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All’interno del numero 3/2018 di Solidea, pubblicazione curata dall’omonima Società di Mutuo Soccorso, la direttrice editoriale Stefania Collina racconta due interessanti esperienze di welfare comunitario. Si tratta di "Camilla", il primo emporio di comunità in Italia nato a Bologna, e "Oltre i margini", progetto promosso dall’Associazione La Rotonda e Fondazione Bracco a Baranzate.

Facciamo un semplice esperimento. Chiudiamo gli occhi e pensiamo per almeno 5 secondi a tutte quelle cose che, nel nostro quartiere, potrebbero assumere una forma più smussata, banalmente, più “sostenibile” per introdurre una parola ormai strausata. Fatto? Ecco: succede che a Bologna e a Baranzate, alcune persone non solo ci hanno pensato per almeno 5 secondi, ma hanno anche deciso di pensarci “insieme” e di dare una veste operativa alle loro riflessioni. Risultato? Due progetti molto diversi tra loro per ambito di urgenze cui rispondere, ma che si richiamano agli stessi principi di auto-organizzazione: creare occasioni di inclusione e di crescita sociale all’interno dei territori.

A Bologna, nel prossimo mese di dicembre, verrà inaugurata "Camilla", il primo emporio di comunità in Italia, gestito interamente dai soci della cooperativa che al contempo sono proprietari, gestori e clienti dell’emporio. Il progetto nasce dalla collaborazione di due importanti realtà del territorio: Alchemillagas, storico gruppo di acquisto solidale bolognese e Campi Aperti, un’associazione di produttori e cittadini che sostiene l’agricoltura biologica contadina e il diritto delle comunità a decidere in merito alla produzione del proprio cibo, all’alimentazione e alla gestione dei territori.

A Baranzate, invece, un fortunato sodalizio ha legato l’associazione di promozione sociale La Rotonda e la Fondazione Bracco, che da otto anni promuove la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e artistico a livello nazionale e internazionale, favorisce l’istruzione e la formazione professionale dei giovani e sviluppa iniziative solidali come contributo al benessere della collettività. Le due realtà hanno dato vita al progetto “Oltre i margini”, che unisce tre filoni di attività: l’inclusione sociale attraverso il lavoro, la tutela della salute dei soggetti ai margini e il contrasto alla povertà educativa.


Un negozio “amico”

Manca poco all’apertura di "Camilla", il primo emporio di comunità di quartiere e c’è ancora moltissimo da fare. Siamo però riusciti a rubare un po’ di tempo a Giovanni Notarangelo, che del gruppo promotore di "Camilla" è una delle anime vitali.

Come è nata la collaborazione tra AlchemillaGas e Campi Aperti?

Le due realtà intrecciano relazioni da molto tempo. Proprio per questo a un certo punto del loro percorso, hanno deciso di sedersi a un tavolo, per ragionare su come superare alcune difficoltà comuni. AchemillaGas è un classico gruppo d’acquisto che da 10 anni è attivo a Bologna. Come tutti i Gas, è nato piccolo, per poi diventare molto esteso grazie a realtà amiche. E qui nascono problemi: quando si diventa troppo grandi, è sempre più difficile garantire la stessa qualità di servizio di prima, perché nessuno se ne occupa.

Negli ultimi anni, poi, i Gas si sono trovati a fronteggiare dei cambiamenti profondi nella distribuzione dei prodotti: si sono moltiplicali i negozi bio e i famosi prodotti a chilometro zero sono entrati nella grande distribuzione: ovviamente lì non c’è più competizione per noi. Visto che uno degli aspetti della filiera alimentare che più ci interessa è il sostegno ai ai produttori, abbiamo pensato che era tempo di creare nuove alleanze, anche per intercettare più persone oltre il Gas.

Ed è a questo punto che entra in gioco Campi Aperti?

Esatto. Campi Aperti, si fonda su alcuni principi essenziali, atra cui: economia di relazione, filiera corta e sostegno all’agricoltura biologica. Nella sua attività è di interesse primario che i produttori che fanno parte della loro rete possano trovare altri sbocchi nella distribuzione.

A Bologna c’è un canale favorevole sia in tema di autodeterminazione alimentare, sia per quanto riguarda il sostegno alla trasparenza dei prodotti e l’autonomia dei produttori. Incrociare le nostre strade è quindi stato un passaggio naturale: avevamo voglia di provare a sperimentare formule nuove.

E avete cercato di dare gambe a "Camilla"…

In Italia non esiste ancora una realtà simile. La nostra idea si avvicina molto alle Food Coop americane e ad altri esperimenti cooperativi in Europa. Li abbiamo studiati e conosciuti da vicino, abbiamo approfondito come funzionano e poi abbiamo sondato se, a Bologna, una cosa del genere poteva funzionare. Ebbene, l’idea è piaciuta molto. Soprattutto sotto l’aspetto del coinvolgimento di tutti i soci: la creazione di una cooperativa vera, dove tutti collaborano in prima persona per la riuscita del progetto.

Quali sono le caratteristiche di "Camilla" e quali, in particolare, i suoi principali punti di forza?

Sicuramente sono due i punti di forza: la trasparenza dei prodotti e il sostegno ai produttori. Ma piace anche molto l’idea di avere un posto di riferimento, con orari modello negozio. In altre parole avere un “luogo amico”, che si sente proprio, dove incontrare persone simili e condividere delle idee.

Parliamo delle difficoltà, invece.

Pensavamo che la formula: divento socio, devo comprare all’emporio per garantirne la sopravvivenza e devo anche lavorarci dentro per tenerlo aperto avrebbe incontrato delle resistenze. Invece è uno degli aspetti che piace di più: lavorare all’emporio è visto come una forma di condivisione, di partecipazione comunitaria.

A proposito di “comunità e territori”, pensate che questa nuova realtà possa creare un valore aggiunto per la realtà locale?

"Camilla" aprirà in via Casciarolo, in un quartiere della prima periferia bolognese, molto vivo ed eterogeneo per quanto riguarda i suoi abitanti: studenti, pensionati, diverse realtà associative. Naturalmente tra i nostri obiettivi c’è anche la prospettiva di lavorare sul territorio, offrendo al quartiere lo spazio dell’emporio per piccole iniziative, pero poi collaborare attivamente con le altre associazioni per iniziative più ampie.

"Oltre i margini": un progetto di inclusione sociale

Baranzate è un Comune alle porte di Milano. All’anagrafe, si presenta con una particolarità davvero sorprendente: è la seconda città in Italia per concentrazione di migranti residenti (33% su 11mila abitanti), che rappresentano ben 72 etnie. Ed è proprio qui che è iniziato il lavoro dell’associazione La Rotonda, nel quartiere Gorizia, dove vive il 70% dei migranti di Baranzate. «L’obiettivo ultimo è di migliorare le condizioni di vita dei migranti e dei cittadini di Baranzate attraverso la promozione di un modello lavorativo inclusivo, con la sartoria Fiori all’Occhiello, e operando al contempo per dare risposta ai nuovi bisogni sanitari con servizi gratuiti di assistenza pediatrica, sensibilizzazione e informazione». A presentarci il progetto è Cecilia Soldano, coordinatrice comunicazione ed eventi di Fondazione Bracco.

Come è nata la collaborazione tra la Fondazione e le associazioni territoriali, con quali finalità e attraverso quali strumenti?

L’iniziativa "Oltre i Margini" nasce dall’incontro tra Fondazione Bracco e l’associazione La Rotonda, attraverso una lettera che don Paolo Steffano, parroco della chiesa Sant’Arialdo di Baranzate, indirizza alla fondazione nel 2015 per chiedere aiuto. Dopo questo primo incontro, segue una fase di ideazione del progetto e il suo avvio, a marzo 2016. Fondazione Bracco decide di affiancarsi concretamente all’operato dell’associazione, nel solco dell’impegno sociale dell’azienda a favore della comunità, con un’attenzione specifica ai territori in cui è presente.

Per il primo anno di progetto, Fondazione Bracco e La Rotonda decidono di affidare il monitoraggio a Cesvi, che ha una specifica competenza in questo ambito. Parallelamente, Fondazione Bracco coinvolge il CDI – Centro Diagnostico Italiano, poliambulatorio del Gruppo Bracco, nell’ambito delle attività progettuali sulla salute.

Quali sono state le principali difficoltà incontrate nella costruzione del progetto e per la sua fattibilità?

Al di là dei servizi e delle iniziative concrete sviluppate attraverso il progetto, l’obiettivo fondamentale di questo intervento è sviluppare percorsi di accompagnamento all’autonomia, superando la logica assistenziale, con lo scopo ultimo di rigenerare un territorio in senso inclusivo.

Una delle difficoltà riscontrate nel corso del progetto è stata l’identificazione di alcuni bisogni che in fase di mappatura iniziale non erano così evidenti. Per esempio, nell’ambito della salute sono stati individuati dal pediatra tre casi gravi di malnutrizione infantile, che hanno messo in luce un problema nell’utenza legato alla conoscenza sulla dieta corretta e sulle modalità di trattamento dei cibi.

Un altro aspetto su cui è stata necessaria una riflessione più approfondita è il fatto che la popolazione destinataria degli interventi è eterogenea e in gran parte linguisticamente competente. Dal secondo anno di progetto, per rispondere in modo efficace, è stato quindi previsto uno sviluppo specifico sui temi dell’alimentazione e del superamento delle barriere linguistiche attraverso iniziative di sensibilizzazione e apprendimento.

Quale valore aggiunto – in termini di welfare – pensate che questo tipo di collaborazione possa apportare alle comunità territoriali?

A due anni dall’avvio del progetto, con oltre duemila beneficiari coinvolti, Fondazione Bracco ha affidato al Centro Tiresia del Politecnico di Milano e ad Aiccon la realizzazione di una ricerca integrata volta a valutare l’impatto del progetto sia dal punto di vista sociale, vale a dire gli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento, sia dal punto di vista del modello di governance e sviluppo. L’esito dello studio è incoraggiante, emergono risultati positivi quali-quantitativi sia per quanto riguarda la salute della cittadinanza, sia per gli aspetti economici (guadagni sia delle persone, sia come IRPEF per lo Stato), sia a livello di integrazione della comunità.

Per quanto riguarda il modello di servizio, La Rotonda, capace di innescare una dinamica virtuosa di processo introno a servizi ad alto valore sociale, ha certamente beneficiato, in termini di crescita, della relazione con Fondazione Bracco, che va oltre la filantropia istituzionale facendo coesistere un rapporto di senso con la capacitazione delle risorse locali, all’insegna dello scambio e del confronto.

Premessa di ogni azione di rigenerazione diventa la creazione di un ecosistema di attori capaci di co-produrre con la comunità stessa luoghi e soluzioni utili al benessere dei cittadini.