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Lo scorso 27 e 28 Marzosi è tenuta a Praga, nelle sale del Municipio della Città Vecchia e del palazzo Ceská Sporitelna, una importante Conferenza Internazionale annua sulla tematica dell’invecchiamento dal titolo "New Technologies: Opportunity or Challenge for the Aging Population?". Organizzata da KEYNOTE, società specializzata nell’organizzazione di conferenze ed eventi, e dall’Active Aging Center, organizzazione non governativa che tra i propri obiettivi ha il miglioramento della qualità della vita degli anziani e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema dell’invecchiamento della popolazione, questa è la terza di un ciclo di conferenze afferenti al progetto internazionale (eng)aging!; la prima, tenutasi nel 2017, aveva per titolo “Population Aging: Challenges And Opportunities”, mentre la seconda, svoltasi nel 2018, si intitolava “Aging Workforce: Older Workers and Immigrants as New Pillars of Western Economies?”. L’obiettivo del progetto (eng)aging! è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’invecchiamento della popolazione e di creare una piattaforma che riunisca le parti interessate che in Europa (e in particolare in Europa centrale) si occupano del tema.

Il convegno si è svolto nell’arco di due giornate: la prima di carattere più istituzionale, la seconda organizzata nella forma di un convegno vero e proprio.

Durante la prima mezza giornata, subito dopo la cerimonia di conferimento dell’Age Management Excellence Award ad una impresa locale per modalità innovative relative alla gestione dell’età sul posto di lavoro, il convegno ha avuto apertura con il panel “Future of e-Health and Telemedicine”.

Miloš Táborský, Professore di Medicina presso la Palackého University e fondatore del National Telemedicine Center (Repubblica Ceca), si è concentrato sulla descrizione del rapporto tra aging e tecnologia nella Repubblica Ceca. Táborský ha riportato come alcune realtà tecnologiche quale la realtà virtuale siano già pratiche routinarie all’interno del paese; e tuttavia, sembrano esistere anche ampi spazi di miglioramento laddove non è previsto uno specifico budget stanziato dalla Repubblica Ceca per l’ambito eHealth. Un’eccezione sarebbe rappresentata dai sistemi di monitoraggio in remoto del pacemaker.

Di taglio diverso è stato invece l’intervento di Nick Guldemond, Professore di Integrated Care & Technology presso la Erasmus University Rotterdam (Paesi Bassi), che ha offerto una riflessione teorica più generale sul sistema salute e sull’impatto delle nuove tecnologie su quest’ultimo, con riferimento all’anziano. In particolare, Guldemondha affermato come, all’interno del sistema salute, si sia passati da un “modello medico curativo”, come lo ha definito, a una prospettiva di "interconnessione sociale" basata sul cosiddetto “person-centred approach. Tale cambiamento porta con sé la necessità di anticipare i bisogni della popolazione, e non solo curarne le condizioni patologiche laddove già presenti. L’idea è di tenere altresì in debito conto anche le preferenze degli individui e le considerazioni relative alla qualità della vita degli stessi, diventati ormai aspetti centrali nel dibattito. Secondo Guldemond, la tecnologia può svolgere un importante ruolo di facilitazione rispetto alle condizioni prima menzionate, laddove si superi il ‘livello zero’ della tecnologia finalizzata alla cura, per approdare a usi più sofisticati della tecnologia, quali la “home-care technology”, i “self-management supporting tools” e le tecnologie relative a educazione e “life style”.

Partendo dalle stesse premesse – approccio centrato sulla persona e interconnessione sociale – Melita Sogomonjan, Project Manager presso il Smart Development Department, Ministry of Social Affairs (Estonia), ha sostenuto come si sia sempre più di fronte ad una “network medicine”, la quale non può più prescindere da influenze esterne, innanzitutto coinvolgendo i diversi attori nella definizione delle priorità dell’agenda setting.

La mattina della seconda giornata si è aperta con due keynote lectures da parte di Anu Siren e Jonathan Rutheford, seguite da alcuni brevi interventi. Ciascuna lecture inaugurava una delle due sessioni parallele dal titolo, rispettivamente, “Perception, progress, problems: older adults’ acceptance of new technologies” e “Opportunities for community participation and social inclusion through ICT”.

L’intervento di Anu Siren, Senior researcher del Danish Center for Social Science Research VIVE (Danimarca/Finlandia), si è aperto con considerazioni generali riguardanti la popolazione anziana ed ha quindi proposto alcuni commenti relativi ai risultati derivanti da studi qualitativi da lei condotti. In generale, Siren ha ribadito come gli anziani non possano essere considerati né gruppo sociale minoritario, né un gruppo sociale omogeneo. Non è minoritario, dal momento che in Europa secondo statistiche Eurostat del 2017, un cittadino su cinque (19%) è anziano. Non è omogeneo, dal momento che, a seconda dell’età anagrafica, gli anziani vengono classificati in “giovani anziani”, “anziani veri e propri” e “grandi anziani”; e, a seconda della propria condizione individuale, come “autosufficienti”, “parzialmente autosufficienti” e “non autosufficienti”. Dal fatto che il gruppo anziani sia un gruppo numeroso seguirebbe, secondo la studiosa, l’idea secondo la quale la non inclusività sociale, politica e sanitaria, non sarebbe un’opzione né eticamente percorribile né fattualmente sostenibile. Dal riconoscimento dell’eterogeneità del gruppo degli anziani seguirebbe, invece, l’impossibilità di trattare la categoria come se al suo interno si potessero identificare individui con bisogni ed esigenze identiche e immutabili, ossia definite una volta per tutte.

Siren ha inoltre aggiunto che non solo viviamo in una società in cui il numero di anziani è aumentato, ma anche che ulteriori categorie di anzianità sono venute a formarsi, quella degli anziani veri e propri e quella dei grandi anziani. Questi due nuovi gruppi sociali individuano una fase ulteriore della vita umana, la cosiddetta “late life”, di cui non si sa abbastanza. Si impone, pertanto, come scelta responsabile quella di strutturare l’intero percorso di vita precedente in termini di abitudini alimentari, motorie, di prevenzione in modo da non diventare anziani senza averci pensato in tempo.

A partire da queste premesse, scopo della relazione di Siren è stato quello di indagare i determinanti della capacità di usare nuove tecnologie nell’età avanzata, ponendosi in particolare la domanda se il digital divide” tra le diverse generazioni possa dirsi legato all’età o meno. I risultati della ricerca avviata a partire da questo interrogativo sono già stati pubblicati [per una trattazione completa si veda: Anu Siren & Sine Grønborg Knudsen (2017) Older Adults and Emerging Digital Service Delivery: A Mixed Methods Study on Information and Communications Technology Use, Skills, and Attitudes, Journal of Aging & Social Policy, 29:1, 35-50]. In breve, si può riassumere dicendo che, per quanto un più competente e più massivo uso della tecnologia appaia legato all’età anagrafica degli intervistati, tale correlazione non sembra un fenomeno intrinsecamente legato all’anzianità ma solo a sue componenti spesso ma non sempre presenti, quali una minor educazione tecnologica e una maggior probabilità di andare incontro a fenomeni di decadimento cognitivo. Tuttavia, quando queste due condizioni non si verificano, sono l’esperienza, l’atteggiamento e le capacità individuali a fare la differenza.

La relazione di Siren si è conclusa con il monito a non confondere l’imperativo etico di disegnare la tecnologia sulle esigenze dell’anziano con lo scopo pragmatico di ‘utilizzare’ l’anziano per progettare modelli tecnologici dal grande potenziale economico.

Proprio a partire da queste ultime considerazioni ha iniziato il suo intervento Jonathan Rutheford, Vice-President di Vodafone Business (Repubblica Ceca/UK). In apertura, egli ha affermato che, dal momento che le nuove tecnologie sono divenute parte integrante della società contemporanea, non ha più senso chiedersi se siano desiderabili o meno, piuttosto come fare per massimizzarne i risultati, contenendone, nel contempo, i danni potenziali e ricercandone – aggiungo io – quelli ancora ignoti. Prima di passare brevemente in rassegna le nuove tecnologie prodotte e sponsorizzate da Vodafone, Rutheford ha argomentato come quello di “nuova tecnologia” sia un concetto relativo. Per una coppia di anziani (quale quella dei suoi genitori riportati sul grande schermo) uno smartphone con programmi che permettono di comunicare a distanza e monitorare la crescita della nipote che i nonni vedono raramente di persona, data la distanza tra le relative abitazioni, è ad esempio una nuova tecnologia a tutti gli effetti, anche se diffusa ormai da diversi anni.

Altro punto nodale della relazione di Rutheford è che, a suo parere, ogni nuova tecnologia deve rispondere a un’esigenza dell’anziano o a una problematica definente la condizione dell’anzianità (e qui torniamo al monito finale di Siren) quali, ad esempio: l’essere non connessi, l’isolamento sociale, il decadimento fisico e/o cognitivo, etc. Da qui le nuove tecnologie proposte da Vodafone:

  • V-SOS Band, il bracciale di sicurezza che, come da descrizione dal sito di Vodafone, “ti permette di essere vicino alle persone che ami quando ne hanno davvero bisogno, sia in casa che fuori, perché ti avvisa immediatamente. Così loro possono muoversi liberamente e tu sei più tranquillo”. Il sistema funziona tramite l’invio di un SOS attraverso bracciale da parte dell’anziano, cosa che genera una notifica sull’app V-SOS Band con le coordinate GPS di chi lo indossa e l’istante esatto dell’invio.
  • AV1 Robot, il primo robot progettato da Vodafone contro l’isolamento sociale sia dell’anziano sia del minore costretti, entrambi e per diverse ragioni, a non poter lasciare la propria casa. Dotato di webcam di 360°, disegnato in modo da recarsi dove l’utente non può andare, AV1 Robot permette a quest’ultimo di vedere, attraverso i suoi occhi, ciò che accade al di fuori, e di partecipare così a diverse attività, come eventi formativi o ricreativi (quali ad esempio compleanni), altrimenti precluse all’utente stesso.
  • Ekso Bionics, lo scheletro robotico contro l’isolamento fisico, che aiuta nella riabilitazione in fase post acuta pazienti che abbiano subìto un ictus o presentino lesioni al midollo spinale.

L’intervento si è concluso, oltre che con l’espressione (speriamo non solo retorica) di “health+care” intesa a ribadire come il sistema salute non possa prescindere dalla dimensione dalla cura, con la raccomandazione che non siano solo eticisti, scienziati sociali e altri studiosi a indagare sul risvolto etico e sociale delle nuove tecnologie, ma che questi aspetti siano parte del bagaglio formativo e di training anche di coloro che, designer e ingegneri, progettano tali tecnologie. A ciò va unita empatia, necessaria a questo genere di indagine.

Tra le successive presentazioni, a parere di chi scrive, le più significative  sono state quelle di: Andrew Sixtsmith, scienziato sociale presso lo STAR Institute, Simon Fraser University (Canada), Harald Kunemund, Professore presso l’Instituto di Gerontologia presso l’Università di Vechta (Germania), e Pascal Négré, esponente del Maturolife Project (Francia). 

Nel suo “The Dark Side of Technology and Aging: What Should We be Worrying about?”, Andrew Sixtsmith ha rappresentato la voce scettica nei confronti della tecnologia, operando da utile contrappeso agli entusiasmi precedenti e successivi. Per lui, quella delle nuove tecnologie è una prospettiva che rappresenta il male minore rispetto ad altre alternative possibili ma non certo la migliore in quanto tale. Come esempio, Sixtsmith afferma che la prospettiva di avere la propria casa “tappezzata di sensori di monitoraggio” – attraverso il modello delle “Home Assistive Technologies” – non rappresenta certo una prospettiva ottimale, per tutte le potenziali violazioni, almeno in termini di privacy, che tale sistema può comportare (l’intervento di Sixtsmith riporta alcune delle affermazioni contenute nel famosissimo testo di Shoshana Zuboff – The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power), ma che tale scenario appare a lui comunque preferibile rispetto a quanto previsto, per l’anziano, da classiche politiche di Long Term Care, tanto nella forma di assistenza domiciliare, quanto in quella più diffusa delle case di residenza per gli anziani.

Harald Kunemund nella sua relazione “Technology and Aging – The Role of Gerontology” ha messo invece in questione tutta una serie di strumenti, finora dominanti, atti a mappare le presenze degli anziani per disegnare su di esse le innovazioni tecnologiche che li interessano. Il punto di partenza della sua analisi è l’attestazione del fatto che molto spesso i risultati di ricerche volte ad indagare che cosa l’anziano desidera (o desidererebbe qualora fosse messo in condizione di scegliere), portano a risultati diversi tra loro. La ragione di questa eterogeneità va ritrovata, per Kunemund, nel fatto che, da un lato i metodi di ricerca qualitativa sono diversi tra loro e, dall’altro, che i campioni intervistati non costituiscono, il più delle volte, soggetti rappresentativi rispetto alla popolazione di interesse. Secondo Kunemund, nel cui ragionamento la pars destruens ha ricoperto la parte maggioritaria del discorso, non ha senso partire dalle preferenze degli anziani perché queste persone non ci saranno più quando la tecnologia, su di questi indagata, sarà stata sviluppata e implementata; così come non appare utile partire da un’analisi degli utenti comunque coinvolti nello sviluppo e nell’analisi delle nuove tecnologie perché loro stessi muteranno in futuro le loro preferenze e la tecnologia di cui si parla ora sarà diversa da quella poi sviluppata; infine, secondo lo speaker, non ha senso partire da “modelli teorici dell’invecchiamento” dal momento che questi rischiano di dare adito a ragionamenti troppo generici, e di avere poi un impatto poco significativo sul contesto di interesse. La proposta di Kunemund è allora quella di partire dai problemi, evitando di investire troppa energia sugli utenti. Come esempio, egli riporta il problema della caduta. L’impatto potenziale negativo, per l’anziano, derivante dalle cadute – dice Kunemund – è un problema concreto che, indipendentemente dalle preferenze degli utenti attuali o finali, caratterizzerà sempre la condizione dell’anzianità. L’invito di Kunemund è allora quello di partire dai problemi concreti per evitare non solo gli stereotipi ma anche gli errori derivanti da un uso esasperato della “user-centricness”.

Esattamente a partire da premesse opposte si è invece strutturato il progetto H2020 Maturolife (Metallisation of Textiles to make Urban living for Older people more Independent and Fashionable) rappresentato, in questa occasione, da Pascal Négré. Secondo Négré e colleghi, infatti, è infatti dall’indagine delle preferenze degli utenti finali che occorre partire per disegnare le nuove tecnologie. Con un consorzio costituto da 20 partner provenienti da 9 paesi, questo progetto mira a far lavorare insieme elettrochimici, scienziati dei materiali ed esperti nei processi di produzione elettronica insieme a designer creativi e artistici, per produrre tessuti intelligenti con l’obiettivo di rivoluzionare la cosiddetta “assistive technology” per le persone anziane. Tra le nuove tecnologie ideate fin d’ora all’interno del progetto, Négré richiama il divano con device incorporati con diverse funzioni, tra cui quello che permette di registrare quanto l’anziano sta seduto, in che orari, e pre-allertare i familiari se resta seduto troppo a lungo o per un tempo sospetto, e ancora: i vestiti con tessuti di termoregolazione, che riscaldano o raffreddano a seconda delle esigenze dell’anziano, la sua temperatura corporea, e l’ambiente circostante; ancora, le scarpe che agevolano la circolazione e facilitano la deambulazione. La questione allocativa su chi potrà permettersi, in futuro, di beneficiare di queste tecnologie non è, naturalmente, passata inosservata.

Nella seconda parte della giornata, si sono susseguite presentazioni a invito da parte di senior speakers e panel aperti a giovani ricercatori, che hanno presentato i risultati preliminari di innovazioni tecnologiche relative al contesto dell’aging, nate all’interno di progetti pluriennali, finanziati perlopiù dall’Unione Europea. Di seguito si riportano alcuni tra gli esempi più significativi, appartenenti alla sessione parallela dal titolo “Accessible technology for independent aging”.

Andreas Stainer-Hochgatterer, Senior Expert Advisor della AIT Austrian Institute of Technology GmbH (Austria) ha presentato il dispositivo Kith&Kin: all’apparenza un semplice tablet, Kith&Kin nasce per rispondere all’esigenza degli anziani di restare connessi quanto più possibile con i loro familiari, anche se da remoto, attraverso una modalità di contatto che non sia la semplice chiamata telefonica. Progettato contro le problematiche legate all’isolamento, tale dispositivo è stato costruito attraverso un processo di “co-creation”, così da permettere che “fosse la tecnologia ad adattarsi alle esigenze dell’anziano, e non viceversa”.

Lucie Vidovicová, dell’Office for Population Studies, Faculty of Social Studies, Masaryk University (Repubblica Ceca) ha presentato un progetto che utilizza Pepper, primo robot umanoide sociale prodotto dalla Softbank Robotics in grado di riconoscere i volti e le emozioni umane di base, come strumento di intrattenimento tra gli anziani.

Rui Hu, Ricercatrice presso il Science & Technology Department, IBM Research Zurich (Svizzera) ha presentato risultati preliminari di un progetto relativo alla costruzione di un “Cognitive IoT Monitoring and Support System for Elderly Care” (questo anche il titolo della sua presentazione), ossia un sistema che utilizza Internet of Things da inserire nelle case degli anziani. Tale sistema in primo luogo studia i modelli di comportamento quotidiano dell’anziano, per poi mandare apposita comunicazione a parenti e/o professionisti sanitari, qualora, dai rilevamenti, si osservasse qualcosa di anomalo: ad esempio, che il soggetto anziano ha passato più tempo del solito a letto/in posizione supina, che ha camminato meno rispetto a come registrato quotidianamente; o semplicemente, se si rileva un’inazione ad un orario anomalo della giornata.

Quando si vedono online video come quelli del robot Alice l’entusiasmo per le nuove tecnologie si unisce al timore delle derive etiche, politiche e sociali a cui queste possono portare: accanto ai problemi di privacy e alle questioni allocative già menzionate, la grande e variegata famiglia delle nuove tecnologie porta con sé il rischio intrinseco di condurre a quello che potremmo definire un ‘isolamento legittimato’ dell’anziano, dove l’assenza di cura per il proprio anziano pesa meno proprio perché c’è qualcun altro – meglio qualcos’altro – che si sta occupando di lui, o c’è un interfaccia di qualche genere che lo fa sentire più vicino, o un dispositivo che avverte in caso di pericolo potenziale e/o attuale. E tuttavia, almeno alcuni di questi timori vengono a ridimensionarsi quando ci si rende conto, attraverso le parole di uno degli speaker prima menzionati, Andrew Sixsmith, che “real applications are still to be developed”. L’esercitazione pratica di Michal Varecka del Czech Institute of Informatics, Robotics, and Cybernetics, con il già citato robot Pepper ha chiuso il convegno. Prima interazione: “Ciao Pepper”, “Ciao Michal”, risponde Pepper, mostrando di riconoscere vocalmente e/o visualmente chi gli parla. Grande stupore ed entusiasmo in sala. Seconda interazione: “Come stai?”, chiede Michal. Pepper risponde: “Non c’è male, grazie. C’è un bel sole oggi!”. A Praga, tuttavia, cadeva la pioggia.