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Sulla questione della «flessibilità» Matteo Renzi ha conseguito alcuni importanti successi in Europa. Per vincere la partita deve però persuadere Angela Merkel, dimostrando che le richieste italiane rispondono a un qualche interesse comune e non solo nazionale. Finora non c’è riuscito, come ha da ultimo rivelato l’incontro di venerdì a Berlino.

I vincoli di bilancio dell’eurozona sono troppo stretti, Renzi ha ragione a volere un cambiamento. Di più: fa bene a dire che si tratta solo di applicare le regole. Quando fu scritto il patto di Stabilità e Crescita (1997), vennero inserite alcune deroghe per far fronte a determinate circostanze. I criteri di applicazione non sono però mai stati definiti con precisione. Il primo successo del governo italiano è stato quello di ottenere un chiarimento scritto durante il semestre di presidenza, nella seconda metà del 2015. Adesso sappiamo quando un Paese può chiedere (e Bruxelles deve concedere) una esenzione temporanea dai vincoli sul deficit. Formalmente, il chiarimento è stato fatto dalla Commissione. Ma il merito è di Roma: Juncker si è comportato in modo inelegante nel non volerlo riconoscere. La seconda vittoria è arrivata nella primavera scorsa, quando Renzi ha effettivamente ottenuto la flessibilità sui saldi di bilancio per il 2015. La Commissione tenne conto di due condizioni: l’Italia era impegnata in un processo di riforme strutturali e di promozione di investimenti.

Il ciclo economico del nostro Paese era inoltre ancora molto negativo. Uno scostamento dagli obiettivi di finanza pubblica precedentemente concordati fu dunque ritenuto ammissibile in base ai nuovi criteri. Nell’autunno scorso è iniziata la terza battaglia. Il governo ha di nuovo invocato la flessibilità, in base alla clausola degli investimenti. Ha poi aggiunto due altre richieste: lo scorporo delle spese sostenute per l’emergenza migratoria e di quelle pro quota per gli aiuti alla Turchia (i tre miliardi complessivi promessi da Angela Merkel a Erdogan per contenere il flusso di rifugiati). Il tiro alla fune è ancora in corso. La Commissione ha per ora sospeso il giudizio sulla legge di Stabilità 2016 e venerdì a Berlino Angela Merkel ha detto che «non vuole immischiarsi». Un modo indiretto per dire: attenzione. La prospettiva di una nostra sconfitta, anche solo parziale, va messa in conto.

La vera posta in gioco non è però l’esito di questa terza disputa, ma dell’intera partita sulla flessibilità e l’eurogoverno. L’interesse dell’Italia (e di tutti i Paesi membri più deboli) si estende ben al di là del 2016 e di alcuni punti di decimale da spendere in deficit. Bisogna piuttosto consolidare l’idea che l’eurozona non si gestisce con regole rigide e con formule numeriche largamente arbitrarie. L’Unione economica e monetaria richiede piuttosto istituzioni decisionali capaci di prendere provvedimenti rapidi e imperniati su tre principi: discrezionalità «per buone ragioni», flessibilità regolata e orientata alla crescita, responsabilità democratica. Da un lato, niente più dogmi tecnocratici e letti di Procuste con misure uguali per tutti. Dall’altro lato, compiti a casa, senza opportunismi o rivendicazioni motivate solo da tattiche elettorali.

La carta della flessibilità va insomma giocata come elemento di un’agenda più ampia sulla base di argomenti generali. È rispetto a questo obiettivo che Matteo Renzi ha sinora mostrato debolezza. Ad esempio, le richieste di deroga sui conti italiani sono state un po’ superficiali e non adeguatamente giustificate (soprattutto in relazione all’ultima legge di Stabilità). Data la cattiva reputazione sul piano della politica di bilancio che ci portiamo dietro da decenni, come stupirsi se la Commissione (e la Germania) si mostrano perplesse?

Se vuole vincere la partita, il governo deve accrescere l’intensità e soprattutto la qualità del proprio impegno. Qual è la visione italiana sulle riforme istituzionali che servono all’Unione economica e monetaria? Nell’entourage di Renzi e Padoan, così come in Banca d’Italia, circolano da tempo idee promettenti: costruiamo una proposta articolata e coerente e sottoponiamola ai nostri partner. Quali saranno, in secondo luogo, i contenuti del prossimo Programma Nazionale di Riforma da presentare a Bruxelles entro aprile, proprio quando la Commissione deciderà sulle deroghe per il 2016? Il presidente del Consiglio ha detto che la legge di Stabilità per il 2017 darà il tono a tutta la legislatura (comprensibile: sarà l’ultimo macrointervento utile per incidere sulle condizioni del Paese prima delle elezioni del 2018). Bene, il governo elabori un programma ambizioso, davvero imperniato su riforme e investimenti. Si assicuri che venga recepito nelle raccomandazioni di giugno da parte della Ue e poi lo metta in pratica nel prossimo autunno. Se verranno fornite buone ragioni, Bruxelles dovrà concedere i necessari margini fiscali. E, per una volta, dall’Italia potrebbero arrivare idee ed esempi preziosi per tutta l’Europa.