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“La Banca d’Italia ha calcolato che se il Paese riuscisse a centrare l’obiettivo di Lisbona dell’occupazione femminile al 60% il Prodotto interno lordo crescerebbe del 7%. Altri calcoli, come quello elaborato dalla Confartigianato basato sul Pil pro capite, indicano all’8,2% il progresso del Prodotto in caso di crescita dell’occupazione al 58,1%, cioè la media Ue nel primo trimestre del 2011” (leggi l’articolo). Gli stessi dati della Banca d’Italia fotografano la situazione lavorativa delle donne nel nostro paese dal 2008 ad oggi, indicando che la situazione dell’occupazione femminile non è cambiata e vede solo il 47% di lavoratrici (58% al nord, 30% al sud), con un 20% che lascia il lavoro dopo il primo figlio, 33% nel caso del secondo figlio. I dati del Global Gender Gap 2012 (il rapporto internazionale sul divario di genere pubblicato del World Economic Forum) posizionano l’Italia all’80esimo posto, arretrata in molti ambiti (opportunità e partecipazione alla vita economica 101° posto, salute 76°, solo per citare due esempi).

Questi dati e l’esperienza personale e professionale hanno portato Riccarda Zezza a progettare Piano C insieme ad altri soci e co-fondatori. Si tratta di uno spazio di co-working, in cui tutte le donne libere professioniste e gli uomini (solo se accompagnati dai loro bambini) possono lavorare affittando una scrivania e possono usufruire di un servizio di co-baby, gestito dall’Associazione Mitades, partner di Piano C.

Lo spazio è aperto dalle 8.30 alle 19.00, mette a disposizione anche una serie di servizi Salvatempo, dalla lavanderia alla spesa e al pagamento delle bollette, offre servizi con l’obiettivo di sostenere e facilitare l’organizzazione della vita quotidiana delle mamme e dei papà, conciliandola con quella lavorativa. Inoltre Piano C è una community di professioniste/i che utilizzano lo stesso luogo per lavorare, ma non necessariamente sono collegate da una medesima attività. Un’opportunità, soprattutto per le neo-mamme libere professioniste, di costruire scambi, collegamenti e relazioni significative stando accanto ai propri bambini, continuando, con i propri ritmi, a lavorare secondo necessità e desideri. Per le libere professioniste è un servizio in più, un’alternativa reale alle babysitter o alle tate a tempo pieno, in una fase in cui gli asili nido non sono ancora così diffusi e flessibili e quelli privati hanno costi non sempre sostenibili.

Piano C si rivolge anche alle aziende: sono ancora molte infatti le aziende che non dispongono di servizi di conciliazione o di welfare aziendale rivolti alle neo-mamme. E’ ancora molto diffusa e radicata l’idea che la maternità rappresenti per le donne una pausa dal lavoro, non considerando le diverse opportunità. Per esempio le donne neo-mamme possono rientrare in modo soft al lavoro, utilizzando Piano C, restando accanto ai loro bambini, già nei primi mesi di vita, naturalmente con orari flessibili per rispondere ai bisogni delle mamme, ma anche delle aziende.

Quest’ultima possibilità che Piano C rappresenta costringe le aziende e chi in esse ha ruoli di responsabilità a ripensare il lavoro d’ufficio, ad elaborare un nuovo pensiero rispetto alla collaborazione con i dipendenti, senza stravolgere le gerarchie, ma immaginando che la produttività nelle aziende sia in stretta connessione con la capacità dei soggetti di organizzare (e mantenere) orari di incontri, riunioni, consegne. Se una neo-mamma dovesse rientrare al lavoro, dopo la maternità obbligatoria, utilizzando Piano C non sarebbe in ufficio sempre in contatto diretto con capi e colleghi, quindi dovrebbe essere pensata una pianificazione che tenga fortemente in considerazione i tempi e le priorità della neo-mamma, per garantire la massima produttività e non disperdere energie. Questo è un bel cambiamento per molte organizzazioni con lavoratori dipendenti, i cui responsabili ad ogni livello sono abituati ad avere a disposizione le collaborazioni di tutti in qualunque momento. Purtroppo è lo stesso motivo che induce molte donne ad abbandonare ambizioni di carriera all’interno delle aziende, quando non a rinunciare completamente al lavoro: causa l’impossibilità di “venirsi incontro”. Diversi studi dimostrano che la produttività aumenta se l’organizzazione costruisce un setting che incrocia le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori e le esigenze aziendali (obiettivi di produzione, mission, obiettivi di area…) per produrre innovazione.

Piano C raccoglie entusiasmo soprattutto tra le donne. In poco tempo e anche grazie ad una campagna ben organizzata, il progetto è stato diffuso, segnalato come una di quelle best practice che dovrebbero essere riprese da altri, diffuse a loro volta. E naturalmente questo entusiasmo trascina anche perché il servizio in questo caso è a disposizione di tutte/i, non è interno ad un’azienda. E’ un servizio a pagamento, ma l’accesso è libero, e in tempi di crisi è un’impresa che nasce, un cosiddetto start up.

L’11 dicembre è stato inaugurato lo spazio di via Simone d’Orsenigo a Milano. Da quel momento Piano C ha aperto le sue porte alle co-workers (per ora tutte donne), ma fin da subito Riccarda Zezza ha capito che per incidere realmente Piano C dovrebbe poter aprire in altre città, diffondersi per riuscire a smuovere davvero la cultura del lavoro (aziendale e professionale) in Italia. In questo particolare momento le libere professioniste e consulenti, ma anche le imprenditrici faticano a mantenere sedi aziendali che generano costi insostenibili. Piano C consente di avere una sede (per altro molto bella ed accogliente), di non doversi sobbarcare costi fissi e di condividere le spese con altre/i.

Ci sono dei limiti che Piano C riesce a mettere bene in evidenza: in particolare Riccarda Zezza ha provato cosa significhi fare innovazione e quanta fatica fa questa innovazione ad essere riconosciuta e formalizzata a livello istituzionale. Per fare un esempio: il co-baby non può essere accreditato da Regione Lombardia perché non è previsto come tipologia di servizio educativo nei termini in cui viene proposto, anche se ha rispettato tutti i requisiti richiesti dalla normativa per i nidi. E, avendo visitato diversi asili nido privati a Milano, posso testimoniare che il co-baby di Piano C è molto più all’avanguardia di tanti nidi accreditati, sia per requisiti strutturali, dimensioni degli spazi e luminosità, sia per le attività che in esso possono essere svolte con il supporto di educatrici (e psicomotriciste) qualificate.

Il co-baby di Piano C nasce per accudire bambini piccoli e piccolissimi, ma anche bambini in età scolare, con spazi dedicati. Questo fa riflettere sulla carenza che c’è, anche a Milano, di spazi di aggregazione per bambini medio-grandi (tra i 6 e i 10 anni per intenderci) che possano intrattenere non solo e non tanto per fare compiti, ma per fare altre attività educative che li coinvolgano ad altri livelli (corporeità, creatività…). Non c’è una struttura adeguata e pensata a livello istituzionale, le famiglie scelgono se iscrivere i propri figli a varie attività per organizzare al meglio la settimana. L’altra possibilità diffusa, non necessariamente alternativa, è la frequentazione dell’oratorio o della Parrocchia, o ancora gli scout.

Infine una riflessione sul co-working: questa modalità di lavoro si sta diffondendo assai rapidamente, a Milano è presente una rete di spazi in co-working dove è possibile affittare una postazione giornalmente (Cowo MIlano/Lambrate e Cowo Milano/Vigentino) e anche il Comune di Milano ha recentemente messo a disposizione € 200.000 per il co-working. Attualmente questo ha voluto dire avviare la ricerca degli spazi da adibire al co-working. L’assessore Tajani (Politiche del lavoro e dello Sviluppo per il Comune di Milano) considera il co-working fondamentale per favorire lo sviluppo di imprese giovani, specialmente in un momento di grande crisi e soprattutto la collaborazione ed il networking tra aspiranti imprenditori, che potranno trovare più facilmente spazi in cui condividere scrivanie e strumenti di lavoro. Oltre a ciò ci saranno opportunità per assicurarsi micro-finanziamenti grazie anche al prezioso supporto di Fondazione Welfare. A questo si associa l’impegno profuso dall’Assessorato alla costruzione della nuova Carta delle start up.

Concludendo, ci sembra che le sfide che si aprono per un’iniziativa di questo tipo siano molteplici e possano essere riassunte nei punti seguenti.

  • Piano C scombina le carte, non è più il luogo di lavoro al centro della nostra attività lavorativa, ma è un luogo. Tutto da costruire e da rendere vitale, che offre un servizio.
  • Ad oggi le persone (prevalentemente donne) che frequentano Piano C sono libere professioniste, che lavorano prevalentemente nell’ambito della comunicazione e del marketing. E’ più immediato, abituale e semplice considerare Piano C come l’ufficio, invece che prevalentemente come un luogo dove poter anche costruire nuove relazioni professionali. Nel corso dei giorni, grazie all’attività del sito e della community, ma soprattutto grazie al fatto che Piano C è frequentato e sta funzionando, sta crescendo la rete di Piano C e con la rete anche le relazioni che potenzialmente si possono costruire.
  • Riccarda Zezza riprende studi internazionali che dicono che la rigidità organizzativa, alcune regole imposte dal/al mondo produttivo, hanno un impatto negativo e deflagrante sulla vita delle persone e delle donne/mamme in particolare. E quindi anche sulla loro produttività e sulla vita delle organizzazioni. L’idea di plasmare l’organizzazione del lavoro sulle necessità e in base alla vita quotidiana delle persone è andare oltre la conciliazione della vita con il lavoro. E non riguarda solo le donne. Anzi.
  • Piano C fa una proposta anche alle aziende che non possono/vogliono dotarsi di servizi di conciliazione, che possono offrire un’opportunità alle neo-mamme per un rientro soft, passando da una struttura esterna e ben organizzata. Sarà interessante capire quanto le aziende sono disposte a sperimentare un percorso davvero diverso e magari anche a valutarne l’impatto in termini di produttività. Piano C scuote il mondo del lavoro così come il mondo delle “imprese individuali” e/o dei liberi professionisti.
  • In tutto questo c’è anche una forte carica di idealità: in tutte le sue interviste ed anche di persona una delle prime cose di cui parla Riccarda Zezza è la “felicità produttiva”, coniugando la possibilità di produrre a quella di farlo felicemente, senza doversi confrontarsi con la fatica e spesso l’impossibilità di conciliare tutto da sole/i. Ci sono ricerche ed esperienze che già indicano questo connubio come particolarmente incisivo, soprattutto in termini di produttività.
  • Piano C può essere lo spartiacque per pensare a nuovi servizi che incontrino le esigenze delle famiglie (figli compresi), senza per questo dover rinunciare a qualcosa (o a qualcuno).

 

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