5 ' di lettura
Salva pagina in PDF

L’ISTAT ha pubblicato ieri il Report “La povertà in Italia”, il rapporto annuale con cui l’Istituto di Statistica fa il punto aggiornato sul fenomeno della povertà nel nostro Paese.

Il Rapporto – che si basa sui dati contenuti nell’Indagine sulla spesa delle famiglie – fotografa una situazione sostanzialmente stabile del fenomeno povertà. Nel complesso, sia i dati relativi alla povertà assoluta sia quelli concernenti la povertà relativa presentano oscillazioni nulle o statisticamente non significative rispetto ai livelli registrati nel 2013. Appare tuttavia interessante considerare più da vicino le stime elaborate dall’ISTAT, per comprendere meglio le principali tendenze in atto e la diversificazione del fenomeno su base territoriale e sociale.

Se si guarda alla povertà assoluta, va precisato che sono considerate in questa condizione tutte quelle famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore di una soglia (che varia in funzione della dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza) corrispondente alla “spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile” (il valore di questa soglia può essere calcolato direttamente sul sito dell’ISTAT).

In base ai dati ISTAT, nel 2014 erano 1 milione e 470 mila le famiglie in condizione di povertà assoluta (il 5,7% del totale), per un totale di 4 milioni e 102 mila individui (il 6,8% della popolazione). Dopo due anni di aumento, l’incidenza della povertà assoluta appare stabile rispetto al 2013. Come emerso già nelle precedenti rilevazioni, è interessante sottolineare che la distribuzione territoriale del fenomeno non è omogenea: mentre nel Nord la povertà assoluta riguarda il 5,7% della popolazione, nel Mezzogiorno, dove pure si registra un lieve calo rispetto al 2013, si attesta all’8,6%. Se si considera la composizione delle famiglie, ad essere più colpiti sono i nuclei numerosi (è in povertà assoluta il 16,4% delle famiglie con 5 o più componenti), oltre a quelli con stranieri (la povertà assoluta riguarda il 12,9% delle famiglie miste e il 23,4% di quelle compose solo da stranieri). Al contrario, l’incidenza di questa forma di povertà si riduce all’aumentare dell’età della persona di riferimento e del suo titolo di studio. Inoltre, mentre al Nord il disagio si concentra nelle aree metropolitane, nel Mezzogiorno la povertà assoluta fa registrare dati più elevati nei piccoli comuni che nelle grandi aree urbane: come sottolinea l’ISTAT, questi dati contribuiscono a delineare due diverse “dimensioni del disagio”, di tipo rurale al Sud e urbano al Nord. L’Istituto registra anche alcuni segnali di miglioramento, in particolare tra le famiglie con persona di riferimento di età compresa tra i 45 e i 54 anni, tra le coppie con due figli e tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione.

Anche la povertà relativa risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2013: nel 2014 si trovava in questa condizione il 10,3% delle famiglie italiane (pari a 2 milioni e 654 mila nuclei), corrispondente a 7 milioni 815 mila individui (ovvero il 12,9% della popolazione: nel 2013 il dato si attestava al 13%). L’incidenza della povertà relativa è calcolata sulla base di una soglia convenzionale – la “linea di povertà” – che corrisponde, per una famiglia di due persone, alla spesa mensile media per persona nel Paese (per famiglie di ampiezza diversa, viene applicata una scala di equivalenza, che tiene conto delle economie di scala al crescere della dimensione del nucleo): sono considerati in povertà relativa i nuclei familiari che si trovano al di sotto di questa linea.

Guardando all’incidenza di questo tipo di povertà tra gli individui per classi d’età, è da segnalare il dato relativo alle persone con meno di 18 anni: è in questa classe, infatti, che si registra il dato peggiore (quasi un minore su 5, il 19%, si trova in condizioni di povertà relativa). Dal punto di vista della distribuzione territoriale, si confermano – in termini ancora più marcati – le differenze fra le diverse aree geografiche del Paese segnalate per la povertà assoluta: la povertà relativa colpisce infatti il 4,9% delle famiglie al Nord, il 6,3% al Centro e ben il 21,1% nel Sud. Le regioni meno colpite dal fenomeno della povertà relativa sono Trentino-Alto Adige, Lombardia e Emilia-Romagna (in questi casi il dati si aggira intorno al 4%), mentre quelle in cui la povertà relativa si manifesta con maggiore gravità sono Calabria, Basilicata e Sicilia, regioni in cui il fenomeno interessa più di una famiglia su quattro. Nel complesso, con l’eccezione dell’Abruzzo, tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un’incidenza della povertà relativa superiore al dato medio nazionale. Come per la povertà assoluta, i dati più critici si registrano nelle famiglie numerose (a livello nazionale il 28% è in povertà relativa, mentre al Sud il dato sale al 36,8%) e in quelle con figli minori. Infine, anche in questo caso appaiono più esposte le famiglie la cui persona di riferimento ha un basso livello di istruzione: è in povertà relativa oltre il 15% delle famiglie in questa condizione, più del doppio di quelle la cui persona di riferimento abbia conseguito almeno un titolo di scuola media superiore (il 6,2%).

Infine, l’ISTAT propone un’interessante classificazione delle famiglie, capace di superare la semplice distinzione fra nuclei poveri e non poveri, grazie alla definizione di soglie che corrispondono all’80%, al 90%, al 110% e al 120% della linea di povertà standard. In questo modo, l’Istituto classifica le famiglie in gruppi, definiti in base alla distanza (positiva o negativa) rispetto alla linea di povertà, come illustrato nella Figura 1.

 

Figura 1. Famiglie povere e non povere in base a diverse linee di povertà. Anno 2014, percentuale
Fonte: La povertà in Italia, ISTAT, Roma, 2015 (p. 13)

Guardando alle famiglie che si discostano in negativo da tale linea, i nuclei che presentano livelli di spesa mensile inferiori di oltre il 20% sono definiti “sicuramente poveri”: nel 2014 erano il 4,7% delle famiglie residenti. Le famiglie “appena povere” – il 5,6% del totale – presentano invece livelli di spesa inferiori di non oltre il 10% rispetto alla linea di povertà. Gli scostamenti positivi dalla linea permettono di identificare non solo le famiglie “sicuramente non povere” – l’82,9% del totale – ma anche quelle definite “quasi povere”, nel senso che, pur essendo al di sopra della linea di povertà, presentano livelli di spesa molto prossimi ad essa: risulta così in una condizione di “quasi povertà” il 6,8% delle famiglie residenti in Italia (di queste, quasi la metà, il 3,3%, è caratterizzata da valori che non si discostano di più del 10% dalla linea standard).

 

Riferimenti

La Povertà in Italia – Report 2014

Calcolatore ISTAT della soglia di povertà assoluta

Potrebbe interessarti anche:

Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi

Chi sono i poveri e cos’è la povertà?

Vulnerabilità ed emergenze sociali: il quadro del 15° Rapporto Giorgio Rota

 

Torna all’inizio