La sfida della solitudine, in tutte le sue declinazioni, si impone oggi come una questione cruciale per le società contemporanee. A lungo considerata una condizione personale, la solitudine è oggi sempre più riconosciuta come un fenomeno sociale, con ricadute significative in termini di benessere, salute, coesione e sostenibilità delle comunità (cfr. Hertz 2020; Schnepf et al. 2024). La sua crescente rilevanza emerge in un contesto segnato da trasformazioni demografiche, mutamenti nei modelli familiari, crisi sanitarie, instabilità economiche tra globalizzazione e ritorno a politiche protezionistiche, processi di urbanizzazione, digitalizzazione, transizione ambientale e un welfare dal futuro (sempre più) incerto che hanno ridefinito profondamente le modalità di socializzazione, di partecipazione e di costruzione delle relazioni.
Le evidenze empiriche, ormai consolidate, segnalano l’esistenza di una vera e propria “epidemia silenziosa” di solitudine: secondo i dati Eurostat, nel 2022 circa il 13% degli europei dichiarava di sentirsi frequentemente solo, con picchi più elevati tra gli over 75, le persone con disabilità, i giovani e i migranti. In Italia, la situazione è particolarmente preoccupante: secondo Istat (2025) nel 2023-2024 più della metà delle famiglie risultava composta da persone sole (36,2%) o da coppie senza figli (19,4%) a fronte di famiglie estese che rappresentano ormai una minoranza. Il nostro Paese registra inoltre uno dei tassi più alti di giovani NEET a livello europeo, molti dei quali sperimentano forme acute di isolamento sociale (si pensi agli hikikomori), e un numero crescente di persone anziane che vivono in condizioni di solitudine cronica, con conseguenze rilevanti sulla salute e sulla qualità della vita. Indagini recenti della Commissione Europea mostrano come il senso di solitudine sia percepito come una minaccia crescente al benessere individuale e collettivo (Nurminen et al. 2023), tanto che alcuni Paesi (Regno Unito, Giappone, Olanda) hanno istituito specifiche strutture di governo per monitorare e contrastare il fenomeno.
In questo scenario, la riflessione sulla povertà relazionale si impone con forza. A differenza della solitudine, che può essere anche temporanea, voluta o legata a scelte personali, la povertà relazionale descrive una condizione strutturale di deprivazione di legami significativi, sia nella sfera privata sia pubblica. Essa si manifesta come assenza, fragilità o compromissione delle relazioni familiari, amicali, di comunità, lavorative, e può colpire trasversalmente tutte le età e le condizioni sociali. Come messo in evidenza da Chiara Saraceno nel primo contributo di questo numero, la povertà relazionale è una forma di mancanza di risorse sociali che, analogamente alla povertà economica, incide sulla qualità della vita, sulla capacità di accesso alle opportunità e sulla possibilità di autodeterminazione. Essa può essere causa, ma anche conseguenza, della povertà materiale e si intreccia con essa generando forme di vulnerabilità cumulative.