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Con l’esame delle Commissioni riunite Trasporti e Attività Produttive riprende l’iter della proposta di legge sulla "Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione" o, più semplicemente, sulla Sharing Economy. Una materia estremamente controversa su cui legiferare, poiché caratterizzata dalla difficile ricerca di un punto di equilibrio tra una regolamentazione che garantisca leale concorrenza e tutela dei consumatori e la necessità di lasciare sufficiente libertà a un settore in costante mutamento e estremamente diversificato al suo interno.

 

Perché serve una legge?

Secondo i dati riportati nella proposta, nel 2015 le piattaforme collaborative nel nostro Paese erano 186 (+34,7% rispetto al 2014). Tra i settori più interessati dal fenomeno ci sono il crowdfunding (69 piattaforme), i trasporti (22), i servizi di scambio di beni di consumo (18) e il turismo (17). Un fenomeno che, al di là delle strutture collaborative, è ormai molto diffuso. Il 25% degli italiani che navigano su internet, ad esempio, già fanno uso di servizi collaborativi.

Ma per cogliere il meglio di questa nuova economia, occorrono strumenti di governo in grado di integrarla con l’economia tradizionale. Veronica Tentori, prima firmataria della proposta di legge sulla Sharing Economy, spiega che “la politica non può e non deve impedire i cambiamenti: deve comprenderne opportunità e problemi, intervenendo se necessario a livello legislativo a tutela del consumatore, della leale concorrenza e nel rispetto del principio di equità fiscale. Proprio per questo” continua Tentori, “la nostra legge vuole creare una cornice di regole chiare, trasparenti e flessibili con l’intento di razionalizzare le risorse, contrastare gli sprechi e favorire la partecipazione attiva dei cittadini, senza imbrigliare la creatività che sta dietro all’innovazione”.

La legge prevede inoltre modalità di registrazione univoche di chi offre servizi di sharing: “in questo modo”, spiega l’onorevole Antonio Palmieri, “vogliamo favorire chi mette a disposizione una stanza, ma teniamo fuori gli affittacamere che magari si servono di piattaforme tipo Airbnb o servizi sul genere di Uber”. L’intento, dunque, è quello di evitare falsi profili, offrire condizioni contrattuali chiare agli utenti, trasparenza nei criteri di classificazione reputazionale, coperture assicurative e trasparenza delle transazioni.

Secondo i proponenti, una compiuta regolamentazione del fenomeno consentirebbe inoltre l’emersione di un ampio segmento di economia informale da cui si potrebbero recuperare circa 450 milioni di euro di prodotto interno lordo di base imponibile, attualmente oggetto di elusione fiscale. Si parla di non meno di 150 milioni di euro di maggiore gettito per l’erario, tra imposte dirette e imposte indirette. Entro il 2025, inoltre, si stimano crescite di oltre venti volte la stima attuale, che porterebbe il gettito per l’erario a circa 3 miliardi di euro.

 

I punti principali della proposta

Al fine di tutelare consumatori e concorrenza, la legge prevede che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) regoli e vigili anche sull’attività delle piattaforme di sharing economy, presso la quale sarà istituito il “Registro elettronico nazionale delle piattaforme digitali dell’economia della condivisione”.

I gestori delle piattaforme digitali dovranno inoltre dotarsi di un documento di politica aziendale soggetto al parere vincolante e all’approvazione dell’AGCM. Ad esempio, se una piattaforma svolge la sua attività ma non è iscritta al registro, verrà diffidata e dovrà sospendere immediatamente il servizio. Il gestore che non si adeguerà nel termine indicato sarà soggetto a una sanzione amministrativa che potrà arrivare fino al 25% del suo fatturato. Sanzioni che vanno dall’1 al 10% del fatturato sono invece previste per chi non rispetta le disposizioni sul documento di politica aziendale.

Sarà invece l’Istat a svolgere il compito del monitoraggio e quindi a raccogliere e analizzare i dati relativi al numero di utenti, alle attività svolte e ai relativi importi, nonché alla tipologia di beni e servizi utilizzati, aggregati su base comunale.

Sul fronte della fiscalità, uno dei più controversi, l’articolo cinque del disegno di legge interviene con la finalità di “affermare i princìpi di trasparenza ed equità, con un’impostazione flessibile e diversificata”. Ai redditi fino a 10.000 euro prodotti mediante le piattaforme digitali si applicherà dunque un’imposta pari al 10%, mentre i redditi superiori a 10.000 euro saranno cumulati con i redditi da lavoro dipendente o da lavoro autonomo e a essi si applicherà l’aliquota corrispondente. In questo modo si farà una distinzione fra chi svolge una piccola attività non professionale a integrazione del proprio reddito da lavoro, e chi invece opera a livello professionale o imprenditoriale a tutti gli effetti.

Un altro aspetto importante è che i gestori opereranno, in relazione ai redditi generati mediante le piattaforme digitali, in qualità di sostituti d’imposta degli utenti operatori. A tale fine, i gestori aventi sede o residenza all’estero dovranno dotarsi di una stabile organizzazione in Italia. I gestori dovranno comunicare all’Agenzia delle entrate i dati relativi a eventuali transazioni economiche che avvengono tramite le piattaforme digitali, anche qualora gli utenti operatori non percepiscano alcun reddito dall’attività svolta mediante le piattaforme medesime.

A ulteriore tutela del consumatore, in materia di riservatezza, la legge prevede che il gestore che intenda cedere a terzi dati utente del cui trattamento è titolare, deve comunicarlo ai soggetti cui tali dati utente si riferiscono, consentendogli l’eliminazione dei dati che lo riguardano.

Infine, la legge disciplina l’adozione di misure annuali per la diffusione dell’economia della condivisione, al fine di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo. Il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentite l’AGCM e l’Associazione nazionale dei comuni italiani, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, emanerà le linee guida destinate agli enti locali per valorizzare e diffondere le buone pratiche nell’ambito dell’economia della condivisione al fine di abilitare processi sperimentali di condivisione di beni e servizi nella pubblica amministrazione.

La consultazione pubblica

Secondo molti le questioni controverse sull’attuale impostazione della legge non sono poche. Tra i nodi irrisolti c’è senza dubbio il tema delle coperture assicurative (le compagnie non offrono ancora polizze adatte a questo tipo di economia) e la questione previdenziale (come si considera un utente che offre prestazioni rientranti nella sharing economy?). Inoltre, la legge così com’è impostata non farebbe altro che imbrigliare e togliere spazio a un settore che, pur in crescita, vedrebbe ricadere su di sé i problemi che già affliggono “l’economia tradizionale”.

Anche per dar spazio a queste posizioni, e vista l’importanza della materia, l’intergruppo parlamentare sull’Innovazione ha deciso di aprire una consultazione pubblica, nella convinzione che possa rappresentare un passo importante di cambiamento anche culturale della società italiana. Fino al 31 maggio 2016 sarà quindi possibile proporre commenti e modifiche attraverso la piattaforma Making Speeches Talk di Open Evidence.

Ricordiamo che la Sharing economy sarà al centro del prossimo Ferrara Sharing Festival, appuntamento dedicato all’economia della condivisione in programma nella città emiliana dal 20 al 22 maggio prossimi, durante il quale certamente ci sarà spazio anche per discutere del DDL.