è tradotta in un petizione, promossa dal Basic Income Network Italia in questa pagina. Ma anche il Forum Disuguaglianze e Diversità (FDD) e l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) hanno avanzato la proposta (ve ne abbiamo parlato qui) di un “Reddito di Cittadinanza per l’Emergenza”, il cui obiettivo è raggiungere tutta la popolazione in stato di necessità.

Sembra che stia diventando più chiaro, negli ultimi giorni, il piano su cui si gioca la partita democratica, a partire da una più netta demarcazione degli interessi in campo nella fase emergenziale che stiamo vivendo. In un primo momento, infatti, il dibattito si era avvitato in maniera confusa sulla presunta pretestuosità delle misure di restrizione adottate per contrastare il Covid-19. Queste risponderebbero, secondo alcuni, ad una volontà di affinamento del controllo sociale, cui è imputabile la costruzione stessa del rischio connesso col virus.

Nelle settimane successive, perfino i più ostinati sembrano aver compreso l’infondatezza di questa lettura della crisi in corso. Certo i rischi connessi con l’estensione delle misure di controllo messe in campo sono reali e sarà necessario vigilare anche e soprattutto dopo la fine dell’emergenza. Ma è evidente che ad essere messa sotto tiro dalla diffusione del virus è la capacità del sistema sanitario di tutelare la salute pubblica, alla base del nostro ordinamento costituzionale. L’unico modo per limitare il più possibile i danni, con un sistema sanitario che ha sofferto i tagli ai servizi pubblici e al welfare degli ultimi anni e che rischia il collasso, è quello di prolungare il distanziamento sociale.

Abbiamo assistito, sia in Italia che a livello internazionale, ad uno scontro fra interessi contrapposti. Da un lato l’esigenza di assicurare la sicurezza sociale delle persone, dall’altro gli imperativi legati alle esigenze di un mercato costretto ad affrontare una crisi epocale, che minaccia di sconvolgere totalmente ordini, gerarchie, modelli di produzione e di valorizzazione. È chiaro che questi vettori non spuntano dal nulla: al contrario, essi esprimono due istanze alla base degli ordinamenti liberali, che oggi rischiano però di urtarsi, al di fuori delle coordinate che avevano consentito una loro difficile mediazione.

I grandi sistemi di protezione sociale novecenteschi hanno rappresentato, al di là dei limiti e delle specificità territoriali, una sorta di “proprietà sociale” – per citare Robert Castel – a difesa della persona, costituendo un argine alla sua esposizione ai rapporti di mercato. L’edificazione del sistema sanitario italiano, pubblico e universale, si inserisce in questa difficile sfida, fatta di lotte e di conflitto, e ha avuto come posta in gioco la difesa del diritto sociale fondamentale alla salute.

Si è trattato di un processo tutt’altro che lineare. L’espansione dei sistemi di welfare, se da un lato ha permesso di assumere la materialità dei bisogni sociali in tutta la loro portata, d’altro canto ha risposto ad una esigenza fondamentale delle tecnologie di controllo sociale nelle società capitalistiche avanzate. Il sempre più alto tasso di indeterminazione che ha caratterizzato i sistemi produttivi ha richiesto, al contempo, un sempre più accurato controllo dei rischi in un campo dominato dagli interessi economici. È necessario che l’homo oeconomicus si senta abbastanza sicuro per poter competere con gli altri ogni giorno e vincere le sfide del mercato. I sistemi di welfare, allora, hanno descritto un piano ambivalente, all’incrocio fra esigenze contrapposte.

Oggi questi vettori rischiano di entrare in rotta di collisione, trasposti dalla fase emergenziale che stiamo vivendo su un nuovo campo di forze. L’urgenza di tutelare la salute pubblica, attraverso l’attuazione di misure di contenimento e il blocco delle attività produttive, rischia di essere incompatibile con le esigenze dei grandi colossi industriali e dei capitali finanziari. Da qui le reazioni scomposte di numerosi capi di Stato, a cominciare da Boris Johnson, Trump e Bolsonaro, nonché le incertezze, in Italia, nella chiusura degli stabilimenti industriali in Lombardia, proprio al cuore del contagio.

In questo quadro è necessario sapere da che parte stare. Fondamentale è affermare il primato della salute collettiva e della dignità delle persone, oltre una loro subordinazione al mercato. In un momento in cui le disuguaglianze rischiano di essere ulteriormente amplificate dalla situazione emergenziale e le difficoltà materiali minacciano la vita delle persone, è fondamentale assumere il welfare come campo di battaglia, strappando la sicurezza sociale ad un suo uso funzionale all’accumulazione e assumendola come principio fondamentale, non negoziabile, alla base della democrazia e dell’autodeterminazione.

Troppe sono, in questo momento, le categorie escluse dal decreto “Cura Italia”, o che ricevono importi insufficienti. La rivendicazione di un reddito di base incondizionato e universale (un “reddito di quarantena” come molti movimenti sociali lo hanno rinominato), attraverso l’estensione senza condizioni del reddito di cittadinanza, va esattamente in questa direzione: tale misura assicurerebbe a tutti la possibilità di vivere in maniera dignitosa questa “sospensione”, mettendo al primo posto la sicurezza individuale e collettiva. Il reddito di base non è uno strumento assistenzialistico: è una misura indispensabile per permettere a tutti di vivere responsabilmente e in condizioni socialmente accettabili questa fase emergenziale, ma anche per poter compiere scelte libere e consapevoli, al di fuori del ricatto e del bisogno, quando questa situazione sarà superata.

In un momento in cui è richiesto a tutti uno sforzo inaudito per superare un’epidemia che attenta alla vita, alla politica è chiesto di schierarsi in maniera decisa a favore della sicurezza e della dignità delle persone. Mantenere quest’asse sarà fondamentale anche dopo la fine dell’emergenza, quando saremo chiamati a decidere fra il ritorno ad una “vita normale”, fatta di egoismo e competizione, e il rilancio della solidarietà come modo di stare al mondo, a partire dalla lezione secondo la quale non è possibile stare bene se la vita degli altri non è al sicuro.