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Welfare di comunità e innovazione sociale per rispondere a bisogni sempre nuovi e crescenti: qual è il possibile ruolo per le Fondazioni di Origine Bancaria nello sviluppo di un nuovo sistema di welfare? Per rispondere a questa domanda vi proponiamo l’intervista, pubblicata all’interno del sito Il Punto – Pensioni&Lavoro, al Presidente di Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti.

“Comunità è una parola strategica per il futuro di tutti. Il welfare di comunità, come quello aziendale, sono le priorità assolute per il pubblico e il privato”: così il Presidente Guzzetti nel corso dell’evento “Storie di Persone”, che ha segnato la presentazione delle attività 2018 della Fondazione Cariplo. Ma in che modo, concretamente, le Fondazioni di Origine Bancaria possono operare per alimentare le sinergie tra primo e secondo welfare?

Facendo innovazione sociale, sperimentiamo concretamente nuovi modelli, nuovi modi per rispondere alle necessità diverse e crescenti. Investiamo risorse, ma il ruolo principale che hanno oggi le Fondazioni per lo sviluppo di un nuovo sistema di welfare è di essere punto di riferimento che riesce a tenere insieme che si è sempre occupato di questi temi con cui vuole farlo oggi e in futuro in modo nuovo.

Per capire meglio fare esempi concreti: il Progetto Welfare di Comunità e Innovazione sociale di Fondazione Cariplo che abbiamo chiamato “Welfare in azione” è iniziato circa 4 anni fa. Abbiamo messo a disposizione 30 milioni di euro; erano arrivate alla Fondazione più di 140 idee, abbiamo selezionato circa 30 progetti triennali; sono partiti e coinvolgono circa 600 soggetti (tra partner e soggetti della rete). A fronte dei 30 milioni di euro messi in campo da Fondazione Cariplo, si è generato un effetto leva che porta le risorse messe a disposizione di altri a circa 67 milioni di euro. Avevate mai sentito parlare di una raccolta fondi così importante sui temi sociali?

Ma ci sono altri dati che è importante sottolineare: ci sono oltre 114 mila persone coinvolte nei progetti, cioè interessate dalle azioni. 114 mila persone! Avete capito bene. Pensate che ci sono più di 3.000 persone che si stanno dando da fare, si stanno prodigando, partecipano attivamente, volontari, operatori,ecc. Questa è la Comunità che abbiamo in mente! Una comunità che ha energia e si prodiga per il bene delle persone che ci vivono, siano esse anziani, giovani, disabili o bambini. Ci sono 500 aziende coinvolte a diverso titolo: abbiamo sempre detto che una delle chiavi di successo di questa sperimentazione è il coinvolgimento delle aziende che, con il welfare aziendale o con il loro contributo con altre modalità, costituiscono un pilastro importante del modello pubblico/privato e privato sociale. Le aziende ad esempio sono disponibili ospitare le persone coinvolte nei progetti per esperienze lavorative, tirocini, leva civica…

Sussidiarietà, prevenzione, inclusione: quale peso e quale valore hanno queste 3 parole all’interno di un modello di welfare mix “sostenibile” ed effettivamente capace di rispondere ai nuovi bisogni sociali della popolazione?

Le faccio l’esempio di una storia bellissima che ha come contesto locale Verbania. Ci sono due anziani; uno di 95 e l’altro di 105 anni, sono due persone ancora molto in gamba. Con il progetto “la Cura è di casa” che è uno di quelli che abbiamo avviato, queste due persone si aiutano a vicenda. Sono tutti e due autosufficienti, ma hanno bisogno di relazioni e di svolgere una serie di attività quotidiane. Il progetto ha consentito che quella comunità creasse la relazione: oggi vanno insieme a fare la spesa al supermercato, il più “giovane” dei due guida e accompagna l’altro.

Cosa ci dice questa bella storia? Certamente inclusione: queste due persone sono ancora parte della comunità locale, vivono di relazioni, e non è un caso che ciò consenta loro di avere ancora energia, invece che magari spegnersi, come accade per diversi anziani, senza obiettivi quotidiani. Prevenzione: è un modo per dimostrare che la comunità pensa alle categorie deboli in anticipo, è una prevenzione sociale che rende le persone partecipi ed attive, ed è anche una prevenzione nei confronti dello stato di salute, perché il loro benessere è alimentato da un contesto che offre ancora uno spazio alla loro vita, e spesso sappiamo quanto le condizioni di salute dipendano anche da questo. E certamente sussidiarietà: questo progetto viene realizzato da Fondazione Cariplo che lo ha promosso, e grazie all’attivazione di numerose realtà non profit che agiscono, appunto, nella logica della sussidiarietà, anche se spesso, ormai si ritrovano a fare supplenza agli enti pubblici. Questo nuovo modello di welfare dimostra però come la sussidiarietà possa dare anche nuova linfa al ruolo di attore fondamentale che non può assolutamente delegare su questo fronte.

Per il 2018 sono stati già previsti 184 milioni di euro per l’attività filantropica: tra le aree interessate, oltre a quella dei servizi alla persona, anche ambiente, arte e cultura e ricerca scientifica. Dunque non solo sostegno a famiglie e comunità in difficoltà, ma anche tutela del patrimonio culturale, sperimentazione e innovazione tecnologica e scientifica…

Si apre un anno importante, di fatto l’ultimo anno completo di gestione da parte degli attuali organi in carica. Il 2018 è un anno con numerose attività e impegni. Lo abbiamo aperto con un modo nuovo, recuperando in modo significativo la nostra tradizione, anche con la presentazione di un nuovo logo, ricordando, dopo un percorso e analisi durati più di un anno, che quello che facciamo oggi è la trasposizione professionale e moderna di valori che affondando le proprie radici oltre 200 anni fa, quando già esisteva la Commissione Centrale di Beneficenza di Cariplo, la banca, da cui noi abbiamo ereditato la tradizione filantropica nel 1991.

Non possiamo e non dobbiamo dimenticarci chi siamo e da dove veniamo. Io guardo, ancora e sempre, avanti. Guardo a quelle migliaia di bambini che non hanno un’alimentazione sufficiente, sono addirittura milioni in tutta Italia quelli che vivono in un contesto di povertà educativa e culturale. Penso ai giovani senza lavoro, a quelli che si sono persi, sfiduciati, non studiano e non cercano più un’occupazione. Penso a coloro che invece hanno una grande voglia di mettere la loro intraprendenza e competenza al servizio dell’innovazione e della ricerca scientifica. Penso alle famiglie che cercano casa, alle periferie e al loro grande potenziale di rigenerazione, delle relazioni oltre che delle infrastrutture. La cultura: questo è l’anno del Patrimonio Culturale Europeo, quanto abbiamo fatto per valorizzare il nostro patrimonio e quanto ancora abbiamo da fare; non sarà mai finita, perché il nostro patrimonio non è fatto solo di monumenti e opere d’arte, ma di individui, donne, uomini, ragazzi, bambini e anziani che come patrimonio più importante hanno quello di sentirsi parte e partecipi di un processo di cittadinanza che va oltre i confini nazionali ormai.

Educazione e cittadinanza: due parole chiave anche per la salvaguardia del nostro patrimonio ambientale. Penso alle persone che vivono ai margini, e che solo le comunità vive possono tenere ancorate alla vita. Penso agli anziani. Saranno, anzi dico saremo, sempre di più; ma anche in questo caso non dobbiamo avere paura: le comunità e la ricerca scientifica, oltre che la programmazione nelle politiche sociali, sono in grado di far trascorrere la vecchiaia in modo dignitoso, perfino utile. Gli anziani, ma più in generale tutte le persone, vanno viste come risorse. Se le vediamo come un problema non possiamo guardare avanti, ma nemmeno indietro. Guardare costantemente al quotidiano, vivendo alla giornata, e non avere prospettive, in ogni campo, è la cosa peggiore. Situazioni molto simili a quel contesto di oltre 200 anni fa, in cui muoveva i primi passi la Commissione centrale di beneficenza, che raccoglieva fondi per aiutare la popolazione bisognosa. Ricordare la storia, da un lato significa che i problemi sono ricorrenti, dall’altro che c’è sempre stato chi se n’è fatto carico, c’è ancora e sempre ci sarà.

Venendo invece ai servizi alla persona, oltre al contrasto alla povertà educativa che vede ormai da diverso tempo le Fondazioni di origine Bancaria impegnate in prima linea anche a mezzo di un Fondo dedicato, quali sono i prossimi progetti per il 2018? E, più in generale, secondo quali principi sono individuate le possibili aree di intervento?

All’inizio dell’anno, all’interno del programma nazionale realizzato dalle Fondazioni di origine Bancaria, sono stati approvati 86 progetti relativi al Bando Adolescenza (11-17 anni) per un ammontare complessivo di 73,4 milioni di euro. Per sostenere le iniziative, sono state coinvolte 2.748 organizzazioni, tra enti del Terzo settore, scuole ed enti locali. Tra questi progetti, ve ne sono molti che verranno realizzati in Lombardia.

L’obiettivo del Bando Adolescenza, rivolto alle organizzazioni del Terzo settore e al mondo della scuola, è promuovere e stimolare la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di dispersione e abbandono scolastici di adolescenti nella fascia di età compresa tra 11 e 17 anni. Spesso ciò è dovuto alle condizioni di povertà materiale o culturale delle famiglie. Di grande rilievo sarà il contributo offerto dalle “comunità educanti” dei territori, ovvero coloro che a diverso titolo si rivolgono agli adolescenti (scuole, famiglie, associazioni e organizzazioni non profit, fondazioni, enti territoriali, gli stessi ragazzi). I progetti dovranno, da un lato, promuovere percorsi formativi individualizzati, complementari a quelli tradizionali, dall’altro coinvolgere anche i gruppi classe di riferimento e prevedere azioni congiunte “dentro e fuori la scuola”, che affianchino all’attività ordinaria delle istituzioni scolastiche l’azione della comunità educante, favorendo il riavvicinamento dei giovani che hanno abbandonato gli studi o che presentano forti rischi di dispersione. Ovvero, mettere in sinergia attività scolastiche, extra-scolastiche e tempo libero per sviluppare e rafforzare competenze sociali, relazionali, sportive, artistico-ricreative, scientifico-tecnologiche, economiche e di cittadinanza attiva, a contrastare lo sviluppo di dipendenze e del fenomeno del bullismo.

I nostri ragazzi sono al centro di una rivoluzione epocale dovuta al cambio di paradigmi nella nostra società. Siamo di fronte a un cambiamento che investe la nostra civiltà e i bambini, i ragazzi rischiano di farne le spese, con famiglie che scivolano nella povertà e non sono in grado di guidarli in un percorso formativo che è fondamentale per la loro crescita. Senza formazione ed educazione adeguata questi ragazzi rischiano di diventare adulti ai margini. Non dobbiamo permetterlo.


Gli ambiti d’azione della Fondazione sono dunque molteplici, anche in risposta ai trend di natura economica, sociale e culturale (dall’invecchiamento della popolazione ai fenomeni migratori, passando per disoccupazione e povertà educativa) che interessano al momento il Paese. Se doveste però individuare, tra tutte, una questione di particolare urgenza da affrontare quale sarebbe? E in che modo?

L’ho detto e lo ribadisco: la povertà e l’occupazione. Spesso i due elementi sono strettamente collegati. A farne le spese sono tante persone, moltissimi giovani, sul fronte della disoccupazioni, e milioni di bambini in Italia, che vivono in condizioni di povertà assoluta: a Milano 1 bambino su 10 non mangia abbastanza. Se da un lato non possiamo che essere soddisfatti dell’attività che stiamo svolgendo, dall’altro sappiamo quanto possiamo migliorare e dobbiamo rilevare che i bisogni delle nostre comunità sono sempre in crescita: povertà, disoccupazione, welfare sono tre fronti che vediamo come priorità assolute.

Fondazione Cariplo, così come le altre Fondazioni, provano a dare risposte a questi problemi con attività sviluppate in tutte le aree di intervento: si può creare occupazione con la cultura, con l’innovazione e la ricerca, con lo sviluppo economico delle aree interne o coi green jobs. Ma c’è una povertà dilagante che dobbiamo contrastare; una povertà economica, educativa e culturale. E ci sono famiglie in difficoltà nell’assistenza dei bambini, degli anziani, delle persone con disabilità e nel sostenere i giovani nelle loro realizzazione. Ci sono segnali che ci incoraggiano, perché vediamo che le comunità sono una risorsa preziosa e si stanno attivando, anche se questo non può ovviamente essere un alibi per lo Stato nel recedere dal proprio ruolo imprescindibile.