La povertà relazionale si riferisce alla mancanza, o alla compromissione, delle relazioni interpersonali, che possono essere familiari, di amicizia, di comunità o di lavoro, e che sono fondamentali per il benessere psicologico e sociale di un individuo e anche di una famiglia comunque costituita. Può essere sia una conseguenza sia una causa della povertà economica, ma può darsi indipendentemente, avendo con essa in comune solo il fatto che si tratta di mancanza, o scarsità, di risorse importanti per il buon vivere. Inoltre, può riferirsi a due diversi tipi di relazioni, a quelli che Granovetter (1973) ha chiamato legami forti e legami deboli, che nel loro insieme costituiscono anche gran parte di ciò che è chiamato capitale sociale (Bourdieu 1980; Coleman 1990).
Si può non essere poveri di legami forti ma esserlo di legami deboli e viceversa, o essere poveri in entrambe le dimensioni. Non solo le cause sono diverse, anche le conseguenze di questi distinti tipi di povertà relazionale hanno un impatto differente sulle varie dimensioni del benessere – psicologico, economico, sociale. In alcuni casi differenziano anche i gruppi sociali. La povertà di legami deboli, infatti, è maggiormente presente nei gruppi caratterizzati anche da altri tipi di scarsità: economica, di opportunità di mobilità sociale e di esperienze in contesti diversi di vita, di istruzione, di riconoscimento al di fuori della propria cerchia, oggi anche di competenze digitali.
Per questo può anche essere maggiore tra gli stranieri, specie se combinano una situazione economica modesta o difficile con una vita sociale confinata esclusivamente al proprio gruppo etnico-culturale. Pur consapevole che il confine tra ciò che attiene alle biografie e caratteristiche psicologiche e caratteriali degli individui e ciò che ha cause sociali è spesso labile, in questa sede mi occupo della povertà relazionale che ha chiari tratti di strutturazione sociale.