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Il libro NEET. Giovani che non studiano e non lavorano (ed. Vita e Pensiero), recente lavoro di Alessandro Rosina dell’Università Cattolica di Milano, si presenta come un volume sintetico che vuole fornire ai non esperti del settore alcuni strumenti per approfondire il fenomeno dei NEET (Not in Employment, Education or Training), posto da qualche anno al centro delle riflessioni sulla condizione giovanile e sul mercato del lavoro italiano. Esso tenta di colmare una lacuna editoriale, ovvero di fornire un testo documentato, ma non specialistico, per superare la superficialità di numerose descrizioni giornalistiche che utilizzano il termine “NEET” in modo sensazionalistico, clonandolo dai rapporti statistici e dalla letteratura sociologica. Il libro di appena cento dodici pagine si presenta infatti come un’agile compendio del dibattito italiano sul tema e fornisce al lettore alcuni agevoli punti di accesso per approfondire il tema, nonché una bibliografia di base utile anche ai giovani studenti di scienze sociali. La base di dati utilizzata è il Rapporto giovani 2014 dell’Istituto Toniolo e nell’appendice vengono spiegate in modo chiaro le diverse categorie analitiche per la misura e l’interpretazione del concetto di NEET e della disoccupazione giovanile. 


Contenuto del volume e proposte operative

Il testo inizia assumendo l’esistenza di un problema urgente legato alla condizione sociale e lavorativa dei giovani che non studiano e non lavorano e descrive in modo sintetico quali sono le fasce all’interno del numero complessivo dei giovani più a rischio di esclusione sociale e povertà. Fin dalle prime battute l’autore manifesta anche l’intento programmatico di proporre delle soluzioni urgenti ai decisori politici per attivare un cambiamento sistematico delle politiche per il mercato del lavoro ed il welfare. L’appello è a fare presto affinché i danni sociali e la retrocessione accelerati dalla recente crisi non diventino delle arretratezze strutturali e difficilmente recuperabili. Il secondo capitolo descrive i noti limiti del sistema formativo italiano con una notazione interessante quando sottolinea che “il legame causale tra capitale umano e sviluppo non è unilaterale, ma di mutua interdipendenza”. In altre parole, Rosina evita di porre il problema dell’occupabilità interamente sulle spalle dei giovani, problematizzando anche il lato della domanda di lavoro e della scarsa capacità innovativa di molte imprese. 

Il terzo e quarto capitolo criticano le inefficienze del sistema produttivo e il ruolo dei fattori culturali nella forte dipendenza dei giovani italiani dalle famiglie di origine. Infine il quinto capitolo affronta le criticità citate in precedenza, identificando quattro gruppi di proposte operative di immediata realizzazione.

Per diminuire drasticamente la dispersione scolastica Rosina propone la generalizzazione dell’impiego di forme di mentoring e coaching individualizzato, una maggiore attenzione alle life skills, ovvero alle competenze relazionali e alle pratiche trasversali che favoriscono l’integrazione sul posto di lavoro e l’effettiva implementazione dell’Anagrafe degli Studenti nazionale, prevista dalla legge 221/2012. Per favorire la presenza attiva nel mercato del lavoro, l’Autore individua come strategico il ruolo professionalizzante dell’istruzione, soprattutto tecnica, che deve essere migliorata e cita il ruolo del decreto 81/2015 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni) che, tra l’altro, ha riformato nuovamente l’apprendistato. Il terzo e quarto gruppo di proposte operative riguardano la Garanzia giovani che viene analizzata con occhio critico. Come risposta alla carenza di domanda di forza lavoro, Rosina insiste sulla necessità di sviluppare l’imprenditorialità, sostenendo gli embrioni di innovazioni già presenti su alcuni territori come il movimento dei Makers, i fab lab e gli spin-off universitari, fino al mondo variegato degli spazi di coworking. Il finale utilizza l’espediente retorico di uno sguardo da un futuro felice in cui i problemi di oggi sono stati felicemente risolti.


Alcune criticità

L’interessante volume di Rosina presenta alcuni punti deboli su cui ci soffermiamo brevemente.
In primo luogo, la categoria dei NEET viene assunta da Rosina sottolineandone alcune criticità. Ciò nonostante, non emerge nell’argomentazione la maggiore complessità di un dibattito iniziato prima della crisi del 2008 sull’opportunità di utilizzare ed estendere questa categoria pensata inizialmente per i drop-out scolastici. L’ampiezza della platea dei NEET soprattutto in Italia pone infatti in tela di giudizio la capacità descrittiva di questa etichetta.

In secondo luogo, manca un’analisi di come i limiti delle politiche per il mercato del lavoro in Italia siano inseriti nel quadro più largo delle politiche di austerità europea e quale ruolo sia assegnato alla forza lavoro giovane del nostro paese. Il lavoro nero e la sotto-occupazione dei giovani vengono menzionati, ma non si presenta una analisi della loro funzione economica: essi infatti svolgono una funzione specifica nel capitalismo italiano a bassa innovazione e indicano una condizione di sfruttamento dei giovani, spinti verso bassi salari, mansioni pericolose e senza mezzi per ottenere l’indipendenza dalle famiglie.

Una terza criticità concerne il fatto che l’autore si riferisca alla vita con metafore competitive come “la gara di Formula 1, la partita ecc.”, mentre non viene dato spazio alla descrizione degli aspetti cooperativi e associativi del mondo giovanile che costituiscono molti degli spazi che permettono la resilienza di questa categoria sociale transitoria. È nei luoghi associativi, formali e informali, nelle esperienze collettive di volontariato, lavoro sociale, attività politica spesso fuori dalle istituzioni, che proliferano le forme più creative e innovative di lavoro dei giovani e che nascono i soggetti che possono rivendicare nello spazio pubblico maggiore attenzione alle nuove generazioni. L’inclusione dei giovani nel mercato del lavoro non può essere lasciata solo alla strada “verticale e individualizzata” della ricerca dell’occupabilità a tutti i costi.

Un altro aspetto degno di nota è che appare evidente quanto l’assenza di una domanda di forza lavoro all’altezza della situazione da parte delle imprese private e dello Stato sia centrale nella riproduzione della vulnerabilità dei giovani sul mercato del lavoro. Molte delle presunte descrizioni sociologiche dei giovani italiani e le valutazioni presenti nel testo di Rosina sui caratteri tipici della generazione dei millennials si scontrano nel testo stesso con l’evidenza di dati statistici che indicano nella mancanza di indipendenza economica e lavorativa dei giovani la ragione della loro permanenza prolungata nella sfera familiare e dello sviluppo di caratteri di scarsa autostima e fiducia sociale. Sono infatti le cause socio-economiche ad alimentare il familismo e la gerontocrazia italiane e a costituirne una legittimazione e non il contrario. I bamboccioni e gli schizzinosi sono probabilmente figli di famiglie ricche in grado di mantenerli in tale condizione e dunque non rappresentano in nulla le aspirazioni e le condizioni della maggior parte dei giovani italiani.

Infine, la critica alla posizione discorsiva del volume Garanzia Giovani. La sfida (Valentina Edizioni) di Fano, Gambardella e Margiocco appare condivisibile, poiché, come scrive Rosina, i giovani “sono considerati l’oggetto della politica di cui parla il volume, non il soggetto a cui si parla”. Tuttavia neanche il nostro autore riesce a centrare l’obiettivo di dare spazio alle soggettività giovanili poiché tale non è l’obiettivo del suo libro. E’ dunque auspicabile smettere di parlare di loro e farli parlare. Al posto di una narrativa e una ricerca di stampo paternalista è necessario un lavoro approfondito di inchiesta e di con-ricerca per costruire un’istantanea della condizione giovanile in Italia considerando i giovani, a partire dagli studenti, anzitutto lavoratori e lavoratrici in formazione. Potrebbe essere una strategia utile mettere in luce non soltanto l’esclusione, ma anche le funzioni della loro inclusione subordinata e dello sfruttamento a cui sono sottoposti i giovani e il ruolo che la loro “inferiorizzazione” costante riveste nella più complessiva organizzazione sociale del lavoro.