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Oltre a essere un’opportunità sotto il profilo organizzativo il welfare aziendale può innescare percorsi di innovazione sociale capaci di generare effetti positivi sulle comunità e sui territori. Tali percorsi iniziano a essere indicati come welfare aziendale “a filiera corta”. Un concetto che è approfondito da Valentino Santoni nella nostra ultima inchiesta per Buone Notizie, dedicata agli effetti della pandemia di Covid-19 sul welfare aziendale italiano. Di seguito trovate il commento di Santoni, mentre qui è disponibile l’articolo di contesto curato da Paolo Riva.

Il welfare aziendale è un fenomeno sempre più diffuso in Italia. Un numero crescente di organizzazioni, grazie ai benefici fiscali previsti dello Stato ma anche per effetto di una cultura generalmente più attenta al benessere dei lavoratori, sceglie infatti di sostenere i propri dipendenti e collaboratori attraverso misure e benefit di natura sociale.

Oltre a essere un’opportunità sotto il profilo organizzativo, giuslavoristico e manageriale, tali strumenti possono innescare dei percorsi di innovazione sociale generando effetti positivi sulle comunità e sui territori. È il caso del cosiddetto welfare aziendale “a filiera corta”. Un’espressione con cui ci si riferisce a una forma di welfare aziendale fortemente aperta al territorio, incline ad attivare filiere di produzione di valore capaci di mettere a sistema le risorse locali, a partire da quelle del Terzo Settore, e innescare circoli virtuosi di sviluppo sociale ed economico in una prospettiva inclusiva e sostenibile, coerente con quella dell’Agenda 2030 promossa dall’ONU.

Si tratta, in altre parole, di un welfare aziendale maggiormente orientato al contesto in cui si trova l’impresa e ad attivare filiere locali capaci di includere diversi attori presenti a livello territoriale. Soprattutto in tessuti produttivi frammentati e dispersi, tale prospettiva sembra agevolata dall’adozione di strumenti già esistenti: dalla contrattazione collettiva interaziendale al contratto di rete, dalla bilateralità alla contrattazione territoriale, dalla costruzione di reti e partnership multiattore alla co-progettazione e co-gestione di servizi territoriali. Sono misure che consentono alle imprese di aggregare competenze e risorse economiche in una nuova ottica, volta a sostenere la progettazione e l’implementazione di forme innovative di secondo welfare.

In questa direzione è cruciale adottare una governance “ampia”, a cui possono prendere parte i principali stakeholder di un territorio. L’attore pubblico locale può fungere da cabina di regia; la filiera dei servizi del territorio, con a capo il Terzo Settore, può mettere a disposizione il proprio know-how e le proprie professionalità; il tessuto imprenditoriale e le parti sociali possono collaborare per garantire nuove formule di partecipazione e mediare tra gli interessi in gioco. In tal modo possono prendere vita interventi in grado di coinvolgere una platea sempre maggiore di beneficiari, aprendosi alla collettività. È questo, ad esempio, il caso degli asili nido aziendali o inter-aziendali che, pur essendo finanziati dalle imprese, garantiscono spesso nuovi posti anche ai figli di altri cittadini.

Per un welfare aziendale “a filiera corta” è quindi essenziale che i protagonisti del territorio superino l’autoreferenzialità per “riconoscersi” reciprocamente. Solo così possono nascere e svilupparsi logiche e soluzioni integrative finalizzate a rispondere ai nuovi bisogni sociali, superando anche la dicotomia pubblico-privato. Per farlo è tuttavia auspicabile il supporto di “agenti del cambiamento” – Fondazioni, associazioni datoriali e sindacali, mondo cooperativo – capaci di promuovere percorsi per accompagnare gli attori locali nella realizzazione di queste progettualità. È qui la base per creare un nuovo sistema integrato di interventi sociali.

Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 22 giugno 2021 nell’ambito della collaborazione tra Secondo Welfare e Buone Notizie; è qui riprodotto previo consenso dell’autore.