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In Emilia-Romagna è ufficialmente partito il Reddito di solidarietà, la misura di contrasto alla povertà voluta e sostenuta dalla Regione con un finanziamento strutturale di 35 milioni l’anno. A partire da lunedì 18 settembre, i cittadini possono presentare al Comune territorialmente competente domanda per accedere alla misura. L’annuncio è stato dato lo scorso 16 settembre, alla presenza del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e in occasione della firma del Protocollo regionale sull’impegno comune contro la povertà.

Il RES è stato introdotto dalla Regione con l’intenzione di estendere il SIA (la misura nazionale partita un anno fa in attesa dell’avvio del Reddito di Inclusione) ampliando la platea dei beneficiari. A differenza del SIA, che si rivolge prioritariamente alle famiglie in cui è presente un minore, il RES può infatti essere richiesto anche dai nuclei familiari monocomponente. Inoltre, la Regione Emilia Romagna con la Legge 14 del 2015 ha previsto una serie di interventi a sostegno dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale delle persone in condizione di fragilità e vulnerabilità.

Nelle intenzioni dell’amministrazione regionale, SIA, RES e Legge 14 costituiscono un unico pacchetto di misure di contrasto alla povertà. Le tre misure condividono infatti una serie di presupposti relativi alla valutazione multidimensionale del bisogno, alla presa in carico attraverso equipe multidisciplinari e a specifici patti da sottoscrivere (con i nuclei o con i singoli beneficiari), che riguardano le azioni e gli impegni da concordare e condividere, le condizioni di decadenza se non si rispetta il patto.


Le caratteristiche del RES

Il reddito di solidarietà, introdotto con la Legge Regionale 24/2016, è diretto “a contrastare la povertà, l’esclusione sociale e la disuguaglianza, nonché a promuovere la crescita sociale ed economica, la valorizzazione delle competenze e dei saperi delle persone, l’accesso al lavoro” (art. 1, c. 2).

Questa misura consiste in un sostegno economico erogato nell’ambito di un progetto di attivazione sociale e di inserimento lavorativo. In particolare, i nuclei beneficiari (che, come detto, possono anche essere monocomponenti) riceveranno un trasferimento economico pari a un massimo di 400 euro mensili per un periodo non superiore a 12 mesi. Pena la decadenza dal beneficio, il nucleo o il singolo deve impegnarsi a partecipare a un “progetto di attivazione sociale e inserimento lavorativo” sottoscritto da tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare, dal referente del Servizio sociale territoriale del comune competente e, nel caso sia previsto un intervento di inserimento lavorativo, dal Centro per l’impiego.

Secondo quanto disposto dalla legge regionale (art. 6, comma 4), il progetto di attivazione comprende misure e impegni quali: a) incontri programmati con il Servizio sociale territoriale; b) frequenza scolastica o a percorsi di orientamento e formazione professionale; c) progetti di inclusione sociale o di ricerca attiva del lavoro; d) disponibilità all’accettazione di offerte di lavoro; e) iniziative di prevenzione e cura volte alla tutela della salute; f) attività di mantenimento e cura dell’alloggio; g) percorsi a garanzia dell’educazione e integrazione dei minori.


Gli interventi a favore dell’inserimento lavorativo: la Legge 14

Con la Legge 14 del 2015, la Regione Emilia Romagna ha promosso l’integrazione tra i servizi sociali, sanitari e del lavoro per facilitare l’inserimento lavorativo delle persone prive di lavoro e con problematiche sul fronte sociale e/o sanitario. Gli interventi previsti dalla Legge 14 saranno finanziati attraverso le risorse europee del Programma operativo regionale – POR dedicate all’inserimento lavorativo delle persone fragili. Le risorse sono pari a 20 milioni di euro e la legge prevede una serie di misure di accompagnamento lavoro, formazione, orientamento o la realizzazione di tirocini. La misura si rivolge a persone escluse dal mercato del lavoro il cui profilo si accompagna a un bisogno sociale o sanitario. L’accesso alla misura può avvenire grazie ai servizi sociali, sanitari o ai centri per l’impiego e la presa in carico. Quindi, a seconda dei casi, la competenza ricadrà sui servizi sociali o sanitari. 


Il protocollo regionale

Il Protocollo per l’attuazione del Reddito di solidarietà, siglato lo scorso 16 settembre, mira a favorire le sinergie locali tra soggetti pubblici deputati all’applicazione delle misure previste e del Terzo settore.

Oltre alla Regione, firmatari del protocollo sono l’Anci, la Cgil, la Cisl e la Uil, il Forum del Terzo settore (di cui fanno parte 26 organizzazioni regionali), la Delegazione regionale Caritas Emilia-Romagna, la Fondazione Banco Alimentare Emilia-Romagna Onlus, la Federazione italiana organismi per le Persone Senza Dimora – FiosPSD.
Attraverso il protocollo, questi progetti hanno concordato su una serie di obiettivi comuni quali:

  • promuovere (a livello sia locale sia nazionale) le azioni necessarie a realizzare un sistema adeguato ai bisogni della fascia più vulnerabile, attraverso l’integrazione fra tutti gli strumenti normativi (e le relative risorse) nazionali, regionali e locali;
  • incoraggiare il coinvolgimento del Terzo settore nelle attività di progettazione degli interventi personalizzati di inclusione sociale e lavorativa;
  • avviare un percorso di integrazione che coinvolga anche gli strumenti normativi e i progetti che intervengono nell’ambito della marginalità estrema e della vulnerabilità (bassa soglia, senza dimora ecc.)
  • semplificare le modalità di accesso alle misure da parte dei cittadini e promuovere tutte le azioni necessarie a superare la frammentazione degli interventi;
  • sviluppare le azioni necessarie in modo che tutti i potenziali interessati dalle misure di contrasto alla povertà siano adeguatamente informati