La Casa alla Vela

In Trentino è nato recentemente un esperimento di cohousing del tutto particolare. Per iniziativa della cooperativa sociale SAD di Trento è stata sviluppata una soluzione di “abitare collaborativo” che coniuga insieme il modello del senior cohousing con una modalità legata alla soddisfazione delle esigenze delle giovani generazioni: una nuova formula di “cohousing intergenerazionale”. È la “Casa alla Vela” che ospita, in un edificio di tre piani recentemente ristrutturato, cinque anziani ultra-ottantenni autonomi anche parzialmente, insieme a sette studenti tra i venti e trent’anni.

L’offerta abitativa riservata agli anziani contempla un loro proprio spazio privato —dotazione che è fortemente compromessa nella generalità delle case di riposo ma che qui, invece, è una prerogativa fondamentale, tipica del cohousing — insieme al beneficio di alcuni spazi condivisi per le attività comuni, in modo che vengano mantenuti l’individualità della residenza e il rispetto dei tempi di vita di ciascuno.

Di grande vantaggio per l’anziano è lo svolgimento delle incombenze quotidiane come l’approvvigionamento dei viveri, la preparazione dei pasti, l’igiene personale, il lavaggio e stiratura degli indumenti, fino alla pulizia degli ambienti comuni, assolte con il supporto di assistenti familiari. Supporto che può estendersi anche alle incombenze di carattere periodico come la gestione amministrativa, le pratiche burocratiche e le piccole manutenzioni.

Il menu quotidiano dei pasti e la preparazione delle pietanze sono oggetto di scelta comune e di partecipazione esecutiva, così come sono condivise la pratica del giardinaggio e la cura dell’orto. Le attività ricreative e gli hobbies, da condividere nel rispetto dell’indole e dell’attitudine di ciascuno degli ospiti, sono predisposti sia da educatori professionali sia da volontari — come gli studenti che, come vedremo meglio poi, abitano l’altro piano del cohousing. Tutte le iniziative sia quotidiane che di varia periodicità puntano alla motivazione dell’anziano, per porlo effettivamente in una condizione di longevità attiva.


Le peculiarità del progetto

Il modello abitativo del cohousing, che la Casa alla Vela sta sperimentando, è rappresentato da alcune dotazioni infrastrutturali e da peculiari modalità organizzative e gestionali:

  1. gli spazi comuni, funzionali alla socializzazione, alla conoscenza interpersonale e al supporto reciproco: la zona living (soggiorno e cucina), il giardino d’inverno interno, l’orto e la grande sa-la sottotetto, destinata ad attività formative e ricreative di entrambe le generazioni ospitate;
  2. i servizi a valore aggiunto, come le attività di mutuo aiuto e di messa a disposizione delle com-petenze di ciascuna fascia di età in una logica di reciprocità;
  3. la condivisione di beni e servizi secondo le logiche della “sharing economy”, in grado di gene-rare benefici economici grazie alla riduzione degli sprechi materiali, al risparmio di energia (gas, elettricità) e al ricorso ad economie di scala — ad esempio, un’unica persona, alternandosi, prepara il cibo per tutti o talvolta ognuno prepara qualcosa e viene allestito un pasto partecipato. A ciò si aggiunge, nella stessa logica, la già citata gestione condivisa degli adempimenti operativi e amministrativi tra i residenti, compiuta con il supporto di professionisti, secondo le necessità;
  4. la divisione delle responsabilità tra i cohousers secondo un’organizzazione non gerarchica, con il coordinamento di un tutor attento alla partecipazione;
  5. la sicurezza conseguente alla garanzia di un ambiente protetto, in contrasto con le paure e le ansietà associate all’isolamento. 

Altri elementi in questo progetto creano valore aggiunto per gli anziani, anche se non sono strettamente riconducibili alle proprietà del cohousing:

  1. l’“ambient assisted living”, attuato con istallazioni di apparecchiature per la rilevazione ambientale (controllo delle fughe di gas, dei rischi d’incendio, della qualità dell’aria, dell’intrusione di estranei, ecc.) e con altre attrezzature per la cura e il monitoraggio della persona (servizi di fall detection, soccorso in emergenza con telesoccorso anche in mobilità, servizi di videochiamata con parenti e amici, e di life-style coaching); il tutto messo a disposizione in via sperimentale grazie al progetto “Suitcase”, sviluppato da una cordata di portatori di competenze tecnologiche, ripartiti tra attori pubblici e privati in Trentino;
  2. l’assenza di barriere architettoniche insieme alla sicurezza e all’ergonomia di elettrodomestici e utensili in dotazione;
  3. la particolare attenzione, posta nella fase di ristrutturazione, verso la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica dell’edificio (materiali isolanti, doppi vetri, ecc.), che comportano una riduzione dei canoni delle utenze a carico dei cohousers;
  4. la presa in carico degli anziani distribuita tra vari soggetti sia a titolo gratuito che a pagamento — in un mix di economia di dono e di economia di mercato — in modo che il supporto fornito favorisca l’autonomia secondo le logiche dell’empowerment. Grazie alla collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato (un ente presente a livello provinciale), ruotano attorno all’anziano operatori del sociale, assistenti familiari sempre presenti nell’abitazione, assistenti a domicilio e operatori sanitari attivabili all’occorrenza, operatori abilitati al trasporto e all’accompagnamento individuale o di gruppo e pure gli studenti e i volontari disponibili ad animare i momenti culturali e ricreativi.


I benefici su invecchiamento attivo e servizi alla persona
 

Questo combinato disposto di caratteristiche rende la Casa alla Vela un’esperienza particolarmente innovativa e interessante per la sua eventuale replicabilità, con evidenti benefici:

  • a creazione di una vera e propria “filiera innovativa di sostegno alla persona”, che evita il ricorso a coloro che in famiglia si prendono comunemente cura dell’anziano;
  • la soluzione al problema della discontinuità assistenziale, che può dar luogo alla sindrome di burnout nei caregivers stessi;
  • la promozione dell’autonomia dell’anziano (empowerment), così da arginare in modo sostanziale il fenomeno dell’isolamento e della fragilità in una fascia sempre più estesa di popolazione;
  • la promozione dell’invecchiamento attivo e del benessere psico-fisico che, insieme alla partecipazione attiva alla comunità (engagement), arricchisce il “successful ageing”;
  • il conferimento di senso alla condizione esistenziale della vecchiaia (sensemaking).

Non è un caso che la United Nations Economic Commission for Europe abbia recentemente citato la Casa alla Vela tra le good practice italiane e l’abbia inserita tra i suggerimenti di policy in tema di strategie innovative per l’invecchiamento attivo.


Un’opportunità non solo per gli anziani

Ma oltre a fornire soluzioni agli anziani, la Casa alla Vela offre opportunità di cohousing anche a giovani studenti, per i quali viene messo a disposizione un intero piano della palazzina, indipendente dalla zona riservata agli altri ospiti.

Evidentemente anche a loro si estendono molti dei vantaggi della coabitazione elencati sopra per l’anziano: tra questi, l’avere a disposizione una confortevole mansarda per organizzare eventi ludico-culturali e la possibilità di raccogliere i prodotti freschi dell’orto sono percepiti con un valore aggiunto rispetto all’abitare in uno studentato. Inoltre, esistono per loro anche altri vantaggi che non derivano dal cohousing: l’opportunità di svolgere attività part-time in supporto agli anziani, che si prestano ad essere remunerate dalla SAD con voucher sociali. Quest’ultima sembra essere, peraltro, una caratteristica molto apprezzata; ma quella che i giovani cohousers ritengono soprattutto significativa è legata all’apprendimento sociale, alla comprensione interpersonale e al sapere esperienziale che essi hanno modo di maturare in questa nuova situazione, così diversa dal loro comune contesto di vita, di natura tipicamente mono-generazionale.

Si può ben comprendere, così, come la Casa alla Vela sia un’iniziativa che ha messo in interazione enti, imprese, il volontariato sociale e privati cittadini sulla spinta della cooperativa SAD. Il tentativo di comporre un sistema del genere reclama l’intervento delle istituzioni, ai loro diversi livelli di articolazione nel governo del territorio (comuni, comunità di valle, provincia); tuttavia queste, seppure interessate all’esperienza promossa, non sembrano ancora aver compreso che è richiesto loro un cambiamento radicale, nella forma di un vero e proprio “salto di paradigma”: passare dalla logica amministrativa dei miglioramenti normativi incrementali ad un approccio verso le politiche sociali secondo un nuovo modello organizzativo e gestionale, come quello del secondo welfare. È pure necessario un coordinamento degli attori sulla scena, funzione che potrebbe essere appannaggio di un tavolo multilivello dedicato, oltre che alla divulgazione e al confronto, anche a promuovere l’integrazione delle numerose iniziative in corso, in modo da ridurre la dispersione delle energie. SAD si prefigge di replicare l’esperienza della Casa alla Vela, ma per farlo ha bisogno del supporto della finanza sociale e della filantropia d’impresa, le quali vanno innestate lungo una filiera virtuosa che è compito della pubblica amministrazione dispiegare nelle migliori forme con l’apporto degli attori interessati, provenienti dalle istituzioni, dal mercato e dalla società civile.


Senior cohousing, secondo welfare e innovazione sociale

Stato, mercato, Terzo settore e famiglie sono le arene coinvolte nella produzione sociale del welfare. Oggi sono tutte attraversate dalla stessa crisi, il cui superamento richiede soluzioni partecipate, frutto della composizione delle separazioni settoriali e della collaborazione tra i vari attori.

In effetti, le trasformazioni in atto nel Paese stanno facendo emergere una nuova configurazione di welfare nella quale gli stakeholders che appartengono alle quattro arene fanno rete e insieme producono programmi e iniziative congiunte, contraddistinte dalla condivisione di risorse finanziarie e progettuali. Il “Secondo welfare” scaturisce proprio da questa più stretta collaborazione fra Stato, mercato, privato sociale e cittadini, che collaborano per produrre in modo sinergico soluzioni e risposte per il benessere di individui e famiglie, ossia dei destinatari degli interventi. Nel nuovo modello il welfare pubblico conserva la sua funzione redistributiva di base, ma viene integrato quando vi sono domande non soddisfatte di tutela e di servizi alla persona o alle famiglie.

Poiché il passaggio di funzioni da sempre peculiari del welfare pubblico alla nuova formula del secondo welfare avviene attraverso un intervento sussidiario di attori diversi dallo Stato — tra gli altri, in un ruolo rilevante, l’impresa sociale — quest’ultimo viene alleggerito dalle molteplici pressioni sociali che sempre più gli gravano addosso. La sussidiarietà che ha modo di svolgersi trasferisce poteri e responsabilità dal centro alla periferia e, soprattutto, dal soggetto pubblico ai corpi intermedi della società, che vedono valorizzate le proprie iniziative grazie all’integrazione con le strategie pubbliche di welfare.

Osservato dalla particolare angolatura del secondo welfare, il senior cohousing si presta ad esserne uno strumento congruente se viene adoperato rispettando due condizioni essenziali:
1) dare rilievo alla dimensione sociale dell’iniziativa abitativa, così da rispettare la prassi del coinvolgimento diretto e attivo dei futuri residenti sia durante le fasi di progettazione e realizzazione, che nella gestione successiva;
2) fare ricorso ad una partnership pubblico-privato (PPP) per lo sviluppo del progetto, in modo che l’iniziativa privata non si sostituisca semplicemente a quella pubblica, ma si aggiunga a quest’ultima nel quadro di un programma che ne contempla l’integrazione economica e operativa.

Quando si realizza nell’ambito della partecipazione pubblico-privato, il senior cohousing corrisponde a una forma di forte innovazione sociale. Le iniziative che avvia e i risultati che ottiene danno una risposta a bisogni emergenti delle persone e delle comunità grazie a nuove modalità di collaborazione fra attori sociali e a nuovi schemi d’azione.

La crisi irreversibile in cui versa il modello di welfare tradizionale, collegata alla riduzione delle risorse disponibili e all’emergenza di nuove forme di bisogni relazionali, richiede un cambiamento nella lettura di tali bisogni e nella predisposizione delle risposte, di consistenza e portata tali da non accontentarsi di un semplice re-engineering organizzativo e normativo. Sembra auspicabile un mutamento del sistema di equilibrio attuale verso un nuovo assetto, in una sorta di “distruzione creatrice” che affermi nuove concezioni e nuove pratiche di rilievo sociale, culturale ed economico, frutto della combinazione originale di elementi già esistenti.

Nella fase iniziale, un cambiamento del genere potrebbe essere appannaggio di minoranze attive che svolgono la funzione di “early adopters”, vocate ad aprire per prime la strada ad un orientamento collettivo della società intera, la quale seguirebbe quei passi solo successivamente. In Italia, infatti, i progetti di cohousing già realizzati in questa fase pioneristica, così come i diversi tuttora in corso d’opera, hanno preso avvio grazie al coinvolgimento progressivo di gruppi, di comunità di pratiche, di sistemi locali e di reti trans-territoriali. Ma il cohousing come politica sociale innovativa e come sistema di buone pratiche attende istituzioni virtuose e sensibili a vario livello, meglio se vicine ai bisogni del territorio, che inizino a rispondere alle aspirazioni di cittadini attivi e a creare opportunità per questa nuova modalità di abitare.


Il Trentino come laboratorio di secondo welfare

Le differenze tra il nostro Paese e gli stati nord europei nei quali il cohousing ha trovato un’estesa attuazione sono evidenti. La presenza di modelli familiari tradizionali e di forme di proprietà classiche dell’abitazione rende sicuramente la sfida più complessa. Nonostante queste condizioni avverse, in Italia il cohousing ha comunque fatto la sua comparsa. Sono state realizzate comunità in Emilia Romagna, nella provincia di Torino, a Milano e in altre località del nord. Molti progetti sono in via di definizione e si è ramificata la “Rete nazionale per il cohousing e l’abitare solidale”, che raccoglie sia le associazioni per lo sviluppo di progetti abitativi comunitari che gruppi di cohousers.

È interessante, dunque, capire se il senior cohousing può trovare spazio in una realtà come il Trentino. Anche in Trentino, regione a tradizione cattolica caratterizzata da forti legami familiari, il prolungamento della terza età sperimentato insieme alla crisi economica sta facendo emergere un fenomeno — rilevato dagli operatori sociali — di ritorno delle donne al ruolo di accudimento a tempo pieno dei genitori anziani, svolto spesso parallelamente a quello di caregiving nei confronti della famiglia acquisita. Nella maggior parte dei casi, prendersi cura a tempo pieno dell’anziano fragile non è una scelta ma una necessità di fronte alla mancanza di alternative concrete, coordinate ed efficaci, delle quali il senior cohousing potrebbe rappresentare un esempio risolutivo, in Trentino ora come nei paesi scandinavi già oltre quarant’anni anni fa.

Peraltro, nella Provincia autonoma di Trento esiste un’offerta strutturata di assistenza domiciliare, caratteristica che potrebbe facilitare la diffusione di questo modello abitativo a vantaggio dei pensionati residenti. A ciò si aggiunga che le località trentine risultano ai primi posti nelle classifiche per la qualità della vita e che il territorio presenta caratteri che lo qualificano come destinazione turistica di rilievo; dunque, se guardato in una prospettiva di medio-lungo periodo, il Trentino può diventare una destinazione attrattiva a livello nazionale e internazionale anche per pensionati non residenti all’insegna del benessere e della longevità attiva, a patto che venga sviluppata una pianificazione territoriale lungimirante, che contempli strategie di sviluppo e di marketing territoriale appositamente predisposte.

Questo nuovo stile abitativo può ben fare da volano alla ripresa di molti settori economici che ruotano attorno al benessere della persona e può generare sviluppo in molteplici ambiti come quello sociale — con i suoi percorsi di secondo welfare —, quelli sanitario, alberghiero, turistico e del leisure. Ne beneficerebbero anche l’edilizia e l’artigianato, per la ristrutturazione e la riconversione del patrimonio abitativo esistente e per la riqualificazione energetica degli immobili.

Infatti, il territorio trentino è ampiamente dotato di strutture immobiliari che potrebbero essere riconvertite in modo mirato in cohousing. Proprio a causa della crisi, anche i suoi centri abitati ospitano locali inutilizzati che, attraverso l’impegno dell’ente pubblico, potrebbero interessare progetti di riqualificazione edilizia e di rigenerazione urbana da coniugare con l’aiuto sociale, da un lato, e con lo sviluppo economico sostenibile, dall’altro. Proprio la trasformazione di realtà immobi-liari dismesse in comunità abitative di tipo cohousing consentirebbe di attivare nuove opportunità di mercato.

Ciò considerato, si può sostenere che in Trentino esistano le condizioni, reali e potenziali, a livello socio-culturale, istituzionale, politico ed economico affinché il territorio diventi sede di iniziative di senior cohousing concepite come supporti allo sviluppo della longevità attiva. Pertanto, è davvero fondamentale che il settore pubblico riveda secondo questa nuova prospettiva la propria pianificazione sociale e abitativa, nonché le politiche di investimento delle risorse pubbliche destinate al social housing.

 

Riferimenti

Casa alla Vela

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