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Seicentottantamila. Questo il numero di giovani disoccupati nel mese di marzo. Un piccolo esercito, a cui si devono aggiungere più di due milioni di «né, né»: ragazzi e ragazze fra i 18 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Cosa si può fare per aiutarli? Da oggi, Festa del Lavoro, l’Unione Europea e il governo italiano offrono una nuova possibilità: la «Garanzia giovani». Chi si iscrive ad un apposito portale Internet verrà contattato nei prossimi mesi dai servizi per l’impiego al fine di concordare un percorso di inserimento. Una dote di un miliardo e mezzo di euro (co-finanziati dalla Ue) consentirà di agevolare e incentivare le varie opzioni: dall’apprendistato allo stage, dall’addestramento professionale all’autoimpiego.

I servizi per l’impiego (pubblici e privati) dovranno affrontare una sfida enorme. In paragone ad altri Paesi, in Italia queste strutture non hanno mai funzionato bene: la stragrande maggioranza dei giovani in cerca di occupazione è perciò costretta ad arrangiarsi e molti si perdono per strada. Un moderno mercato del lavoro non può più reggersi solo sul «fai da te». L’Europa ha ragione a sollecitare un cambiamento e ha dato prova di responsabilità mettendo a disposizione soldi propri.

L’importante adesso è non sprecare l’occasione. Due gli obiettivi prioritari. Innanzitutto, censire tutte le posizioni lavorative vacanti. A dispetto della crisi, ci sono infatti molte aziende (il 16,7% del totale, secondo le stime Excelsior) che non trovano personale con le competenze richieste. In secondo luogo, bisogna fare ogni sforzo per offrire un’esperienza, anche breve, di lavoro «vero», auspicabilmente nel privato. Di tutto abbiamo bisogno fuorché di una nuova stagione di lavori socialmente utili o di corsi di formazione fasulli. Poco promettente anche l’idea di un servizio civile retribuito, che potrebbe creare aspettative di proroghe e stabilizzazioni di massa. Il governo ha firmato intese con le principali associazioni imprenditoriali. La collaborazione delle aziende è fondamentale, soprattutto al Sud.

L’attuazione pratica della «Garanzia giovani» spetterà alle Regioni, che dal 2001 già si occupano in via esclusiva di formazione e lavoro. Questo aspetto non rassicura. Nell’ultimo decennio, la gestione delle politiche attive per l’impiego (decine di miliardi di euro, co-finanziati dall’Ue) ha visto nascere veri e propri blocchi di potere locale, al servizio delle élite politiche, burocratiche e sindacali. I soldi della «Garanzia giovani» rischiano di finire nei calderoni regionali, per finanziare iniziative già in corso, mentre ciò che serve è un cambio di rotta. Nessun Paese europeo (nemmeno quelli federali, come Germania e Spagna) dà così tanto spazio alle Regioni nel governo del mercato del lavoro.

Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 1° maggio


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