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6 febbraio 2014, è la data della prima giornata del “lavoro agile” del Comune di Milano. Sul nostro sito, vi abbiamo già raccontato di cosa si tratta. Ma cosa è successo?

La sede milanese di Telecom Italia ha ospitato un laboratorio – organizzato dall’associazione Valore D con il Comune di Milano e la consulenza di Variazioni Srl – per avvicinare le aziende alle soluzioni di smart e remote working attraverso il racconto di best practice e la restituzione dei risultati del lungo lavoro svolto con le aziende all’interno del progetto Welfare Lab di Valore D. Nuovi strumenti di organizzazione del lavoro e di work-life balance che – per riprendere le parole dell’assessore milanese Chiara Bisconti – “hanno il fascino di rivolgersi ai bisogni reali”.


I protagonisti

Valore D, associazione di aziende che conta oggi 94 associate, si occupa dal 2009 di promuovere lo sviluppo del talento femminile all’interno delle imprese che ne fanno parte, contirbuendo anche al dibattito a livello nazionale con conferenze, corsi di formazione e “mentorship” per chi inizia il proprio percorso in azienda. Tra le attività di Valore D spicca il Welfare Lab, un’iniziativa che permette alle aziende di confrontarsi e condividere le pratiche di welfare aziendale attraverso tavoli tematici inter-aziendali. Nel 2013, le aree di lavoro scelte nell’ambito dei tavoli sono state remote working, parental leave management, welfare aziendale e rapporti con istituzioni e territorio. Nel 2014 l’associazione intensificherà l’attività di studio degli aspetti fiscali del welfare aziendale e si dedicherà all’analisi delle reti d’impresa come strumento per la condivisione di servizi di welfare.

Perché tutta questa attenzione ai temi del welfare e della conciliazione famiglia-lavoro? Si tratta davvero di pratiche diffuse? La più recente indagine svolta dal team di Valore D all’interno delle 94 associate ha evidenziato la presenza di almeno 26 iniziative aziendali per l’assistenza agli anziani a carico, 88 progetti di mobilità sostenibile e car sharing, 1500 posti asilo con contributo aziendale e 20 mila posti offerti nei campus estivi per i figli dei dipendenti.

Capofila dell’iniziativa del 6 febbraio è il Comune di Milano che vuole dimostrare – spiega Chiara Bisconti, assessore al Benessere, Qualità della vita, Sport e tempo libero – quanto la città sia ormai una smart city pronta ad accogliere nuove soluzioni di vita e di lavoro. Come il coworking, “uffici virtuali” dislocati in tutta la città. Milano – racconta la Bisconti – ha visto nascere più di 120 spazi di questo genere, 30 dei quali accreditati dal Comune per la richiesta da parte dei cittadini del voucher a sostegno parziale della spesa (come abbiamo raccontato qui). 

“E’ anche grazie alla sperimentazione di strumenti innovativi di organizzazione del lavoro che l’ente pubblico può distanziarsi dalla vecchia idea dell’amministrazione come burocrazia che decide e regola dal chiuso dei propri uffici – ha continuato l’assessore – per abbracciare un nuovo ruolo di gestione attiva e coordinamento del “bene collettivo”, partendo dai bisogni reali delle persone e cercando nuove risposte che sfruttino gli asset a disposizione, in questo caso proprio la città”. L’obiettivo è dunque mettere la città a disposizione delle esigenze della cittadinanza, con il Comune in veste di capofila di un progetto condiviso con gli altri attori del territorio. Con la giornata del lavoro agile il Comune intende essere il regista di un cambiamento – organizzativo ma anche e soprattutto culturale – iniziato con i 200 dipendenti del Comune che stanno sperimentando il lavoro da casa, grazie alle 100 aziende che hanno partecipato all’iniziativa (il 50% delle quali non aveva ancora introdotto strumenti di lavoro agile) e con l’adesione di altri comuni italiani come Torino, Cremona e Cinisello, alle porte di Milano.

Arianna Visentini, alla guida del team di Variazioni – un gruppo di professioniste che ormai da anni accompagna le aziende nel percorso verso un migliore work-life balance – ha voluto sottolineare l’importanza della cooperazione tra soggetti pubblici, come il Comune, e altri attori sociali, come in questo caso dall’associazione Valore D, su una tematica importante e trasversale come l’innovazione nell’organizzazione del lavoro. Il grande lavoro svolto all’interno del progetto Welfare Lab testimonia la volontà del mondo produttivo di fare il “salto culturale” necessario per "fare rete" e superare i vecchi modelli di relazione tra azienda e lavoratore, grazie all’utilizzo di strumenti esistenti ma anche e soprattutto alla ricerca di soluzioni nuove, come spiega il box 1.

 

Box 1. Telelavoro, smart working, remote working: alcune definizioni

Come districarsi tra la grande varietà di termini e la normativa vigente, che passa dalla regolamentazione dettagliata del telelavoro al “buco normativo” nel caso degli altri strumenti? Il telelavoro – unica forma normata, da un accordo interconfederale che ha recepito la normativa europea – è definito in Italia come il lavoro da casa. Esistono poi accordi conclusi tra azienda e sindacati che disciplinano nuove forme, chiamate smart working o “lavoro agile”, con caratteristiche di maggiore flessibilità rispetto al telelavoro. Se per remote working intendiamo lavorare da casa, benchè con le stesse modalità organizzative di chi lavora in ufficio, smart working definisce un’organizzazione del lavoro più libera, non solo rispetto al luogo ma anche agli orari. Va finalmente verso un vero riconoscimento della flessibilità lavorativa la proposta di legge bipartisan sullo smart working presentata dalle deputate Alessia Mosca (Pd), Barbara Saltamartini (Nuovo centrodestra) e Irene Tinagli (Scelta Civica). Oggi – ammette Chiara Bisconti – la normativa rende il telelavoro oneroso e “macchinoso”, ma la proposta potrebbe fornire un nuovo riferimento per fare uscire i nuovi strumenti dall’area grigia in cui ancora si trovano, e in cui le aziende temono ad avventurarsi. Sarà cruciale definire – nota l’assessore – la questione relativa all’assicurazione INAIL. L’importo dovrà infatti essere definito in modo tale da non essere troppo oneroso e quindi scoraggiare le aziende interessate a implementare soluzioni di lavoro agile.

 

I testimonial

Il workshop – ha spiegato la Visentini – rappresenta un momento di restituzione e condivisione con tutte le aziende interessate dei risultati dei numerosi incontri tra le imprese associate a Valore D nell’ambito del tavolo tematico sul remote working. Quattro testimonial – Nestlè Italia, Telecom, Citi Bank e Ikea Italia – hanno raccontato le proprie esperienze aziendali come best practice da approfondire insieme ai colleghi nel pubblico.

Se in Ikea il remote working è sempre esistito per impiegati quadri e dirigenti degli uffici centrali, nel contact center la prima esperienza di telelavoro è iniziata nel 2000 a beneficio di otto dipendenti selezionati in base a motivi di salute e oneri di cura. Più di recente invece il telelavoro è stato utilizzato da azienda e sindacati per porre rimedio alla chiusura di una sede che a Bologna occupava dodici dipendenti. Nonostante la chiusura dell’ufficio, i lavoratori continuano a svolgere le proprie mansioni da casa con un rientro settimanale nella sede di Milano. L’esperienza – spiega la Customer Service Center Manager Francesca De Biase – è stata caratterizzata dalla partecipazione concreta e attiva del sindacato per trovare insieme all’azienda una soluzione sostenibile.

Nadia Buldorini, responsabile HR di Citi Bank, dipinge invece uno scenario aziendale diverso, fortemente influenzato dalla cultura aziendale e dalle buone prassi provenienti dalla casa madre statunitense. Il remote working è arrivato infatti già in via sperimentale nel 1999, e dopo solo qualche mese è stato esteso a tutti i dipendenti, che ormai vengono valutati solo per obiettivi indipendentemente dal ruolo ricoperto. Il supporto di un grande impianto tecnologico consente a tutti i 300 dipendenti di lavorare da remoto, e il 16% telelavora.

Davide Zuzzi ha invece raccontato la propria esperienza di lavoro agile all’interno del dipartimento HR di Telecom Italia. Zuzzi ha infatti partecipato durante tutto lo scorso anno al progetto pilota di smart working per 50 dipendenti, e la definisce una “strategia win-win”: il tempo prima dedicato agli spostamenti casa-lavoro è guadagnato sia dal dipendente che dall’azienda, per non parlare poi della qualità della vita, e quindi del lavoro. Una tecnologia adeguata è certamente un fattore abilitante, così come la corretta valutazione della performance per obiettivi. Ma soprattutto – assicura – è fondamentale il cambiamento culturale all’interno del management. Certo per Telecom non si è trattato di una novità assoluta: già nel 1998 era stato introdotto il working out, prima ancora del recepimento della direttiva europea sul telelavoro.
Nel 2013, a fronte della chiusura di 47 sedi, azienda e organizzazioni sindacali hanno concordato la possibilità di offrire, in alternativa al trasferimento, la possibilità di telelavoro per circa 1.500 dipendenti. I telelavoratori – addetti al call center ma anche alle attività di back office e amministrazione – dovranno rientrare in sede solo per formazione e addestramento.

Nestlé Italia, multinazionale ormai veterana della conciliazione famiglia-lavoro, deve molto – ha ricordato la responsabile welfare Elisabetta Dallavalle – al grande lavoro interno portato avanti negli ambiti della comunicazione e della sensibilizzazione. Nestlé da tempo si è “messa in gioco” sul terreno della conciliazione impegnandosi a migliorare e sistematizzare tutte le iniziative di welfare aziendale e work-life balance, partecipando alla sperimentazione nazionale dello standard Family Audit.
Solo nell’ultimo anno più di 500 dei 1400 dipendenti hanno sperimentato il lavoro agile, che continuerà a essere esteso fino ad arrivare all’intera popolazione aziendale. Le numerose opportunità di welfare e flessibilità in Nestlé sono gender neutral, assegnate in base ai bisogni della persona all’interno del ciclo di vita.

Le parole chiave del lavoro agile

Al termine della mattinata i testimonial e i rappresentanti delle aziende nel pubblico sono stati invitati a contribuire al dibattito per “tirare le fila” dei lavori individuando criticità e prospettive delle soluzioni proposte.

Quali sembrano essere i nodi cruciali della questione? Senza dubbio spicca la necessità di una rivoluzione “paper less”, grazie all’adozione di adeguati strumenti tecnologici, per adattare le mansioni alle nuove modalità di lavoro. Non può però mancare un “ingrediente culturale”, da declinare a più livelli. Innanzitutto al livello aziendale, perché la flessibilità lavorativa ha bisogno di una organizzazione aziendale flessibile e capace di instaurare una corretta “cultura della valutazione” basata sulla performance più che sulla presenza. E a livello “di sistema”, per promuovere nuovi valori su cui costruire il rapporto tra azienda e lavoratore e sostenere un nuovo approccio alle relazioni industriali in ottica più inclusiva e cooperativa.

La “giornata agile” proposta da Valore D ha anche fornito una serie di spunti per il futuro: la voglia di sperimentare e innovare, ma anche il bisogno di comunicare e “fare rete”. Dopotutto, è possibile cambiare senza accettare di correre qualche rischio?

Riferimenti

Il portale della Giornata del Lavoro Agile

Il sito di Valore D

Il sito di Variazioni

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