Policy Highlights di Politiche Sociali / Social Policies Policy 

L’articolo che segue sintetizza alcuni degli esiti principali di un lavoro pubblicato sul numero 3/2020 di “Politiche Sociali/Social policies”, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia che è recentemente diventata parte del Network di Percorsi di secondo welfare. Per maggiori dettagli e citazioni: M. Lori, F. Zandonai, Tempo di bilanci (e di mutamenti?): il ruolo delle istituzioni non profit nella geografia del welfare territoriale, in "Politiche Sociali/Social Policies" 3/2020, pp. 459-484.


A vent’anni dall’approvazione della legge 328 è importante riflettere sull’impatto della prima riforma nazionale nel campo dei servizi sociali alla luce della storica marginalità del settore in Italia. La 328 ha rappresentato infatti una tappa rilevante per lo sviluppo dei sistemi di welfare sociale su scala locale e, in questo ambito, per riconoscere il ruolo delle diverse articolazioni della Pubblica Amministrazione (gli enti locali in particolare) ma anche degli attori privati in primo luogo delle istituzioni non profit. Una legge che, da una parte, raccoglieva l’eredità di importanti innovazioni locali e settoriali e, al contempo, gettava le basi per una architettura del welfare orientata a colmare i divari a livello nazionale e, al contempo, a costruire risposte il più possibile personalizzate rispetto ai bisogni che scaturiscono dai diversi contesti. Il fatto che il ventennale cada nell’annus horribilis della pandemia non fa che sollecitare gli sforzi di natura valutativa, piuttosto che di mera commemorazione dell’anniversario. La tenuta dei servizi territoriali, la capacità d’integrazione con i sistemi sanitari, la programmazione degli interventi in un quadro di discontinuità, la rilevanza crescente dei trasferimenti monetari sono tutti segnali che, seppur in modo non lineare, sfidano l’impianto di quella riforma e i suoi principali attori.

A partire dai processi che accentuano la dimensione locale delle politiche sociali e l’attribuzione di funzioni pubbliche agli attori del privato sociale, si possono individuare diversi temi attraverso i quali valutare la legge 328. Tra questi sicuramente quello di comprendere il ruolo ricoperto dalle organizzazioni della società civile nell’ambito del welfare locale. Da un lato, con la progressiva affermazione del settore non profit nell’ambito di attività normato dalla legge 328, è interessante analizzare la sua evoluzione interna, in particolare, se si sia indirizzata verso una maggiore professionalizzazione e acquisizione di un orientamento imprenditoriale a scapito delle funzioni di rappresentanza e tutela dei diritti. D’altro, un’analisi a livello territoriale può consentire di valutare se le istituzioni non profit abbiano svolto, ed eventualmente in quale misura, un ruolo di riequilibrio e “arricchimento” dei sistemi di welfare sociale, sia in termini di incremento della capacità di offerta sia di maggiore accessibilità rispetto ai bisogni emergenti.

Il contributo pubblicato nel nuovo numero nella rivista Politiche Sociali cerca la risposta a questi interrogativi attingendo ai dati dei censimenti Istat sulle istituzioni non profit che, va ricordato, coprono a grandi linee l’arco temporale di applicazione della legge 328. Guardando in particolare all’evoluzione delle istituzioni non lucrative che operano nel settore dell’assistenza sociale e comparandole con l’andamento dell’intero settore emergono alcuni interessanti elementi di apprendimento.

In primo luogo non si nota un contributo particolarmente rilevante da parte delle organizzazioni non lucrative nell’”invertire la tendenza” dei sistemi di welfare locale, in particolare all’interno di quelli che appaiono meno strutturati in termini di capacità di offerta e di regolazione come in alcune regioni del Mezzogiorno. In altri termini il settore non profit non sembra aver svolto il ruolo di “agente di cambiamento” proponendo nuove attività o favorendo una maggiore inclusione del sistema, ma piuttosto di copertura, a volte parziale, rispetto all’offerta pubblica. Un limite che è forse legato a una discrasia tra modelli partecipativi in sede di programmazione delle politiche sociali (attraverso lo strumento del Piano di zona) e modalità prevalentemente competitive di allocazione delle risorse.

In secondo luogo si evidenzia una maggior capacità da parte delle istituzioni non profit che operano nel settore regolato dalla legge 328 nel costruire e gestire relazioni con una più ampia gamma di soggetti pubblici e privati rispetto a quanto avviene per l’intero settore. Un risultato che denota un notevole investimento in termini di capacità d’infrastrutturazione territoriale che però non sempre sembra essersi sempre tradotto in progettualità di sistema capaci di generare trasformazioni sociali positive e durature, limitandosi a meccanismi di coordinamento. I limiti delle risorse pubbliche dedicate alla sperimentazione e messa a regime di iniziative di innovazione sociale e la presenza “a macchia di leopardo” delle risorse filantropiche possono aver influenzato questo andamento al quale si può anche associare, a volte, la scarsa capacità di assorbimento di queste stesse risorse, laddove disponibili, da parte delle istituzioni nonprofit, ad esempio per quanto riguarda la qualità della progettazione e la capacità di rendicontazione.

Le ambivalenze emerse dall’analisi possono rivelarsi, in questo nuovo scenario, altrettanti nodi al pettine per lo sviluppo del settore non profit nel campo del welfare sociale. Settore che, nel frattempo, è stato oggetto nell’ultimo triennio di un importante e complesso disegno di riforma volto a far assumere a molte istituzioni senza scopo di lucro la veste di enti di Terzo Settore che si dovrebbero caratterizzare, da una parte, di una missione esplicitamente orientata a finalità riconducibili ai principi della legge quadro e della recente riforma costituzionale del titolo V. D’altro canto il Terzo Settore quando eroga servizi sulla base di contratti e convenzioni con amministrazioni pubbliche appare effettivamente vittima di fenomeni di isomorfismo rispetto a modelli di azione e in senso lato culturali della Pubblica Amministrazione, che però può neutralizzare valorizzando la rete di relazioni e rafforzando i legami comunitari. La sfida, in sintesi, consiste nel saper ricombinare attori e fattori delle politiche sociali territoriali mantenendo queste ultime in posizione di centralità rispetto ai sistemi di welfare e candidandole a svolgere un ruolo più rilevante come fattore di coesione e sviluppo territoriale ad ampio raggio.