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Promuovere l’inclusione nel mondo del lavoro di donne in condizione di fragilità. È l’intento di “WaW – Women at Work“, un progetto sostenuto dai bandi Interreg Italia- Svizzera che vede l’attività congiunta di 8 partner (6 italiani, 2 svizzeri). Ha preso il via nel dicembre 2020 ed è durato 24 mesi, con l’obiettivo di intercettare complessivamente almeno 300 donne e permettere a 80 di loro di sviluppare percorsi di inclusione lavorativa (ve ne avevamo già parlato qui).

A WaW ha preso parte anche Percorsi di secondo welfare, che si è occupato del monitoraggio delle azioni attuate da Filos Formazione, partner del progetto che opera nella città di Novara, per l’inserimento socio-lavorativo di donne in condizioni di svantaggio (come madri vittime di violenza ed ex ragazze borderline), segnalate dai servizi sociali della città.

Poiché la valutazione di processo di questa iniziativa è stata l’occasione per approfondire alcuni aspetti legati all’inclusione socio-lavorativa di seguito proponiamo alcuni spunti di riflessione tratti dall’analisi del progetto (su cui è disponibile anche un più ampio report di monitoraggio) nella speranza che possano essere utili anche alla luce delle politiche che su più ampia scala vengono realizzate coinvolgendo target d’utenza a bassa occupabilità.

Il progetto WaW in pillole

Il processo d’implementazione del progetto si è distinto principalmente nelle seguenti attività:

  1. la segnalazione delle possibili beneficiarie da parte dei servizi sociali del Comune di Novara;
  2. la presa in carico e l’accompagnamento personalizzato;
  3. la partecipazione delle beneficiarie ai laboratori (empowerment e orientamento al mercato del lavoro; competenze digitali; della prima educazione alla salute; e laboratori esperienziali di sartoria e cucina);
  4. l’attivazione di tirocini di inclusione sociale. Quest’ultima attività inizialmente non prevista dal progetto è stata resa possibile grazie alla sinergia con i servizi sociali del Comune di Novara. A sua volta questa azione si compone di due sotto-azioni: lo scouting di imprese, e il matching tra impresa e beneficiaria; l’avvio dei tirocini e il loro monitoraggio da parte dell’ente inviante1.

Con le beneficiarie ha operato un’equipe equipe multidisciplinare e al femminile, composto da una educatrice, una psicologa, due orientatrici, una coordinatrice, e una mediatrice interculturale. I formatori coinvolti nei laboratori sono stati in tutto otto.

Le donne beneficiarie del progetto hanno costituito un sottoinsieme delle donne segnalate dai servizi sociali. Si tratta di 13 donne, tutte disoccupate di lungo periodo, 7 al momento dell’ingresso nel progetto non lavoravano da più di 24 mesi, 8 di nazionalità straniera, 9 con importanti carichi di cura familiari, varia l’età, da 21 anni a 56 anni, con una media di 45. Nel complesso si tratta di donne caratterizzate da un basso grado di occupabilità (ovvero da bassa capacità di inserirsi nel mercato del lavoro), e deboli reti di supporto.

Nell’ambito di Women at Work si sono riusciti ad attivare 10 tirocini di inclusione sociale in diversi settori (cooperative, ristoranti, piccoli esercizi commerciali e grande distribuzione organizzata), solo due dei quali si sono interrotti prematuramente per scelta delle stesse tirocinanti.

Una valutazione partecipata

Quando ci si propone l’obiettivo di aumentare il grado di autonomia di soggetti in condizioni di fragilità ci si scontra con un problema sul versante della valutazione. La difficoltà di avere una misura oggettiva dei raggiungimenti in termini di autonomia solitamente viene aggirata valutando tali progetti solo in base all’indicatore oggettivo per eccellenza: lo stato occupazionale. Se le persone entrate nel progetto come disoccupate ne escono con un posto di lavoro si pensa che il progetto abbia funzionato. Valutazioni più appropriate – dette di tipo controfattuale – confrontano invece tale situazione con quella di soggetti con caratteristiche simili che non hanno partecipato allo stesso progetto. Tuttavia, la scelta di concentrarsi sul mero risultato occupazionale porta solitamente a concludere che ogni progetto di attivazione rivolto a target d’utenza particolarmente fragile è di fatto inefficace: perché solitamente scarsi sono i risultati occupazionali a breve termine.

In questo caso, invece, abbiamo scelto di indagare quali altri meccanismi sono all’opera in progetti di attivazione di donne fragili, come le azioni previste appunto nel progetto WaW, ricorrendo all’osservazione qualitativa dei percorsi delle beneficiarie. Ci è sembrato infatti importante indagare quali altri cambiamenti può generare un progetto volto all’attivazione di donne in condizioni di vulnerabilità, anche se questi appaiono difficilmente misurabili o prevedibili ex ante.

Per questa ragione abbiamo chiesto alle operatrici di compilare un diario qualitativo sui percorsi delle beneficiarie e abbiamo realizzato interviste semi-strutturate coinvolgendo le operatrici e le beneficiarie di Women at Work. In altre parole, nel monitoraggio è stato adottato un approccio partecipato che ha tenuto conto del punto di vista di operatrici e beneficiarie sugli esiti e le azioni del progetto. Per riprendere le parole di Nicoletta Stame, grande esperta di valutazione: «Non tutto si può misurare, ma non significa che non si possa capire meglio, descrivere meglio, attraverso il confronto di tutti i punti di vista, per arrivare a un miglioramento!»     .

Punti di forza del progetto

L’analisi ha permesso di evidenziare alcuni punti di forza relativi alle varie fasi di Women at Work:

  • La fase di accesso. Questa fase ha visto una forte sinergia tra Filos Formazione e i servizi sociali. Sebbene solo una piccola percentuale delle persone segnalate abbia partecipato al progetto, grazie a tale sinergia è stato raggiunto l’obiettivo di intercettare alcune donne appartenenti a fasce fortemente vulnerabili della popolazione e offrire loro un’opportunità.
  • La presa in carico e l’accompagnamento personalizzato. Il continuo supporto individuale, garantito da una case manager e dall’equipe multidisciplinare, è stato fondamentale nel progetto, in tutte le fasi (dalla fase di accesso al tirocinio, passando per la frequenza dei laboratori).
  • I laboratori formativi. I laboratori hanno fornito competenze tecniche e creato spazi di gruppo utili per “agganciare” le beneficiarie al progetto: la dimensione di gruppo può aiutare a non sentirsi sole e a ridefinire il senso di sé (sul modello dei job club).
  • Lo scouting delle imprese. Filos Formazione ha coinvolto imprese con cui lavora da tempo, ma anche imprese che non avevano mai collaborato con l’agenzia formativa. La fase preparatoria e di conoscenza delle imprese e la capacità di fare leva sulla responsabilità sociale delle imprenditrici e imprenditori coinvolti ha costituito un punto di forza.
  • L’attivazione dei tirocini e la loro prosecuzione. La tenuta dei tirocini è stata garantita da un continuo lavoro di accompagnamento personalizzato e di mediazione tra le esigenze dell’impresa e quelle della tirocinante. L’accompagnamento dei tirocini ha fatto la differenza.

Spunti di riflessione su Women at Work

A queste considerazioni sui punti di forza del progetto, si possono accostare una serie di spunti di riflessione che ci sembrano  rilevanti per discutere più in generale di politiche volte all’inclusione socio-lavorativa:

  • Di fronte a situazioni di grande fragilità, laboratori formativi ed esperienziali possono creare un luogo di sollievo e di “aria libera” per le persone coinvolte, al di là dei benefici diretti a breve termine e lungo termine.
  • Esiste una rete di soggetti a livello locale (Comune, associazioni come la LILT, agenzie formative e servizi al lavoro, imprese) che – a fronte di risorse adeguate – sono pronte a collaborare per sostenere percorsi di inserimento socio-lavorativo.
  • Coinvolgere con continuità donne con carichi di cura e forti fragilità è assai difficile. Organizzare e disporre servizi di conciliazione, potrebbe sostenere maggiormente la frequenza delle donne in progetti di questo tipo (a partire dalla frequenza dei laboratori). Questi servizi andrebbero però accompagnati da un lavoro culturale sulle famiglie e le imprese del territorio affinché ne sia riconosciuta collettivamente la rilevanza.
  • Forme di ascolto e supporto psicologico sono fondamentali per favorire la tenuta dei percorsi, la frequenza dei laboratori, la prosecuzione dei tirocini, e vanno ulteriormente potenziate.
  • Per aumentare la partecipazione delle imprese a questo tipo di progetti, possono servire premi economici alle imprese che sono disposte ad assumere, ma serve soprattutto diffondere una cultura della responsabilità sociale d’impresa, anche tra le medie e piccole imprese che caratterizzano, ancora di più delle grandi imprese, il tessuto economico e sociale del paese.
  • Serve diffondere la consapevolezza sul senso e gli obiettivi dei tirocini di inclusione sociale, che debbono servire a favorire l’integrazione sociale, e non esclusivamente lavorativa, di persone che hanno vissuto e vivono condizioni di difficoltà e che fanno e devono far parte a tutti gli effetti della comunità. Per la tenuta di tali tirocini, un monitoraggio e accompagnamento robusto da parte dell’ente inviante può fare la differenza.

 

 

Note

  1. I costi di quest’azione, compresa l’indennità per le tirocinanti, sono stati sostenuti dal Comune di Novara
Foto di copertina: WaW - Women at Work