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Il sistema sanitario americano

La riforma su cui negli ultimi due anni più si sono accese le polemiche negli Usa è stata sicuramente quella sanitaria, il cosiddetto Obamacare, che ha allargato la possibilità di avere un’assicurazione sanitaria a 40 milioni di persone che prima ne erano escluse ed impedendo alle compagnie assicurative alcune forme di esclusione relative alle malattie pregresse. Secondo Barack Obama si tratta di una riforma che “rimarrà nella storia americana come un elemento fondamentale del patto sociale”. Lo ha affermato durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali aggiungendo: ”Ne sono molto orgoglioso. Com’è accaduto per l’assistenza sanitaria pubblica per gli anziani e la pensione – Medicare e Social Security -, man mano che passa il tempo la gente vedrà come funziona e che è in grado di assicurare agli americani una tutela di base, in modo da mettere i cittadini al riparo dai problemi finanziari che possono venire da una malattia o dalla sfortuna”.

Tuttavia il sistema sanitario americano, nonostante la riforma voluta e realizzata da Obama, costituisce tuttora un caso anomalo fra i sistemi sanitari dei paesi dell’area OCSE. Gli Stati Uniti sono, infatti, l’unico Paese tra quelli a economia avanzata in cui non è prevista alcuna forma di assicurazione sanitaria obbligatoria. Nel resto dei paesi industrializzati la grande maggioranza della popolazione, quando non la sua totalità, è obbligatoriamente coperta contro i rischi di malattia. I Paesi europei hanno affrontato il problema della sanità nel corso della prima metà del XX secolo, optando per un massiccio intervento pubblico caratterizzato da copertura universale obbligatoria e gestione, diretta o indiretta, del sistema sanitario da parte dello Stato. Negli Stati Uniti, a differenza di quanto accaduto in Europa, tutti i tentativi di introdurre a livello federale un’assicurazione sanitaria obbligatoria sono invece sempre falliti. Il sistema sanitario americano non solo non ha ancora oggi uno schema assicurativo obbligatorio che copra la maggioranza della popolazione, ma si caratterizza anche per un insieme frammentato e disordinato di programmi pubblici (Medicare, Medicaid, SCHIP) e di schemi privati di assicurazione. Inoltre, gli stessi schemi pubblici come Medicare e Medicaid, sempre ricordati a proposito della sanità americana, non hanno niente a che vedere con l’approccio solidaristico sotteso alla tutela sanitaria garantita nei paesi europei.

L’analisi di Giorgio Freddi

E’ da questo quadro che parte Giorgio Freddi nel volume “L’anomalia americana. Perché è tanto difficile, se non impossibile, riformare la sanità statunitense” (Vita&Pensiero, 2012) per porsi un duplice interrogativo non scontato che pone l’attenzione, a differenza di molti altri studiosi, non solo sul modello organizzativo ma anche sugli outcome che questo produce. In primo luogo, si domanda Freddi, perché gli Stati Uniti non hanno uno schema sanitario obbligatorio che copra tutti i cittadini? In secondo luogo come mai, pur essendo i leader mondiali nella ricerca medica e pur avendo creato le più straordinarie strutture diagnostico-terapeutiche del mondo, hanno una spesa sanitaria (oggi pari a poco meno del 18% del Pil) doppia di quella europea per curare e proteggere meno del 70% della loro popolazione , a cui è garantita una assistenza qualitativamente insoddisfacente e livelli eccezionalmente bassi di efficienza ed efficacia? E’ proprio questo secondo interrogativo che nelle molte analisi sul caso americano è spesso stato lasciato in ombra dal primo e non ha trovato risposte soddisfacenti sotto il profilo esplicativo. Freddi invece con la sua analisi e il suo approccio riesce a rispondere efficacemente ad entrambi.

Giorgio Freddi nel volume offre una spiegazione che utilizza il metodo della comparazione storica per mettere a confronto lo sviluppo della medicina moderna in Europa e in America. Sia i paesi europei che gli Stati Uniti sono passati attraverso le stesse quattro fasi che hanno preso avvio da una congiuntura critica, ovvero da una situazione problematica a cui è stata data una soluzione tra le tante possibili. La prima, la fase genetica, ha riguardato (con le variazioni del caso, paese per paese) la costruzione e il consolidamento della medicina moderna nel lungo periodo che va dall’inizio del 1800 al 1940. La seconda è coincisa con l’accesso di massa all’assistenza sanitaria, in particolare ospedaliera, tra il 1945 e la metà degli anni Sessanta. La terza fase, che arriva fino alla metà degli anni Ottanta, ha riguardato la cosiddetta “seconda rivoluzione” scientifica e tecnologica della medicina. La quarta fase, quella attuale, coincide con la rivoluzione manageriale e la forte crescita ed espansione dei costi sanitari.

Tuttavia, se Europa e Stati Uniti condividono le stesse fasi di sviluppo della medicina e le stesse critical junctures, Freddi dimostra come queste siano state attraversate in modi e con soluzioni del tutto differenti. Negli USA, la sanità si è caratterizzata da subito per un monopolio assoluto da parte della professione medica, con il duplice obiettivo della massimizzazione dei profitti e dell’esclusione dello Stato dalla gestione del sistema sanitario. Con riferimento alla massimizzazione del profitto da parte della professione medica Freddi si riferisce al cash nexus – “la riduzione della relazione umana tra medico e paziente ad una relazione esclusivamente di natura monetaria, finalizzata prima di tutto al profitto” -, descrivendone nei dettagli il funzionamento e le logiche operative nei diversi snodi che si sono susseguiti.

Si è trattato di un monopolio che nelle prime due fasi è stato di fatto esclusivamente corporativo ed esercitato dall’American Medical Association (AMA). Dagli anni Settanta in avanti è andato allargandosi e ha ricompreso oltre ai medici anche i soggetti finanziatori, i manager, l’industria farmaceutica e medicale e soprattutto le compagnie di assicurazione, ovvero l’insieme dell’industria medica (Medical Industrial Complex).Rispetto a questo potente monopolio Freddi illustra e spiega come e perché esso sia stato in grado di resistere ai molti tentativi di metterlo in discussione che si sono susseguiti nel tempo. Obama è l’ultimo in ordine di tempo tra i Presidenti che hanno appunto provato a sfidare questo monopolio, e ancora una volta negli Stati Uniti si è assistito ad una sconfitta degli sfidanti. E’ vero sì – come ricostruito nel terzo e ultimo capitolo del volume – che Obama è riuscito nel marzo del 2010 ad arrivare all’approvazione di una riforma del sistema sanitario americano, ma si è trattato di un progetto molto ridimensionato rispetto alle intenzioni iniziali. Esso è stato infatti ridimensionato sotto il profilo del livello di copertura (circa 47 milioni di cittadini – pari al 15% della popolazione- sono ancora privi di assistenza sanitaria; senza contare i moltissimi cittadini che sono invece sotto-assicurati) e sotto il profilo della capacità di contrastare lo strapotere del Medical Industraial Complex. Ad oggi, inoltre, la riforma appare incapace di rendere più efficiente ed efficace il sistema e soprattutto meno oneroso sotto il profilo finanziario.

Tornando all’impianto esplicativo del volume di Freddi è fondamentale richiamare l’attenzione su un ulteriore e non meno importante tassello della spiegazione proposta dall’autore. L’approccio teorico della path dependance spiega efficacemente come l’imprinting costituito dalle decisioni prese nelle varie fasi – soprattutto rispetto al ruolo svolto prima dall’AMA e poi dal Medical Industrial Complex – rappresenti un condizionamento rispetto alle decisioni successive in una sequenza che finisce per inibire, nel caso americano, le possibilità di successo di riforme sanitarie in qualche modo accostabili a quelle dei paesi europei, e in grado di mettere in discussione il modello di governance sanitaria statunitense.
Tra le politiche pubbliche la sanità è non solo tra le più costose ma anche tra le più complesse da gestire da parte dei governi sia nazionali che decentrati, là dove le competenze sono attribuite ai livelli sub-nazionali di governo. I diversi paesi si sono, quindi, dovuti confrontare e continuano a confrontarsi con quella che Freddi nel volume chiama un’equazione a tre incognite: garantire un accesso di massa alle prestazioni sanitarie, offrire una medicina di qualità e tenere sotto controllo la spesa, se non – come negli ultimi due decenni – puntare ad un contenimento della spesa sanitaria. Nel tentativo di risolvere questa equazione gli Stati Uniti non rappresentano un caso diverso ed eccezionale ma piuttosto – come Freddi evidenzia nel volume e ricorda nel titolo – una anomalia rispetto al panorama internazionale. E tale rimangono nonostante gli sforzi compiuti dall’attuale Presidente degli Stati Uniti, che sulla riforma sanitaria si gioca in parte le possibilità di rielezione il prossimo 6 novembre.

Del resto non va dimenticato che la Riforma Obama richiederà ben otto anni per entrare a regime (dal 2010 al 2018) e che nel 2010 i Democratici, sconfitti alle elezioni di medio termine, hanno perso il controllo della Camera e hanno ottenuto una maggioranza risicata al Senato. Viste tutte le leggi legate alla riforma Obama che sono ancora da approvare da qui al 2018, cosa potrà succedere se Obama non verrà rieletto? Il rischio è che la riforma nel suo iter legislativo possa essere ulteriormente ridimensionata, se non messa in discussione in alcuni dei suoi aspetti più delicati, tra cui la parte che riguarda il ruolo delle assicurazioni. Attualmente la riforma prevede che alle compagnie di assicurazione sarà imposto di concedere polizze anche ai cittadini malati o affetti da patologie croniche, e sarà proibito esercitare qualunque altra forma di “immoral practice” nei confronti degli assicurati; ogni cittadino, di contro, avrà l’obbligo di contrarre un’assicurazione sanitaria individuale entro l’entrata in vigore della riforma, pena una sanzione in denaro che andrà incrementandosi nei due anni successivi in caso di mancato adempimento. In aggiunta, la riforma prevede sgravi fiscali e sussidi per l’acquisto di polizze da parte dei cittadini il cui reddito sia inferiore a quattro volte la soglia di povertà, nonché l’ampliamento del programma Medicaid per consentire l’accesso agevolato alle coperture ad una più ampia fascia di cittadini aventi basso reddito (fino al 133% della suddetta soglia). Misure – che non includono i cittadini anziani, i quali già beneficiano del programma Medicare (che garantisce assistenza sanitaria a tutti i cittadini di età superiore ai 65 anni) – che porterebbero la quota di accessibilità alle coperture assicurative al 94% circa.

 

Riferimenti 

G. Freddi, L’anomalia americana. Perché è tanto difficile, se non impossibile, riformare la sanità statunitense, Vita&Pensiero, 2012

 

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