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Per comprendere i significati che sostanziano il mutualismo si seguono solitamente due strade. La prima, decisamente più battuta, consiste nel ricostruire la parabola evolutiva delle sue principali “opere” in termini organizzativi e politici, guardando quindi al modo in cui questo meccanismo sociale di relazione ha saputo istituzionalizzarsi in società di mutuo soccorso, imprese cooperative e, non da ultimo, reti.

La seconda approfondisce, invece, le determinanti antropologiche e, a più ampio raggio, biologiche che spingono essere umani e altre specie viventi a svilupparsi attraverso relazioni di mutualismo. Un filone, quest’ultimo, che in particolare negli ultimi anni ha conosciuto un rinnovato vigore merito anche degli avanzamenti della ricerca scientifica in svariati campi: dalle scienze cognitive all’archeologia, dalla biologia alla genetica.

Una nuova espressività del mutualismo

C’è però una terza via d’indagine, forse più superficiale ma altrettanto promettente, che guarda a una più vasta e recente fenomenologia di innovazione sociale che si auto-definisce o può essere riconosciuta come una nuova espressività del mutualismo.

È questa la strada che abbiamo deciso di percorrere, anche perché ci sentivamo meglio attrezzati in tal senso, e che ha portato alla pubblicazione del nostro ultimo libro dal titolo “Neomutualismo“. E proprio sul prefisso “neo” vorremmo focalizzare l’attenzione per capire se regge o meno alla prova della contemporaneità e del futuro in una fase così incerta: stiamo effettivamente assistendo alla comparsa di nuovi schemi di relazione, e di istituzioni, che ridefiniscono il mutualismo oppure si tratta di un ciclo di vita riconducibile, almeno in parte, a basi storico-culturali, antropologiche e forse anche biologiche che tutto sommato ben conosciamo?

La domanda è tutt’altro che banale, soprattutto per capire dove andare a cercare le risposte. In un caso potrebbe essere sufficiente, ed è un eufemismo, attingere alla cassetta degli attrezzi di cui già disponiamo in termini di modelli teorici, apparati concettuali, corpus normativi e di politica, soluzioni organizzative e gestionali. Nell’altro si tratterebbe invece di avviare una più complessa fase di riscrittura del “codice sorgente” del mutualismo e di conseguenza di un profondo redesign degli approcci, dei dispositivi e degli strumenti di cui necessitiamo per promuoverlo e realizzarlo.

La nostra risposta è che in effetti siamo di fronte a iniziative ma anche (e soprattutto) a una domanda di mutualismo rispetto a cui i modelli storici non sembrano pienamente in grado di rispondere, sia per limiti intrinseci legati in particolare alla gestione della loro fase istituente più matura, ma soprattutto per l’avvento di mutamenti di scenario così ampi, profondi e rapidi da sollecitare modalità radicalmente innovative di declinare questo principio.

La parabola del mutualismo storico

Rispetto alla parabola del mutualismo storico, evidenziamo un limite in particolare che consiste nella progressiva reificazione dello scambio mutualistico per effetto della quale in molte istituzioni nate per consolidare e diffondere questo particolare meccanismo sociale si è progressivamente assottigliata la componente di reciprocità, cioè di interazione paritaria e processuale, a favore di elementi di natura procedurale e/o di scambio di equivalenti che invece rappresentano i meccanismi tipici della burocrazia e del mercato che il mutualismo si prefiggeva di superare.

Perché ciò è avvenuto? Le cause, come spesso capita, sono diverse e ambivalenti nelle loro correlazioni ma si possono almeno classificare in elementi di natura esogena ed endogena.

Senza volere (e potere) essere esaustivi, tra le cause esterne si può annoverare il sostrato ideologico della conoscenza scientifica che in particolare nelle scienze sociali (economia, sociologia, diritto) ha storicamente sostenuto concezioni e modelli di società organizzate su vasta scala, fortemente specializzate nelle funzioni e governate attraverso meccanismi di delega a tecnocrazie, relegando invece la dimensione locale e i suoi processi sociali a eccezione alla regola o “reliquia” del passato.

Basti pensare, a puro titolo di esempio, alla scienza giuridica che ancora oggi fatica a uscire dalla dicotomia pubblico / statale vs privato / impresa, piuttosto che ad altri ambiti disciplinari come le scienze aziendali e manageriali i cui principi ispiratori sono saldamente ancorati a “gabbie d‘acciaio” organizzative dove le componenti cooperative e non gerarchiche hanno avuto, almeno fin qui, poco spazio.

Tra le cause interne alle realizzazioni del mutualismo storico si può invece rilevare una crescente scollatura tra cultura organizzativa e modelli di gestione. Gli elementi culturali tendono ad assumere il ruolo di “custode del fuoco” contro rischi di contaminazione rispetto ai modelli dominanti – capitalistici in particolare – che adotterebbero, soprattutto in epoca recente, comportamenti imitativi ed edulcorati rispetto a cooperazione e mutualismo autentici.

Così facendo si corre però il rischio di adottare un atteggiamento intransigente ed autoreferenziale che, rimanendo in metafora, rischia di incenerire il fuoco impedendo di intercettare segnali di cambiamento dislocati ai margini o al di fuori del mutualismo istituzionale. D’altro canto le pratiche manageriali, anche per l’irrigidimento in senso ideologico della base culturale, pur aderendo formalmente ai principi del mutualismo tendono a sganciarsi da sostrati scarsamente generativi in termini di apprendimento, finendo così per alimentarsi ad approcci mainstream che, come ricordato in precedenza, esercitano una posizione dominante nel definire modelli d’impresa poi trasferiti nei programmi formativi delle business school.

Dove cercare la dimensione innovativa del mutualismo contemporaneo

Non è quindi un caso che il neo-mutualismo tenda a manifestarsi soprattutto come innovazione periferica rispetto alle forme storiche. E che queste ultime si trovino a volte a rincorrere queste nuove espressioni quasi alla ricerca di un effetto rigenerante.

Ma al di là di questi posizionamenti tattici, in che cosa consiste la dimensione innovativa del mutualismo contemporaneo e futuro e come questa può essere accompagnata?

Un primo elemento a nostro avviso rilevante consiste in una più accentuata dimensione ecosistemica. Le iniziative, anche le più embrionali, di neo-mutualismo nascono riconoscendo un più vasto e articolato sistema di interdipendenze che chiama in causa persone e organizzazioni caratterizzate da più spiccati elementi di diversità rispetto al passato, ma al tempo stesso presentano correlazioni significative anche con risorse ambientali e non da ultimo tecnologiche. Un rapporto uomo – natura – tecnologia che appare sempre più imperniato intorno a un approccio di “ecologia integrale” piuttosto che come un insieme di rapporti di natura strumentale finalizzato, nel migliore dei casi, a limitare le esternalità negative.

Si tratta di un assetto ecosistemico cruciale e indispensabile e che necessita di adeguati sistemi informativi capaci di combinare intelligenza collettiva e artificiale in una fase storica come quella attuale dove in gioco c’è la sopravvivenza non solo della specie umana, ma dell’intero pianeta.

Concorrenza o antagonismo?

Un secondo elemento che contraddistingue il neo-mutualismo è la sua propensione e capacità di agire in ottica di concorrenza e non di antagonismo rispetto ai modelli dello Stato e del mercato. A fronte di una progressiva apertura di queste istituzioni rispetto a forme di gestione e di governance che rimettono al centro elementi di collaborazione e cooperazione, le esperienze di neo-mutualismo più promettenti sono quelle in grado di sfidare Stato e mercato nel loro campo, non limitandosi a svelarne le ambiguità e a curarne i fallimenti (peraltro ormai strutturali).

Lo si nota, ad esempio, guardando all’annidamento sempre più diffuso e consistente del “comune” (common goods) all’interno della sfera pubblica, oppure nei tentativi di ricostruire filiere che ridefiniscono la concezione del valore perché hanno come perno imprese sociali e imprese for profit coesive dove la dimensione della sostenibilità ambientale e dell’impatto sociale sono componenti “core” e non solo “sgocciolamenti” di risorse derivanti dal business as usual.

Un neo-mutualismo che agisce, quindi, mutamenti sistemici non facendo tabula rasa ma modificando i fondamentali del sistema sociale, economico e politico-culturale. Infine, si notano anche rivolgimenti profondi all’interno dell’economia sociale istituzionale guardando ad almeno due tendenze.

La prima riguarda il rinascimento delle cooperative di utenza o meglio a una più diffusa presenza di imprenditori cooperativi che interpretano in senso proattivo il loro ruolo di beneficiari diventando all’occorrenza anche produttori e finanziatori dei beni e servizi che consumano, in particolare all’interno di cooperative di comunità.

La seconda è l’accelerazione dei modelli non cooperativi di impresa sociale, in particolare di quelli che adottano forme di società di capitali (srl, spa) riconvertite a scopi sociali. Si tratta di un passaggio importante perché queste forme imprenditoriali, spesso costruite per sostenere investimenti ad alta intensità di capitali (e di rischio), non sono meri “veicoli strumentali” che rischiano di dissipare il “valore aggiunto” del mutualismo ma nuove espressioni di questo principio che contribuiscono così ad arricchirne il valore e l’impatto.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2022 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio.

 

Foto di copertina: Tanaphong Toochinda, Unsplash