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Disoccupati, neet, precari, choosy, bamboccioni, cervelli in fuga: sono queste le definizioni, certamente non troppo positive, che ricorrono più frequentemente quando si parla dei giovani italiani al tempo della crisi. Eppure, come documenta un recente rapporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, esistono giovani non rassegnati, capaci di guardare positivamente e tenacemente verso il futuro, che hanno scelto di essere protagonisti nonostante le difficoltà e che hanno trovato realtà volenterose di sostenerli in questo delicato frangente storico.


La ricerca “Facciamo cose” di Fondazione CRC e Antilia

Nella collana Quaderni della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo sono presentati periodicamente i risultati delle principali ricerche socio-economiche promosse dall’omonimo Centro Studi, che cerca di analizzare e valutare le attività della Fondazione CRC in favore del proprio territorio operativo.

Facciamo cose. Progetti di giovani per la provincia di Cuneo” è la ventesima pubblicazione della collana e prende in esame uno dei temi, quello dei giovani, che la Fondazione ha individuato come prioritario in quanto “fattore decisivo sia per contribuire alla competitività e allo sviluppo sostenibile ed economico del territorio, sia per promuovere la coesione sociale e la crescita culturale”.

Il quaderno, realizzato in collaborazione con la Società cooperativa di ricerca socio-economica Antilia, promuove una visione innovativa delle politiche attuabili per favorire il passaggio da una concezione di interventi per i giovani ad una che valorizzi le iniziative dei giovani all’interno degli ambiti locali. Il documento è stato curato da Enrica Capussotti, Salvatore Cominu e Anna Tavella, supportati da Dario Albino, Sandro Baraggioli per quanto riguarda la ricerca sul campo.


I contenuti della ricerca

Nella prima parte, a carattere introduttivo, il rapporto presenta una genealogia della categoria “gioventù” e un breve excursus sui principali significati a essa storicamente associati. Attraverso una ricognizione sulla letteratura socio-economica e una selezione ragionata di dati relativi alle dinamiche demografiche e occupazionali a livello nazionale, è quindi proposta un’analisi della questione giovanile nel nostro Paese nel corso degli ultimi anni.

La seconda parte del documento è dedicata al territorio cuneese. In questa sezione sono fornite alcune coordinate socio-economiche inerenti le principali tendenze recenti della struttura economica e occupazionale della provincia di Cuneo, oltre ad un’analisi statistica dei dati relativi ai giovani del territorio focalizzata su trend demografici, scolarità, occupazione, imprenditoria giovanile.

La terza parte restituisce i risultati del lavoro esplorativo sul territorio e presenta le principali evidenze raccolte, in particolare la descrizione delle forme di protagonismo giovanile realizzate all’interno del territorio cuneese. L’ultima parte del rapporto offre quindi una panoramica delle tendenze che caratterizzano, a differenti livelli istituzionali (europeo, nazionale, regionale e locale) le politiche giovanili attive nel nostro Paese, oltre ad alcuni consigli per rendere tali interventi maggiormente incisivi.


L’Italia non è un Paese per giovani

In 20 anni, nel periodo compreso tra il 1991 e il 2011, il valore assoluto della popolazione compresa tra i 15 e i 34 anni di età è diminuito di oltre 4 milioni e mezzo di unità. Tre le ragioni di questo calo: il crollo della natalità, il passaggio dalla fascia giovanile a quella adulta della cosiddetta generazione baby boom, l’innalzamento costante della speranza di vita.

I giovani sono sempre di meno, ma stanno incontrando difficoltà che le generazioni precedenti non hanno dovuto affrontare: un livello di disoccupazione giovanile sempre più alto (41.2% nella fascia 15-24; 17.5% nella fascia 25-34), un alto tasso di precarietà (circa il 40% degli atipici in Italia hanno meno di 30 anni) cui si accompagna un basso livello di remunerazione (oltre la metà dei lavoratori under25 guadagna meno di 5.000 euro l’anno).

In questa situazione emerge la crisi dell’università e più in generale del rapporto tra sistema educativo e mondo del lavoro. Chi investe nella formazione accademica difficilmente vede ricompensati i propri sforzi: circa il 23% dei laureati triennali e 21% di quelli magistrali sono attualmente disoccupati, e anche chi è occupato riceve una retribuzione di poco superiore a quella di chi non possiede un titolo di studio. Non c’è quindi da stupirsi se negli ultimi anni le immatricolazioni risultano in costante calo (-4% tra 2008 e 2011).


Oltre il danno la beffa: quei luoghi comuni da sfatare

Oltre a trovarsi in situazioni fortemente penalizzanti come quelle sopra descritte, i giovani italiani negli ultimi anni sono stati criticati a più riprese per il loro presunto scarso impegno nell’affrontare i problemi. Bamboccioni, sfigati, choosy: sono diversi gli attori istituzionali che hanno indicato a più riprese le pecche che secondo loro contraddistinguono i giovani italiani. Ma quanta verità c’è in queste definizioni non certo lusinghiere? La ricerca mostra come queste indicazioni abbiano, a volte, fondi di verità, ma siano in sostanza dei luoghi comuni che sarebbe meglio sfatare.

I giovani italiani, ad esempio, sul fronte lavorativo sono meno choosy, schizzinosi, di quanto si possa pensare: circa il 71% dichiara che sarebbe disposto ad accettare qualsiasi occupazione purché sia remunerata. Per quanto riguarda l’abitazione, il 42% della fascia 25-34 anni vive ancora con i genitori: possiamo considerarli tutti bamboccioni? Non proprio se si tiene conto delle grandi difficoltà, soprattutto economiche, che deve affrontare chi esce dalla famiglia di origine, praticamente costretto a barattare un maggior grado di autonomia personale con un consistente livello di precarietà. Mentre infatti alcune fasce di età negli ultimi vent’anni hanno visto aumentare il proprio livello di reddito (+30% per il segmento 55-64 anni), gli under 35 non hanno goduto di alcun vantaggio in tal senso, ma anzi hanno visto diminuire il proprio reddito medio di circa il 3% rispetto al 1990. Un giovane che oggi decide di lasciare la casa paterna lo fa quindi con poche sicurezze o, quanto meno, con molti punti interrogativi in più rispetto alle generazioni che lo hanno preceduto.

Eppure, nonostante le difficoltà, non si registra quella “fuga dei cervelli” di cui si sente parlare quotidianamente. Certo sono molti i giovani che preferiscono cercare fortuna in altri Paesi e negli ultimi anni il numero di laureati che hanno imboccato questa strada è sicuramente aumentato (dal 9.7% al 16.6% sul totale degli espatriati), ma circa il 61% di coloro che si recano all’esterno hanno un titolo di studio inferiore al diploma. Tanti giovani con un alto grado di istruzione lasciano l’Italia per cercare fortuna oltre confine, ma non rappresentano certo la maggioranza di coloro i quali assumo ormai da alcuni anni questa scelta.

Quali indicazioni dalle esperienze cuneesi?

Spostandosi sul livello locale la ricerca ha individuato alcune interessanti dinamiche emergenti territorialmente, rivelatisi poi utili per indicare tendenze in atto anche a livello nazionale. Nell’ambito della ricerca è stata realizzata un’indagine sul campo volta a produrre un repertorio di esperienze e di pratiche promosse e partecipate da giovani, che sono state prese in considerazione per proporre la progettazione d’interventi sistematici in questo senso.

Poiché gli ambiti in cui i giovani risultano impegnati sono vari e numerosi – studio, lavoro, volontariato, impegno politico o civile, espressione artistica, cultura, entertainment – si è reso necessario diramare l’esplorazione prendendo in considerazione ciascuno di questi settori. L’indagine ha assunto così l’aspetto di una “esplorazione mineraria”, ovvero la ricerca dei filoni più promettenti e delle pratiche più rilevanti per consistenza, diffusione e struttura all’interno del territorio.

A queste esperienze è dedicato un intero capitolo del quaderno, il quinto, che mostra il “repertorio” del protagonismo giovanile nel territorio cuneese. La ricerca sul campo mostra come tra i giovani ci sia voglia di sviluppare “reti lunghe”, che permettano di essere maggiormente legati al mondo, ma come nel contempo sia da rilevare un nuovo interesse nei confronti del territorio, individuato come risorsa (ambientale, culturale e relazionale) da sfruttare in un’ottica smart. I giovani per queste ragioni chiedono non tanto risorse economiche, quanto piuttosto servizi, spazi, regolamentazione che permettano loro di sviluppare e legittimare la propria volontà di protagonismo.

In fase di conclusione della ricerca vengono quindi avanzate alcune proposte concrete per sviluppare politiche favorevoli al protagonismo autonomo dei giovani, sia a livello locale che nazionale, con uno sguardo attento a quanto già presente in questo senso all’interno della normativa vigente, sia italiana che comunitaria. Si propone ad esempio di favorire la nascita di spazi collettivi e sedi condivise sul modello del coworking, il sostegno a politiche territoriali che sostengano l’educazione, una maggiore connessione sia tra gli stessi giovani (in un’ottica di networking orizzontale) che con attori operanti in diversi comparti occupazionali all’interno del territorio. Si chiede inoltre l’avvio di misure che favoriscano gli scambi internazionali collettivi per la ricerca di buone pratiche – come study visit di gruppo o workshop sul territorio con ospiti internazionali – e di programmi che sostengano la mobilità di quei giovani che si sono dimostrati capaci di avviare progetti o attività particolarmente innovative.

 

Riferimenti

Il sito della Fondazione CRC

La collana Quaderni della Fondazione CRC

Quaderno n° 20 – Facciamo cose

Il sito della società cooperativa di ricerca socio-economica Antilia

 

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