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Buona parte delle letteratura e della pubblicistica sulla Garanzia giovani in Italia si è soffermata fino ad oggi a denunciare i limiti operativi di tale strategia, ovvero le sue difficoltà nella fase di implementazione ad opera del governo centrale e delle amministrazioni regionali. Minore attenzione è stata invece prestata all’analisi critica del disegno della Garanzia giovani intesa come un insieme di misure di politica attive del lavoro volte a contrastare il fenomeno dei NEET.

La Garanzia giovani può essere ricondotta a pieno titolo all’ambito di un "nuovo" approccio di policy, definito di investimento sociale, che negli ultimi anni ha attirato l’attenzione dei policy-makers a livello europeo [1]. Tale approccio fa riferimento a una visione delle politiche sociali come strumenti volti a limitare l’impatto negativo dei nuovi rischi sociali connessi ai cambiamenti dell’economia e del mercato del lavoro post-industriali, quali la disoccupazione o sotto-occupazione di lungo periodo, le difficoltà che possono derivare da condizioni di monogenitorialità o di cura di parenti anziani o ancora l’obsolescenza delle skills possedute. Un aspetto centrale delle politiche di investimento sociale è infatti la promozione (o perlomeno il mantenimento) dello stock di capitale umano, inteso come l’insieme delle conoscenze e competenze che consentono alle persone di gestire le possibili transizioni in entrata/uscita o all’interno del mondo del lavoro. In tal senso, l’approccio dell’investimento sociale ripone particolare attenzione al tema della prevenzione, più che a quello della tutela ex-post di situazioni di bisogno.

Il rapporto tra la Garanzia giovani e le strategie di investimento sociale appare stretto sia per l’accento posto sulla crescita dell’occupabilità delle persone, attraverso la fornitura di servizi per facilitarne l’inserimento professionale, sia per il focus sulla popolazione in età giovanile e sulla necessità di "pronto intervento", volto a evitare che determinate situazioni si trascinino diventando croniche e difficilmente reversibili.

Una valutazione compiuta della Garanzia giovani richiederebbe l’attento monitoraggio dei risultati conseguiti e analisi contro-fattuali. Ad ogni modo, riteniamo utile produrre un primo giudizio sui punti di forza e le debolezze di tale strategia senza dover attendere gli esiti della sua effettiva realizzazione. Ad esempio, si potrebbe prendere in considerazione il potenziale in termini di investimento sociale della Garanzia giovani, esaminando ex ante la sua configurazione come modello di intervento pubblico. In particolare, in questo articolo ci soffermeremo per motivi di spazio solo su due limiti che la letteratura individua con riferimento alle politiche di investimento sociale e che potrebbero interessare anche il disegno della Garanzia giovani: il cosiddetto effetto di San Matteo e la scarsa attenzione ai temi della qualità dei servizi e dell’eguaglianza delle opportunità offerte.

Con il termine effetto di "San Matteo" si suole indicare la tendenza delle politiche di investimento sociale a favorire le categorie meno svantaggiate all’interno di una data popolazione target. Si tratta dunque di una conseguenza perversa nella distribuzione delle risorse a vantaggio di coloro che si trovano in una posizione di relativa minore necessità. Effetti di San Matteo sono rinvenibili ad esempio con riferimento ai servizi per l’infanzia a cui spesso accedono in proporzione maggiore le famiglie con profili di rischio meno problematici [2].

Anche con riferimento alla Garanzia giovani, l’effetto di San Matteo appare un rischio plausibile. Ciò nonostante, il suo disegno di policy sia a livello nazionale, sia regionale non sembra aver tenuto in adeguata considerazione tale aspetto. La Garanzia giovani in Italia tende infatti a rivolgersi ai NEET [3]  come una categoria sostanzialmente omogenea. In realtà, all’interno di questo gruppo ricadono spesso persone con profili di rischio molto differenti, distinguibili sulla base di alcune caratteristiche di fondo e dell’effettiva intensità dei (presunti) rischi a cui sono esposti. I NEET possono essere infatti disoccupati o inattivi, il loro status può dipendere da una scelta più o meno volontaria oppure dall’esistenza di gravi impedimenti all’inserimento nel mercato del lavoro o di ostacoli di natura culturale e psicologica. In alcuni casi, i NEET rappresentano una categoria di persone particolarmente esposte a condizioni di esclusione sociale e anche di povertà o deprivazione materiale. In altri, invece, la "scelta" dell’essere NEET può dipendere da una "pausa di riflessione" più o meno lunga che alcuni giovani – sostenuti dalle loro famiglie – decidono di prendere, oppure può essere attribuita a una condizione di neo-genitorialità che si vuole trascorrere dedicando tempo pieno alla cura del proprio bambino/a.

Attirare l’attenzione sui limiti concettuali della categoria dei NEET non significa eludere gli aspetti problematici che l’individuazione di tale fenomeno vuole mettere in luce. Ciò che però occorre evitare è equiparare in maniera automatica i NEET a profili necessariamente problematici.

Questa considerazione ci porta a un’altra riflessione: se i NEET non sono tutti eguali, allora qualsiasi disegno della Garanzia giovani a livello nazionale e regionale dovrebbe prima di tutto orientarsi verso coloro che presentano, tra i NEET, i profili più "delicati" e che spesso richiedono maggiore tempo e attenzione. In realtà, ciò che avviene è esattamente il contrario: spesso gli interventi finiscono con concentrarsi su chi appare meno esposto (di altri) ai rischi sociali. Tale risultato è dovuto da una parte alla penuria di risorse finanziarie e umane che spingono i servizi al lavoro a trattare i casi più semplici, dall’altra al fatto che i casi "difficili" sono spesso costituiti da giovani che non si attivano spontaneamente presso i centri per l’impiego. Ciò pone sia un problema di disegno degli interventi (non solo relativo alle incentivazioni, ma all’insieme delle strategie e risorse mobilitate), sia un problema "politico" di deservingness, ovvero di definizione di fino a che punto debba "spingersi" l’intervento pubblico.

Forse non è un caso che le persone registrate al programma Garanzia giovani con un basso profilo rappresentano solo circa il 15% del totale degli iscritti. E’ noto che in Italia la disoccupazione giovanile è costituita da una larga fetta di persone con elevati titoli di studio. Ciò nonostante non possiamo negare che i servizi al lavoro compenti abbiano scarso interesse a gestire i casi più complessi, dal momento che comportano un forte dispendio di energie. E questo vale anche se, in teoria, il sistema di incentivazione connesso alla profilazione dovrebbe premiare le agenzie che si occupano dei più deboli.

Inoltre, i profili più vulnerabili sono anche quelli che meno facilmente potranno essere subito collocati nel mondo del lavoro. Per queste persone la strada da percorrere è di norma lunga e passa prima dalla realizzazione di (reiterate) attività di coaching e di tirocinio. Ma le situazioni di maggiore svantaggio finiscono però ad avvitarsi su se stesse proprio perché gli operatori e/o le aziende tendono a selezionare i candidati meno problematici anche per gli stage, i cui bonus non variano, come invece avviene per le assunzioni, in funzione della "distanza dal mercato del lavoro".
In altre parole, la Garanzia giovani in Italia non sembra essere un "gioco da ragazzi" e sopratutto non lo è per coloro che appaiono poco determinati fin dalla partenza (posto che lo sia per i più "capaci").

Nonostante il fatto che i NEET rappresentino un gruppo eterogeneo, né il piano di attuazione nazionale, né quelli regionali presentano analisi dettagliate sulla composizione di tale categoria. Ne consegue che la programmazione delle misure e l’attribuzione dei relativi budget è quasi mai calibrata sui bisogni specifici dei territori o l’individuazione di alcuni gruppi prioritari di intervento in seno a una così ampia popolazione-target (i NEETS tra i 15 e i 29 anni). A titolo di esempio, salvo qualche eccezione da parte di alcune regioni, è difficile rinvenire nei documenti programmatori un’attenzione riservata ai NEET più giovani (15-18 anni) o ai NEET con un basso titolo di studio il cui profilo è spesso lontano dall’essere "attraente" per poter rispondere con successo non solo a un’offerta di lavoro, ma perfino di tirocinio.

Anche al fine di contenere il rischio dell’effetto di San Matteo, una maggiore attenzione dovrebbe invece essere riservata alla "componente educativa" della Garanzia giovani che ha come obiettivo non tanto il diretto inserimento nel mondo del lavoro, ma l’acquisizione e il rafforzamento di quelle competenze di base e trasversali che ne costituiscono un importante prerequisito. I risultati di Garanzia giovani (e/o iniziative analoghe) andrebbero infatti osservati non solo attraverso il prisma del conseguimento di hard outcomes, quali il rapido inserimento nel mondo del lavoro, ma anche di soft outcomes, ovvero la capacità di rimozione di alcune di quelle molteplici barriere che si frappongono nei casi più complessi a una possibile integrazione professionale. Inoltre, concentrare le risorse solo sulle risposte immediate, spingendo le persone a passare da una condizione di NEET a una di "EET"[4] , nulla ci dice sulla possibilità di poter sostenere tale cambiamento nel tempo [5].

Un secondo limite rinvenibile nel disegno della Garanzia giovani riguarda la scarsa attenzione prestata al tema della qualità degli interventi. Tale considerazione critica è stata avanzata, come abbiamo già avuto modo di rilevare, da un recente rapporto della Corte dei conti europea.

Di fatto le osservazioni della Corte dei conti riguardavano l’assenza di indicatori volti a valutare la qualità delle offerte di lavoro o tirocinio, così come indicato nella Raccomandazione del Consiglio sulla Garanzia giovani del 2013. E’ però opinione di chi scrive che l’aspetto più importante sia la capacità dei servizi competenti di scremare le opportunità segnalate sulla base della conoscenza dei territori e delle aziende che vi operano, così come della possibilità di garantire un servizio iniziale di follow up volto a monitorare l’andamento dell’esperienza lavorativa o formativa. Qualsiasi intervento in questa direzione comporta però l’investimento di importanti risorse finanziarie e umane che al momento sembrano lontane dall’essere disponibili.

Accanto al tema della qualità delle offerte di lavoro e stage, si pone la necessità di garantire un adeguato livello di eguaglianza nell’accesso alle opportunità. Anche tale aspetto non viene preso in considerazione dal disegno della Garanzia giovani pensato dai diversi livelli di governo. Ad esempio, quasi nessun accenno è rivolto al tema dei diversamente abili e allo loro componente NEET, ovvero agli strumenti di contrasto della loro possibile condizione di inattività (Il Piemonte in tal senso rappresenta un’eccezione).

Allo stesso modo, nessuna attenzione è posta alla dimensione di genere che può caratterizzare il fenomeno dei NEET, come se tale dimensione non fosse rilevante per la comprensione delle cause e delle dinamiche della disoccupazione e dell’inattività giovanile.

Infine, il tema dell’eguaglianza di accesso alle opportunità ritorna con riferimento a quelle persone che vivono in contesti più isolati, dove la rete di contatti e di aziende è limitata, così come ridotta è la disponibilità di servizi pubblici adeguati (trasporti, scuole). Come dire, un disegno accurato degli interventi realizzati in seno alla Garanzia giovani dovrebbe, nel limite del possibile, prestare attenzione alla presenza di deficit ambientali che possono influenzare la capacità effettiva di una persona di "attivarsi".

L’introduzione del principio di condizionalità, ovvero della possibilità delle persone di poter accedere ai servizi al lavoro offerti anche da una regione diversa da quella di provenienza è senza dubbio largamente condivisibile. Ciò nonostante è difficile che tale principio possa di per sé rappresentare una risposta sufficiente. Tralasciando alcune difficoltà tecnico-operative, è poco probabile che un giovane proveniente da un’area remota sia disposto a compiere a sue spese trasferte di qualche centinaia di kilometri per rispondere alla chiamata di un centro per l’impiego che inizialmente potrà procedere solo a una "presa in carico" soft, ovvero a una convalida delle sua posizione e dei dati forniti, senza che all’interessato/a venga proposto almeno un’esperienza lavorativa o formativa tangibile. In tal senso, il principio di contendibilità avrebbe forse potuto funzionare meglio se accompagnato da alcuni accorgimenti, quali la possibilità di realizzare i primi colloqui in modalità on-line o telefonica e la previsione di un rimborso delle spese di trasferta per le fasi più avanzate dell’attuazione del piano di servizio.

Ai rilievi critici che abbiamo sollevato si potrebbe contro-obiettare che la Garanzia giovani in Italia sia nata in un contesto "ostile", ovvero caratterizzato dalla mancanza di un sistema nazionale di politiche attive e di livelli di prestazioni minime offerte sull’intero territorio, aggravato per giunta dalla bassa performance del mercato del lavoro. In altre parole, dal momento che mancavano i prerequisiti, occorreva prima investire su questi ultimi, tenendo a mente che il "meglio è spesso nemico del bene". Se tale contro-obiezione ha un suo ragionevole fondamento, è vero anche il tentativo di innestare dall’alto un processo potenzialmente virtuoso ha portato a una sommatoria spesso poco coordinata di interventi realizzati a partire da un unico menu nazionale. Lo sforzo di standardizzazione, pur necessario in alcuni frangenti, si è così tradotto nell’adozione di misure al di fuori di una vera logica di processo e di programma. Se il "meglio" non poteva dunque essere nel mirino dei nostri policy-makers, perfino il "bene" sembra essere un obiettivo non ancora a portata di mano.

Quello che è finora mancato – al netto delle resistenze amministrative e dei "giochi di potere" tra i diversi livelli istituzionali – è la capacità di realizzare forme efficaci di coinvolgimento degli stakeholders, che potrebbero ad esempio essere promosse attraverso l’organizzazione di focus group a livello locale, come indicato dalla stessa Raccomandazione sulla Garanzia giovani. Inoltre è mancata la capacità di fornire adeguate motivazioni agli operatori, ovvero di investire su coloro che svolgono il ruolo più delicato nella realizzazione concreta delle politiche attive del lavoro e dai quali dipende in larga parte il loro successo.

 

[1] Hemerijck, Anton. "The quiet paradigm revolution of social investment." Social Politics: International Studies in Gender, State & Society 22.2 (2015): 242-256.
[2] Ghysels, Joris, and Wim Van Lancker. "The unequal benefits of activation: an analysis of the social distribution of family policy among families with young children." Journal of European social policy 21.5 (2011): 472-485.Hemerijck, Anton. "The quiet paradigm revolution of social investment." Social Politics: International Studies in Gender, State & Society 22.2 (2015): 242-256.
[3] Ricordiamo che tale acronimo fa riferimento ai giovani che non lavorano e che non sono impegnati in un percorso educativo o di formazione.
[4] Vale a dire "in education, employment or training".
[5] Yates, Scott, and Malcolm Payne. "Not so NEET? A critique of the use of ‘NEET’ in setting targets for interventions with young people." Journal of youth studies 9.3 (2006): 329-344.

 

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