La crisi economica degli ultimi anni, unita all’evoluzione demografica e ai cambiamenti nel mercato del lavoro hanno riproposto con forza l’esigenza di rinnovamento e modernizzazione dei sistemi di welfare, volti a definire nuovi modelli fondati su un approccio multisettoriale che supporti l’investimento sociale e rappresenti non un limite, ma un motore per lo sviluppo, così come del resto testimoniato dal progetto della Commissione Europea di definizione del “Pilastro Europeo dei Diritti Sociali”, annunciato lo scorso settembre dal Presidente Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione. In questo ambito numerose sono già le iniziative poste in essere dagli Stati Membri relative all’organizzazione di prestazioni di secondo welfare1, fondate sui seguenti principi:

  • individuazione di nuovi modelli e prestazioni in grado di rispondere in modo efficace ai nuovi bisogni sociali;
  • ampliamento del perimetro delle tutele sociali;
  • sinergia pubblico-privato in una logica di integrazione;
  • valorizzazione della dimensione collettiva con particolare riferimento al ruolo delle parti sociali;
  • responsabilizzazione dei soggetti coinvolti, anche tramite il cofinanziamento delle prestazioni;
  • adeguato supporto (ad esempio sotto il profilo fiscale) all’investimento ad impatto sociale.

Le previsioni della Legge di Stabilità 2016 in tema di welfare aziendale e produttività

In tale contesto un ruolo rilevante, ancorché non esclusivo, rivestono le forme di welfare aziendale, cornice naturale e privilegiata per l’attivazione di iniziative di copertura sociale condivise e tailor made. È in questa logica che devono essere lette le disposizioni in tema di premio di risultato contenute nell’ultima Legge di Stabilità (Legge 208/2015, art. 1, commi da 182-189), con le quali il legislatore ha esplicitamente favorito l’utilizzo delle somme corrisposte in esecuzione di contratti collettivi territoriali o aziendali legate a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, purché misurabili e verificabili. Il favor del legislatore si è tradotto essenzialmente in due ordini di misure, riservate, va ricordato, ai lavoratori del settore privato con reddito annuo inferiore ai 50.000 euro:

  • imposizione agevolata: non imposizione del premio di produttività fino al limite annuo di 2.000 euro, elevabile a 2.500 in caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro da attuarsi secondo le indicazioni fornite con il decreto interministeriale del 25 marzo 2015;
  • ampliamento del campo di applicazione del welfare aziendale nell’ottica di conciliazione vita personale-lavoro, con l’inclusione di più tipologie di servizi, in particolare per l’infanzia e la non autosufficienza e con focus sull’utilizzo dello strumento del voucher.

Scegliere di convertire il premio di risultato in prestazioni di welfare rappresenta quindi un indubbio vantaggio economico per l’azienda, che “risparmia” le contribuzioni previdenziali. Per contro, per il lavoratore il calcolo della convenienza appare leggermente più complesso. Se da un lato, infatti, esiste senza dubbio un guadagno immediato, rappresentato, a parità di premio, dalla maggiore entità della somma disponibile, non intaccata da alcun tipo di imposizione, in prospettiva la mancata contribuzione INPS avrà senza dubbio un impatto negativo sul reddito pensionistico futuro.


Lo studio di Percorsi di secondo welfare e dello Studio Attuariale Orrù & Associati

Percorsi di secondo welfare e lo Studio Attuariale Orrù & Associati hanno condotto uno studio per approfondire questa questione. Tale ricerca, da un lato, vuole fornire un’indicazione concreta circa le conseguenze, in termini di riduzione del trattamento pensionistico futuro, della mancata contribuzione relativa all’utilizzo del premio di produttività ai fini welfare e, dall’altro, intende formulare una proposta di possibile “compensazione” legata all’utilizzo, totale o parziale, del premio stesso per la costruzione di una copertura di non autosufficienza valida sia durante il periodo di attività che per tutto il periodo di pensionamento, tipologia che rappresenta allo stato una delle maggiori criticità delle opzioni attualmente esistenti, in ragione dei costi elevati. Di seguito presentiamo alcuni dei principali risultati emersi, che da giugno saranno disponibili nel Quaderno di Assoprevidenza e Itinerari Previdenziali “Il welfare come motore dell’economia: domiciliarità e servizi alla persona”, che raccoglie i contributi dell’omonimo workshop svoltosi nel corso della Giornata Nazionale della Previdenza 2016.

Il modello valutativo sviluppato da Percorsi di secondo welfare e dallo Studio Orrù & Associati si fonda su due scelte principali:

  • la definizione di cinque specifici profili di riferimento, in relazione a diverse caratteristiche di età e durata dell’attività lavorativa, ferma restando il pensionamento a 68 anni e un reddito iniziale di 25.000 euro che comunque non supera mai, per l’intero periodo di attività, il limite di 50.000 euro;
  • l’ipotesi di adesione collettiva alla copertura di non autosufficienza; la libertà di adesione pone, infatti, rilevanti problemi di selezione del rischio da parte degli interessati che si traducono evidentemente in costi significativamente più elevati.

Per ognuno dei profili considerati sono stati quindi calcolati:

  • la riduzione annua della pensione di base conseguente al mancato versamento del contributo previdenziale (33%) relativo alla quota annua del premio di produttività destinata alla copertura di non autosufficienza, per l’intero periodo di attività;
  • il costo del finanziamento della copertura di non autosufficienza valida per l’intero arco di vita del lavoratore, da realizzarsi tramite versamento di una contribuzione in cifra fissa da versare esclusivamente durante il periodo di attività, ipotizzando un tasso annuo di capitalizzazione dei contributi versati pari all’1% reale. A tal fine si è considerata una prestazione pari a 900 euro mensili (cifra che equivale a circa i due terzi del costo di una badante a tempo pieno), da erogarsi dal momento del verificarsi dello stato di non autosufficienza per il resto della vita dell’individuo. Al riguardo si sottolinea che, ancorché in via di principio l’analisi si riferisca all’erogazione di una rendita, nulla osta che le medesime somme siano corrisposte sotto forme di rimborso, anche tramite l’utilizzo dello strumento del voucher.

Le valutazioni condotte, i cui risultati sono esposti nella tabella che segue, hanno confermato in primo luogo la compatibilità del livello agevolato del premio di produttività con i costi relativi all’attivazione di una copertura di non autosufficienza, in maniera tanto più marcata quanto più lungo è il periodo di contribuzione e minore è l’età di inizio della stessa. Anche sotto il profilo dei costi/benefici la destinazione del premio di produttività al finanziamento della copertura di non autosufficienza si mostra una scelta sicuramente da considerare, poiché a fronte di perdite della pensione di base sicuramente contenute (inferiori a 1.000 euro l’anno) è possibile ottenere, in caso di non autosufficienza, una rendita di importo 10 volte superiore.


Tabella 1. Trade-off pensione di base-copertura non autosufficienza
* Uscita per pensionamento a 68 anni, reddito annuo iniziale: € 25.000.
** Conseguente al mancato versamento dei contributi sulle somme destinate al finanziamento della prestazione di non autosufficienza. Tasso di rivalutazione dei contributi (variazione PIL): 1,5%.
*** Ancorché le valutazioni siano state condotte con riferimento ad un contributo in cifra fissa, si è ritenuto comunque opportuno dare un’indicazione circa il “peso” che tale contributo riveste nell’ambito della struttura reddituale ipotizzata, anche al fine di poter disporre comunque di informazioni circa le potenzialità di “miglioramento” della copertura in caso di redditi superiori.

 

1 A riguardo si vedano i risultati della ricerca Providing Welfare through Social Dialogue (ProWelfare), promossa dalla Commissione Europea, che ha mappato l’offerta di Welfare Occupazionale Volontario (WOV) in otto Paesi dell’Unione.