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Al convegno “Donne e Lavoro. Quale innovazione sociale per uscire dalla crisi?” promosso dalla Consigliera di Parità della Regione Lombardia (per ulteriori approfondimenti leggi anche Donne, lavoro e innovazione sociale: la strategia lombarda per uscire dalla crisi), Eupolis ha presentato primi risultati del “Rapporto biennale 2012/2013 sull’occupazione femminile e maschile in Lombardia nelle imprese con più di 100 dipendenti”, in fase di pubblicazione. Il lavoro restituisce i risultati dell’indagine che viene curata dalla Consigliera secondo quanto prevede il Decreto Legislativo 198/2006 “Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna”. 


Qualcosa cambia?

E’ noto come l’Italia abbia strutturali problemi di incremento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, i cui indicatori presentano, pertanto, sempre consistenti gap di genere. I dati statistici evidenziano forti divari territoriali, dove la Lombardia rientra tra le regioni italiane che registrano le migliori performance in materia di occupazione femminile.

Lo studio, dunque, ha dato per assodato che sono ancora numerose le difficoltà che le donne incontrano nel mondo del lavoro, provando tuttavia a verificare attraverso i dati disponibili l’ipotesi che, in questi ultimi anni, complice la profonda crisi dei modelli economici e produttivi, la tradizionale preferenza accordata alla forza lavoro maschile sia in realtà stata implicitamente messa in discussione, e per vari fattori, l’occupazione femminile abbia registrato una sostanziale tenuta e, talora, alcuni elementi di preferenza. Di questa ipotesi di lettura, vengono restituite le prospettive salienti abbinate a quegli aspetti, non certo sottovalutati, che si prestano ad essere interpretati come doppio messaggio. Va detto, inoltre, come sia probabile che il momento, che attraverso questi dati si va a fotografare, costituisca una fase di passaggio e quindi, come alcuni osservatori rimarcano, i reali effetti sull’occupazione femminile e maschile di questa lunga fase critica si vedranno soltanto nel prossimo biennio.


Il Contesto

Il Rapporto analizza, con una particolare attenzione alle differenze di genere, la situazione dell’occupazione nelle imprese con una sede in Lombardia e con più di 100 addetti. Malgrado la progressiva sensibilizzazione delle imprese sull’importanza di trasmettere i dati alla Consigliera di Parità regionale si continua a registrare una quota di aziende che disattendono la norma attraverso un invio parziale o un mancato invio dei dati richiesti. A ciò si aggiunge una certa obsolescenza dello strumento di rilevazione che si auspica possa essere oggetto di prossimo aggiornamento a livello nazionale. Risulta, pertanto, fondamentale tenere conto della caratteristiche del campione casuale che ne deriva e delle possibilità di elaborazione dei relativi dati.

I dati presentati si riferiscono ad un campione di 2.780 imprese che, pur rappresentando una percentuale molto bassa dell’universo di imprese operanti in Lombardia, occupano 1.549.149 addetti, di cui 685.833 donne, cioè circa il 42% dell’intera popolazione occupata nelle imprese presenti in regione. Ecco le principali prospettive di lettura.


Sex typing

Cresce la quota di occupate sul totale ma il traino rimane il settore terziario, confermando una segregazione orizzontale nell’occupazione. Il saldo occupazionale risulta favorevole per l’occupazione femminile.

Come si ritrova nelle affermazioni di alcuni studi sociologici, proprio nei momenti di crisi e di cambiamento è ancor più “tempo di donne”. Questa tesi appare confermata dai nostri dati, a cominciare da quelli sulla quota di occupate sul totale degli occupati nelle imprese del campione. Al 31/12/2013 la percentuale di donne occupate si attestava sul 44,3%, in crescita rispetto ai periodi precedenti riportati nel grafico seguente – quasi 10 punti percentuali dal 2001 al 2013 (grafico 1).

Grafico 1 – Percentuale donne occupate (2001-2013)

Fonte: elaborazione Éupolis Lombardia su dati Consigliera di Parità, anni 2012/2013.

Questo dato registra, dunque, nel nostro campione, un andamento favorevole alle donne che sono attualmente molto vicine al livello del 50%. Esso racchiude, tuttavia, al suo interno un dato che riconferma la segregazione orizzontale.
L’occupazione delle donne è, infatti, sempre più trainata dal settore terziario.

La distribuzione della presenza femminile nell’occupazione è eterogenea nei diversi settori di attività, oscillando dal 25,3% nel comparto industriale, al 36,7% nel settore agricolo al 54% del settore terziario. Nell’ultimo decennio queste quote hanno subito significative variazioni, si è infatti registrato un + 5,3% di aumento nel terziario a fronte di un -4,1% nell’industria. Ma uno sguardo alla distribuzione percentuale a livello settoriale del totale delle donne occupate ci mostra come, al 31/12/2013, l’80,5% delle occupate nelle imprese lombarde del campione in esame aveva una collocazione lavorativa nei servizi, contro il 19,2% nell’industria, e uno 0,3% in agricoltura.

Alla fine del biennio osservato, il turnover femminile fa registrare un saldo attivo. Il grafico 2 mostra come il saldo tra i movimenti di entrata e di uscita dall’occupazione nelle imprese del campione risulti composto per il 66% da donne e per il minoritario 34% da uomini.

Grafico 2 – Turnover femminile e maschile nelle imprese del campione

Fonte: elaborazione Éupolis Lombardia su dati Consigliera di Parità, anni 2012/2013.


Glass Ceiling

Le donne quadro sono sempre più numerose: si tratta di conquista di posizioni e/o traguardo ultimo della carriera? Quali sono i movimenti dentro e fuori il gap di genere?

L’indagine permette di registrare il posizionamento delle persone occupate per qualifica professionale; in particolare, l’osservazione delle qualifiche più alte, quadri e dirigenti, fa verificare i movimenti riguardo alla discriminazione verticale, di cui si parla spesso come “soffitto di vetro” o “glass ceiling”.

Le donne quadro costituiscono il 30% del totale degli occupati con questa qualifica, 4 punti percentuali in più rispetto all’anno 2005 (grafico 3). Anche il loro peso nella distribuzione sul totale degli occupati è cresciuto dal 2005 ad oggi di 2,4 punti percentuali, aumentando anche negli ultimi critici anni dal 2009 al 2013.

Grafico 3 – Percentuale quadri sul totale degli occupati
 
Fonte: elaborazione Éupolis Lombardia su dati Consigliera di Parità, anni 2012/2013.

L’aumento delle donne con qualifica di quadro evidenzia tuttavia un altro aspetto, segnalato anche da alcuni studi recenti, ovvero il fatto che la carriera delle donne si conclude spesso con il riconoscimento di una mansione organizzativa di grande responsabilità ma senza arrivare a raggiungere il livello superiore della dirigenza, esplorato nel punto successivo.

Osservando i movimenti nella qualifica professionale della dirigenza, sembra registrarsi, a livello complessivo di occupazione, una crescita della quote di donne dirigenti nei momenti di espansione complessiva della quota di dirigenti occupati (grafico 4). Negli ultimi anni, si sono registrate delle contrazioni della quota di occupati con qualifica dirigenziale rispetto all’anno 2007.

Grafico 4 – Percentuale dirigenti sul totale degli occupati

Fonte: elaborazione Éupolis Lombardia su dati Consigliera di Parità, anni 2012/2013.

Al 31/12/2013 siregistra la più bassa percentuale di donne dirigenti (non raggiunge l’1%) sul totale degli occupati degli ultimi anni; tuttavia, nella decrescita complessiva della quota di dirigenti sul totale degli occupati si può evidenziare una tenuta della presenza femminile sul totale dei livelli apicali con una quota del 18% sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti.

In un panorama segnato dall’oggettiva difficoltà incontrata dalla componente femminile dell’occupazione a raggiungere le qualifiche apicali nelle imprese, un segnale che le donne resistono meglio è dato dalla comparazione tra i movimenti di entrata e di uscita registrati alla fine degli ultimi bienni di osservazione. Nel 2013 tra i dirigenti usciti dalle aziende osservate il 15,2% erano donne, mentre la quota della componente femminile tra i dirigenti entrati si attestava al 17,5%. Queste differenze positive, tra 2 e 4 punti percentuali, si erano registrate anche alla fine dei due bienni precedentemente osservati, nel 2011 e nel 2009.

Questi dati sembrano dunque confermare l’ipotesi di lettura avanzata in questi anni colpiti dalla crisi economica, ovvero che il trattamento più positivo per la componente femminile dell’occupazione sia il risultato, e il prezzo pagato, della maggiore adattabilità delle donne a contratti e retribuzioni. E’ infatti noto che negli ultimi anni sono usciti dalle aziende, e a volte dal mercato del lavoro, dirigenti senior uomini con alte retribuzioni, mentre entravano donne più giovani, motivate, flessibili ma con retribuzioni decisamente più basse a parità di carico di responsabilità.


Part-time

Il lavoro a tempo parziale non è più misura di conciliazione. Il 17,6% dell’occupazione nel nostro campione di imprese lavora a tempo parziale. La differenza tra donne e uomini in questa tipologia di lavoro continua ad essere molto evidente: sul totale degli occupati l’occupazione part-time riguarda il 33,2% delle donne e il 5,2% degli uomini. In altri termini, le donne occupate a tempo parziale costituiscono l’84,8% degli occupati a tempo parziale.

Negli ultimi anni queste quote di lavoro part-time sono cresciute, sia per le donne che per gli uomini (grafico 5). Secondo le letture più recenti del mercato del lavoro, gran parte del nuovo lavoro part-time è del tutto involontario, rappresenta cioè una quota di sotto-occupazione forzata per mancanza di alternative di lavoro full-time e molti occupati part-time vorrebbero e/o avrebbero bisogno di lavorare di più.

Grafico 5 – Percentuale part-time sul totale degli occupati

Fonte: elaborazione Éupolis Lombardia su dati Consigliera di Parità, anni 2012/2013.

I dati sulla quota di uomini e donne che lavorano part-time per tipo di contratto restituisce un quadro in cui le donne beneficiano di questa modalità lavorativa in misura maggiore se hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato, viceversa la quota di uomini è più alta tra i contratti a tempo determinato (grafico 6).

Grafico 6 – Percentuale lavoratori part-time per tipo di contratto

Fonte: elaborazione Éupolis Lombardia su dati Consigliera di Parità, anni 2012/2013.

Sembrerebbe che gli attuali fattori di natura economica e normativa portino verso una diversa lettura del lavoro a tempo parziale e della flessibilità ad esso associata e per niente scontata. In passato è stata rilevata come prassi l’opzione del part-time da parte di molte donne che sono passate da un primo momento di richiesta per motivi di conciliazione alla preferenza del part-time come modalità lavorativa non a tempo pieno.

Una considerazione di tutti i fattori in gioco farebbe invece leggere il part-time come opzione adeguata solo per i lavoratori giovani ancora impegnati in percorsi di acquisizione di competenze e per i lavoratori anziani che decidono di avvicinarsi in maniera graduale al pensionamento. Tutte le altre opzioni sono in qualche modo segreganti.
Questa prospettiva ci allontana dalla tradizionale lettura del lavoro femminile a tempo parziale quale strumento di conciliazione famiglia-lavoro, con tutti i pro e, soprattutto, i contro, ad esso associati (sui versanti retributivo, contributivo-previdenziale, di prospettive di carriera).

Conclusioni

Il rapporto biennale sull’occupazione maschile e femminile nelle imprese con più di 100 addetti in Lombardia prova a leggere i cambiamenti prodotti sul versante dell’occupazione femminile per spingersi poi a capire meglio qual è l’equilibrio nel rapporto donna-lavoro – che realizza fattori di cambiamento nell’ambito di modelli culturali e sistemi di valori – e quali sono, di conseguenza, i mutamenti dell’organizzazione sociale stessa.

Inadeguate sono apparse fino ad oggi le modificazioni sociali e culturali che hanno accompagnato l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro. In quest’ottica che lega l’analisi dei dati del rapporto e la riflessione sui cambiamenti che coinvolgono la società nel suo complesso, le aziende possono coerentemente costruire nuovi paradigmi di gestione delle risorse umane in un contesto di innovazione organizzativa e sociale.

E’ oggi ampiamente dibattuto come le organizzazioni che non capitalizzano pienamente il potenziale di una parte consistente delle loro risorse, quale è quello rappresentato dall’occupazione femminile, sprecano opportunità e produttività. Il risultato osservabile delle strategie dirette allo sviluppo del benessere in azienda, di un buon clima organizzativo e della responsabilità sociale dell’impresa, è oggi traducibile in indicatori di business. Investire in queste direzioni significa, quindi, produrre valore economico per l’azienda.

Quello dell’occupazione femminile è uno dei temi ricorrenti nel dibattito sulla dimensione sociale – ma anche etica, sostenibile, etc. – delle organizzazioni, con forti interneconnessioni con altri temi ricorrenti, qualcuno più datato e qualcuno più recente, quali la responsabilità sociale d’impresa, le strategie di gestione del benessere organizzativo, le misure del welfare pubblico e aziendale, l’innovazione sociale, etc.

Delineare il quadro aiuta a cogliere le opportunità d’azione e a riflettere sulla capacità d’innovazione sociale e organizzativa nelle aziende, ripensando, tra l’altro, alla sostenibilità sociale dell’impresa in una fase di transizione tra la crisi e nuovi modelli economici. Pertanto, a partire dai dati del rapporto, nel corso del convegno è stato prezioso il contributo degli stakeholders del territorio su quali sono le prospettive future in un mondo che la crisi degli ultimi anni ha definitivamente mutato, in una logica di Secondo Welfare che si va via via affiancando al Welfare pubblico.

 

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