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Il 25 maggio 2016 la Camera dei Deputati ha approvato il testo definitivo della “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale”, una tappa importante nel percorso di trasformazione del sistema di welfare italiano, sebbene ora competa al Governo realizzare i decreti attuativi.

La legge delega invita il Governo ha intervenire su aspetti assai importanti dei meccanismi di funzionamento del terzo settore, come la formulazione di una definizione giuridica, la redazione di un codice del terzo settore, la semplificazione normativa, l’apertura dei Centri di Servizio al Volontariato al resto del terzo settore, la riforma della disciplina dell’impresa sociale, l’istituzione del Servizio Civile Universale, l’istituzione della Fondazione Italia Sociale, i quali sono stati approfonditi in un precedente articolo.

Il processo di riforma ha pertanto suscitato l’interesse dei numerosi attori coinvolti (organizzazioni del terzo settore, parti sociali, partiti politici…), i quali hanno anche preso parte in varie forme all’elaborazione dei contenuti della legge delega. La prima proposta realizzata dal Governo nel 2014 già si basava su idee raccolte attraverso il web ed in seguito la discussione in entrambe le Camere si è avvalsa dell’audizione di numerosi esponenti del terzo settore.


Il dibattito politico

È importante però sottolineare come al momento della votazione abbiano sostenuto la legge delega solo le forze politiche che compongono della maggioranza di governo, quindi il Partito Democratico, Democrazia Solidale-Centro Democratico, Scelta Civica per l’Italia, Alleanza Popolare (UDC, NCD), Alleanza Liberalpopolare – ALA, mentre le opposizioni, Movimento Cinque Stelle, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega Nord e Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà, hanno votato per il no.

Secondo il sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, sen. Luigi Bobba (PD): “Questa riforma introduce elementi di forte discontinuità e novità rispetto al passato. Il ‘Terzo Settore’, ha più volte evidenziato il Presidente Renzi, in realtà è il ‘Primo’: nel senso che non viene più considerato marginale e residuale, ma si tratta di qualcosa che concorre alla rinascita, al rilancio, alla riqualificazione del nostro Paese, capace anche di creare nuova occupazione e di generare economia sociale. Si tratta, infatti, di soggetti che possono creare quell’innovazione sociale, senza la quale il sistema di welfare non è in grado di soddisfare tutti i bisogni dei cittadini.

L’on. Antonio Palmieri, dichiarando il voto contrario di Forza Italia, delinea quattro specifici motivi: i dubbi sul senso della Fondazione Italia Sociale, l’utilizzo della modalità della legge delega, ritenuta troppo abusata, la carenza di finanziamento e il sospetto che l’approvazione della legge delega sia servita a scopi elettorali in vista delle amministrative.

Il Movimento Cinque Stelle, attraverso un post sul blog del fondatore, critica l’istituzione della Fondazione Italia Sociale ritenuta una “fondazione di diritto privato, che parte però grazie a un milione di fondi pubblici, che il mondo del no profit non vuole e che non è frutto del lavoro dei parlamentari del Pd. […] La realtà è che attraverso questo strumento si intende creare un nuovo poltronificio e una struttura che gestirà il flusso di fondi nel terzo settore, con potenziali conseguenze clientelari che sono solo immaginabili". Anche Fratelli d’Italia, lamenta scarsa trasparenza sulla futura gestione della Fondazione Italia Sociale.

Giulio Marcon(SI-SEL), pur esprimendo un voto contrario, nella legge delega individua sia aspetti positivi che negativi: “La legge delega sul terzo settore approvata definitivamente alla Camera qualche settimana fa non è una bella legge. Di positivo ci sono gli articoli sul servizio civile universale (legato al concetto di difesa non armata e con la possibilità per i giovani immigrati di accedervi) e sul ruolo del volontariato, parte che è stata inserita nel testo dopo le vigorose proteste delle associazioni dei volontari di fronte ad una prima versione della legge che aveva relegato il volontariato ai margini. Servizio civile e volontariato (anche se con diversi limiti) sono i due lati positivi di una legge il cui segno però è un altro: l’apertura del welfare ad una dimensione di mercato dominata delle imprese (sociali) e la creazione di una fondazione (la Fondazione Italia Sociale) come strumento centrale nel finanziamento del terzo settore.


La risposta del terzo settore: dagli applausi alle preoccupazioni

Nonostante i pareri contrari emersi nell’emiciclo di Montecitorio, il terzo settore si è in genere espresso favorevolmente.

Per il portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Pietro Barbieri sono “molti gli aspetti positivi: dal tentativo di superare l’innata frammentazione del terzo settore attraverso il riordino e la revisione organica delle diverse discipline esistenti in un unico Codice del terzo settore, all’istituzione di un registro nazionale unico – passaggio necessario a contribuire alla trasparenza di questo mondo -, alla revisione delle misure di agevolazione fiscale, al riordino in materia di servizio civile, alla scelta di un’unica sede di rappresentanza istituzionale come il Consiglio nazionale, purché preveda un coinvolgimento degli organismi di rappresentanza del terzo settore. Ulteriore aspetto di apprezzamento è che le politiche di governo, promozione e indirizzo siano in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Mentre per Maurizio Giordano, presidente dell’Unione Nazionale Enti Beneficenza e Assistenza (U.N.E.B.A.)Questa è una tappa importante per tutto il mondo del terzo settore e del volontariato, che è chiamato ora a ripensare modi di essere e di operare sulla base della nuova legislazione e di una realtà sociale ed economica in profonda trasformazione. La riforma approvata ieri in via definitiva dalla Camera dei deputati prevede numerosi decreti delegati per cui il quadro normativo completo sarà operativo solo tra alcuni mesi. Data la ampiezza dei criteri di delega c’è spazio per ulteriori miglioramenti e precisazioni, particolarmente in tema di procedure costitutive delle associazioni e fondazioni garantendo autonomia e semplificazioni, di ruolo delle imprese sociali che distribuiscano utili, di registrazione degli organismi.

Variegate sono le posizioni provenienti dal mondo del volontariato. Per il Centro Nazionale del Volontariato, guidato dal deputato (PD) on. Edoardo Patriarca, la legge delega “ha il valore di una vera e propria riforma costituzionale, un vero processo di pubblicizzazione, l’allargamento dello spazio pubblico ai tanti soggetti che sul territorio agiscono per la solidarietà, per il bene comune svolgendo opere di utilità sociale e di cittadinanza attiva.

Stefano Tabò, presidente di CSVnet, la rete nazionale dei Centri di Servizio al Volontariato, commenta così la riforma: “A poche ore dall’approvazione definitiva della riforma del terzo settore, tre elementi in particolare motivano la soddisfazione di CSVnet. Il primo attiene allo sguardo con cui la riforma considera i volontari e il volontariato ed il conseguente impegno a sostenerne ruoli e funzioni: ciò rappresenta un segno della civiltà giuridica del paese. Il secondo è il deciso richiamo alla trasparenza nell’azione e nella struttura delle organizzazioni. Il terzo è lo spirito di chiarezza nel definire chi deve far parte del terzo settore con l’intenzione di compiere una decisa ‘ripulitura’ dei vari registri in cui organizzazioni di ogni tipo sono oggi iscritte”.

Altre organizzazioni di rappresentanza del mondo del volontariato si esprimono però più criticamente. Ad esempio, la Conferenza Permanente delle Associazioni, delle Reti e delle Federazioni d Volontariato (Convol) rileva che “rimangono invece due forti perplessità. La prima sulla revisione dei Centri di Servizio per il Volontariato di cui la legge estende la platea dei beneficiari ben oltre le Organizzazioni di Volontariato: si teme che vengano diminuite al Volontariato le già scarse risorse che oggi ricevono. La seconda sulla Fondazione Italia Sociale, un Ente di cui non si sentiva alcuna necessità e di cui la legge approvata non chiarisce compiti e finanziamenti. Ora inizia il percorso di stesura dei decreti attuativi che daranno corpo e sostanza al testo di legge: l’auspicio è che il Governo tenga conto – come già avvenuto durante l’iter parlamentare – del contributo fattivo della ConVol quale rappresentante originaria ed autentica del volontariato organizzato.

Maria Teresa Bellucci, presidente del Movimento delle Associazioni di Volontariato Italiano (Modavi) dichiara che “salutiamo con favore l’approvazione in via definitiva alla Camera del disegno di legge Delega al Governo per la Riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Al contempo , però, non possiamo che lamentare alcune zone d’ombra della riforma, come l’istituzione della Fondazione Italia Sociale, un ente che avrà natura giuridica privata ma per il quale è già stato stanziato un fondo iniziale di un milione di euro di soldi pubblici, e l’eccessiva ampia delega concessa al Governo. Non vorremmo che dietro il combinato disposto delle zone d’ombra e dell’ampia delega, possa celarsi il rischio di non garantire ciò di cui il Terzo Settore ha particolarmente bisogno in questo preciso momento storico, ovvero onestà, trasparenza e garanzia del bene comune.

La Consulta Ecclesiale degli Organismi Socio-Assistenziali pur ritenendo che “la riforma appare, nel suo complesso e nelle sue linee generali, condivisibile e viene a colmare una lacuna da tempo denunciata” individua alcuni aspetti critici in relazione alla disciplina delle imprese sociali, al Registro Unico del Terzo Settore, all’ampliamento dell’utenza dei CSV. La legge delega prevede infatti che le imprese sociali (anche se strutturate come S.p.a. o S.r.l.) sono considerate di diritto parte del terzo settore nonostante possano redistribuire parte degli utili, questo a giudizio dei componenti della Consulta può compromettere i principi del dono e della gratuità. Si teme poi che l’obbligatorietà dell’iscrizione al Registro Unico del Terzo Settore per le organizzazioni che intrattengono rapporti con gli enti pubblici (convenzioni, accreditamento, finanziamento) esprima diffidenza verso le “libere iniziative assunte dai cittadini”, ritenendo che dovrebbe già essere sufficiente la registrazione regionale o presso la Camera di Commercio. L’apertura dei CSV a tutto il terzo settore viene vista come problematica in quanto la Consulta ritiene che il volontariato sia una realtà totalmente diversa e faticherebbe a reggere la concorrenza di altri soggetti più strutturati.

La Conferenza Nazionale degli Enti di Servizio Civile esprime invece grande soddisfazione per l’inserimento nella legge delega del Servizio Civile Universale.


Le parti sociali: serve una vera riforma del welfare

Se le organizzazioni di rappresentanza del terzo settore esprimono generalmente apprezzamento per la legge delega, il mondo sindacale si presenta diviso. Il segretario confederale della Cisl Maurizio Bernava ritiene la riforma un passaggio positivo sebbene sia opportuno aspettare l’approvazione dei decreti attuativi auspicando però che diventi il motore propulsivo di una più generale riforma del welfare italiano, “un ‘social act’, non come insieme di misure e interventi, ma quale ambito in cui si ridisegnano le strategie, si ridefiniscono obiettivi e indirizzi delle politiche sociali e assistenziali, si riorganizzano i modelli di governance e si riorientano risorse per il welfare in modo da rispondere ai fabbisogni crescenti di una società con sempre più ampie fasce di vulnerabilità, povertà ed esclusione”.

Per Ornella Petillo, segretario confederale dell’Ugl, e Maria Teresa Roghi responsabile dell’Ufficio Terzo Settore dell’Ugl, “il testo contiene importanti linee strategiche che ci auguriamo siano attuate tenendo conto che la riforma deve essere improntata a criteri di trasparenza, partecipazione democratica, sussidiarietà, con l’obiettivo di superare alcuni nodi critici più volte evidenziati come: il confine sottile fra le associazioni di puro volontariato e quelle che, fra le pieghe della legge, operano come se fossero società commerciali ma con i benefici di legge riconosciuti alle associazioni sociali; il marcato ricorso al lavoro sottopagato, se non addirittura in nero; la ridotta trasparenza nei bilanci e nella gestione delle risorse pubbliche; la scarsa democrazia interna, assicurata spesso più a parole che nei fatti.” Viene poi evidenziato come la Fondazione Italia Sociale possa essere un elemento positivo se sarà un ponte tra associazionismo e potere politico e vi saranno garanzie di trasparenza.

Di parere opposto è invece la Cgil. Per Stefano Cecconi, Responsabile Politiche della Salute, Non Autosufficienza, Terzo Settore e Dipendenze “il testo licenziato dalla Camera mantiene contraddizioni e criticità, come la nascita della Fondazione Italia Sociale, che rischia di incentivare un welfare filantropico senza diritti sociali esigibili, non essendo accompagnata dalla definizione del pilastro principale delle politiche sociali, cioè i Livelli Essenziali delle prestazioni adeguatamente finanziati. […] Manca un disegno più complessivo in cui inserire la riforma: sullo sviluppo dell’economia sociale e del volontariato, su come questa contribuisca all’evoluzione del welfare in senso più universalista e più equo e sugli effettivi strumenti di partecipazione democratica dei corpi intermedi (associazioni, sindacati, cittadinanza).” Certamente, come illustra Ferrera (2015), vi sono attori che temono che l’evoluzione e il consolidamento del secondo welfare siano un “cavallo di Troia” per privatizzare il welfare basandosi sul principio che solo lo Stato può mettere in campo politiche solidaristiche efficaci.


Un bilancio

La presa di posizione delle varie organizzazioni di rappresentanza del terzo settore pone in rilievo alcuni elementi. Una riforma era attesa da anni, in quanto la legislazione vigente è assai frammentaria e non riflette più una realtà molto cambiata dall’approvazione delle prime normative specifiche (fine anni ’80 o addirittura la II Guerra Mondiale se consideriamo il Codice Civile). Negli ultimi decenni il terzo settore italiano ha acquisito un ruolo di primo piano nel sistema di welfare: gestisce servizi, promuove sperimentazioni, partecipa alla progettazione e programmazione delle politiche.

Sinteticamente, è un insieme di soggetti privati non profit che ricoprono funzioni pubbliche e sono in permanente collegamento con le pubbliche istituzioni. Era pertanto necessario che questa funzione fosse riconosciuta dalla legislazione statale, necessario sia alle organizzazioni che alla pubblica amministrazione. È opportuno precisare che fino al 25 maggio 2016 il concetto di terzo settore era ben noto al mondo accademico, ai professionisti del ramo e agli associati ma non aveva alcuna valenza giuridica in quanto non presente in nessuna norma, sebbene vi fossero norme sulle fondazioni, le organizzazioni di volontariato, le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale.

La legge delega da un riconoscimento giuridico al terzo settore come soggetto privato con funzioni pubbliche ben distinto dal primo, il pubblico, e dal secondo settore, il mercato. Avvia poi un procedimento di semplificazione normativa e burocratica facilitando la nascita di nuove organizzazioni e fornendo un quadro giuridico più chiaro definendo anche caratteristiche comuni a tutte le organizzazioni e armonizzando le norme specifiche per volontariato e promozione sociale.

In questo quadro di policy si inserisce l’apertura dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSV) a tutte le organizzazioni del terzo settore che prevedono l’impiego di volontari come associazioni, cooperative, fondazioni sebbene la governance rimanga alle organizzazioni di volontariato ex lege 266/1991. Attualmente non esistono strutture territoriali pubbliche di supporto per il terzo settore ma in un’ottica di semplificazione e armonizzazione può essere assai utile mettere a disposizione le competenze dei CSV.

Vi è poi una parte molto significativa dedicata al monitoraggio e alla trasparenza, temi molto sentiti nel dibattito pubblico italiano. Se da un lato CSVnet, la rete nazionale di CSV, auspica la ripulitura dei registri dalle finte organizzazioni di terzo settore, la Consulta Ecclesiale degli Organismi Socio-Assistenziali vede nell’obbligo di registrazione un’ingerenza dello Stato nella vita della società civile. Anche il sindacato Ugl chiede che la riforma sia occasione per espungere il terzo settore da organizzazioni poco trasparenti, non democratiche o con comportamenti poco leciti.

In merito alle criticità è opportuno rilevare come provengano da alcune rappresentanze delle organizzazioni di volontariato Convol, Modavi, CEOSA), piuttosto che da soggetti maggiormente strutturati e professionalizzati, e questo ben si accorda con le perplessità emerse, concernenti la distribuzione delle risorse e l’accesso ai servizi. È comprensibile, infatti, che piccole organizzazioni di volontariato temano la concorrenza di realtà più grosse nell’accesso ai servizi e ai bandi dei CSV così come possano esprimere preoccupazione di fronte alla necessità di stendere rapporti e bilanci di una certa precisione o di dover cambiare consolidati meccanismi di governance o finanziamento. Citroni (2014), mappando i bisogni dell’associazionismo milanese, rileva proprio come le associazioni fatichino ad adeguare le proprie modalità operative a una società e ad un sistema di welfare in continua trasformazione, solo le realtà più strutturate, spesso con un certo numero di operatori retribuiti riescono ad adattarsi.

A tal riguardo è anche opportuno evidenziare come molto probabilmente le organizzazioni di rappresentanza più piccole sono anche quelle che hanno avuto meno peso del processo di elaborazione della legge delega.

Un elemento che ha fatto ulteriormente discutere partiti politici, mondo sindacale e terzo settore è la Fondazione Italia Sociale, concepita dall’imprenditore filantropo Vincenzo Manes. Secondo l’art. 10 della legge delega ha lo “scopo di sostenere, mediante l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore, caratterizzati dalla produzione di beni e servizi con un elevato impatto sociale e occupazionale e rivolti, in particolare, ai territori e ai soggetti maggiormente svantaggiati” ma diverse organizzazioni non ne comprendono le finalità e i finanziamenti lamentando come il testo normativo sia alquanto impreciso al riguardo. Manes, in un’intervista a Vita, dichiara che la Fondazione ha l’obiettivo di raccogliere donazioni da grandi aziende e grandi patrimoni riuscendo a raggiungere possibili donatori che attualmente non sono coinvolti dalle esistenti campagne di raccolta fondi, per finanziare poi grandi progetti e imprese di carattere sociale (la dimensione del finanziamento ipotizzato è sui 20 milioni) attraverso una logica top down. Anche su questo punto valgono le considerazioni precedenti in merito alle dimensioni e alle competenze del terzo settore italiano.

Al contrario l’introduzione del Servizio Civile Universale ottiene un diffuso apprezzamento. L’attuale istituto del Servizio Civile Nazionale, infatti, ha ottenuto un grandissimo riscontro sia da parte delle organizzazioni del terzo settore, per le quali è un modo per garantire continuità e sostenibilità degli interventi, sia per i giovani, i quali possono fare un’esperienza simile al lavoro e acquisire competenze, con l’unica pecca del ridotto numero di posti disponibili. Il Servizio Civile Universale sembra superare questo limite, inoltre garantirà maggiore flessibilità per essere più facilmente conciliabile con lo studio e maggior controllo sui progetti per evitare abusi e deformazioni. Le possibilità formative insite in esperienze di volontariato o impegno sociale (come il Servizio Civile) sono infatti documentate da una cospicua letteratura che dimostra gli effetti positivi sulla maturazione personale, l’orientamento formativo e lavorativo e la costruzione della coscienza civica.

Approfondendo l’analisi si può comprendere come le problematiche sollevate dal processo di riforma tocchino aspetti essenziali per lo sviluppo del terzo settore, come il rapporto con lo Stato, il rapporto con il mercato e il rapporto con la politica. Il sociologo spagnolo Zurdo Alaguero nel 2011 intitolava un articolo “il volontariato al bivio” e rifletteva sull’evoluzione del volontariato contemporaneo al bivio tra diventare erogatore di servizi per conto dello Stato e con logiche di mercato e fare advocacy promuovendo la partecipazione politica. Nel contesto italiano sicuramente il terzo settore ha sviluppato il proprio impatto economico e il proprio peso nell’erogazione di servizi ma questo non significa che abbia ceduto di fronte a logiche di mercato (almeno non intese nel senso dispregiativo dell’espressione) così come non significa che sia divenuto la longa manu dello Stato. La riforma valorizza sicuramente la capacità di sviluppo economico del terzo settore, riconoscendo un fenomeno già in corso, ma al contempo attribuisce al terzo settore la dignità di soggetto pubblico e interlocutore politico delle istituzioni. In tal modo il terzo settore italiano continuerà sempre a erogare servizi (sperimentandone anche di nuovi) ma potrà anche dar voce alle categorie deboli che incontra quotidianamente sul campo. Il bivio esiste ma la legge delega non spinge verso la direzione della subalternità a Stato e mercato, questa decisione toccherà alla governance delle organizzazioni del terzo settore.

È opportuno però ricordare che Achille Ardigò, grande sociologo e studioso del terzo settore, aveva già paventato nel 2001 una “svolta economicista” del volontariato italiano. Sicuramente se le organizzazioni del terzo settore agiscono esclusivamente in base ai principi del profitto e della competizione vi sono delle conseguenze nella qualità dei servizi erogati e nell’impatto sul territorio; va però precisato che la logica economica non è necessariamente quella dell’impresa for profit, come ben insegna Zamagni, l’Italia è stata la culla dell’economia civile che ha sempre guardato al bene comune.


Una riforma del welfare?

Dopo l’approvazione della legge delega vi è una generale attesa per i decreti attuativi del Governo con l’auspicio che l’elaborazione preveda sempre il coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza e delle parti sociali. La legge delega infatti definisce i temi e gli obiettivi ma sarà il Governo ha deliberare sul contenuto dei decreti; un aspetto critico da molti rilevato è infatti l’ampiezza della delega concessa al Governo.

I sindacati, inoltre rilevano come la riforma del terzo settore non possa essere la soluzione dei tanti problemi del sistema di welfare italiano bensì sia necessaria una più complessiva riforma del welfare. Per la CGIL la riforma è di per sé negativa in quanto introduce logiche filantropiche e di mercato nel modello di welfare indebolendo i diritti sociali conquistati senza riformarlo in senso universalista, per la CISL invece è un grande passo avanti che però deve essere inserito in un più grande disegno di riforma che tocchi aspetti su cui da anni la politica sociale nazionale latita come la povertà e l’esclusione sociale.

Il sindacato rileva come il sistema di welfare italiano sia caratterizzato da una grande frammentarietà, vari settori sono regolati da logiche di policy assai diverse e i differenti ambiti d’intervento beneficiano di coperture e tutele molto variegate, talvolta inesistenti. Il settore del contrasto alla povertà, con ben illustrato da Agostini (2015) e Lodi Rizzini (2015), ne è un esempio. È necessario quindi un intervento complessivo che valorizzi le competenze pubbliche e private (anche profit come nel caso delle fondazioni d’impresa e del welfare aziendale) maturate negli ultimi anni per costruire un welfare che veramente tuteli tutti i cittadini.