6 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Quali nessi esistono tra il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e l’impact investing? Il PNRR italiano può essere un nuovo banco di prova per la finanza a impatto? E se sì, in quali ambiti sarà più facile vederne gli effetti concreti? Per cercare di rispondere a queste domande Social Impact Agenda per l’Italia (SIA) sta realizzando una serie di paper scritti da esperti di questi temi.

Dopo avervi raccontato delle principali sfide e opportunità dell’impact investing per il PNRR presentate nel paper di Elisa Chiaf e Tommaso Montesi, dei possibili impatti del Piano sui sistemi di cura e prossimità descritti da Giuseppe Guerini e degli strumenti di impact finance “non collegati ai costi delle operazioni” analizzati da Antonio Bonetti, di seguito approfondiamo il quarto paper scritto da Annarita Trotta.

Professoressa ordinaria di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro, Trotta nel paper “La sperimentazione di Social Impact Bond: sfide, opportunità e possibili applicazioni alla luce del PNRR” si chiede se i Social Impact Bond (SIB) – tra i principali strumenti a cui oggi fa ricorso la finanza a impatto – possano essere al centro di sperimentazioni da realizzare nell’alveo del PNRR. A questo scopo il paper – anche alla luce dei precedenti contributi pubblicati da Social Impact Agenda per l’Italia – propone: un’analisi delle possibili sinergie tra PNRR e impact finance; indicazioni su potenzialità e i rischi dei SIB, guardando in particolare a iniziative avviate nell’Unione Europea; possibili vie da seguire per la sperimentazione di SIB; raccomandazioni utili per favorire l’applicazione di modelli di impact finance in Italia. 

Impact finance e PNRR: quali opportunità

Nella prima parte del paper Trotta spiega perché il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può rappresentare un terreno fertile per la finanza a impatto

Per la docente, i bandi pubblicati finora (di cui vi stiamo raccontando con la serie #MementoPNRR e, in particolare, attraverso le analisi di Excursus Plus) sono sostanzialmente incentrati su forme tradizionali di investimento pubblico. Tuttavia alcune Missioni del PNRR prevedono esplicitamente la possibilità di ricorrere a forme di co-progettazione tra attori pubblici e privati. Inoltre, come riportato anche da Bonetti nel suo paper per SIA, la stessa Commissione UE spinge affinché nel Piano, e in generale in tutti gli investimenti europei, si possa passare da una logica di rendicontazione “compliance based” ad una logica “performance oriented”, ricorrendo in particolare a “finanziamenti non collegati ai costi delle operazioni” e a strumenti pay by result che vedono nelle partnership pubblico-privato una delle loro ragion d’essere.

Affinché questo avvenga i punti di snodo sono sostanzialmente tre: primo, il passaggio da una logica di esternalizzazione dei servizi ad una logica di “co-progettazione”; secondo, un ruolo centrale per la valutazione dell’impatto, tenuto conto che il piano di monitoraggio e valutazione diventa parte integrante del contratto fra le parti; terzo, il passaggio da logiche di rimborso a logiche di tipo pay by result. 

Cosa sono i Social Impact Bond

In questo senso il ricorso a strumenti come i Social Impact Bond a detta di Trotta rappresenta un passaggio cruciale, per il PNRR e non solo.

Ma cosa sono i SIB, di cui Secondo Welfare iniziò a parlare già 10 (!) anni fa? In breve, si tratta di strumenti finanziari utilizzati da soggetti pubblici (Stato, enti locali, agenzie governative) per raccogliere finanziamenti privati destinati alla realizzazione di progetti di pubblica utilità. Pur avendo, come le obbligazioni “tradizionali”, scadenze temporali predeterminate, i SIB non garantiscono un rendimento certo alla loro scadenza. La remunerazione, infatti, risulta legata al raggiungimento di determinati risultati sociali stabiliti al momento dell’emissione. L’idea che sta alla base dei SIB è che l’ente pubblico attraverso programmi sociali realizzati e gestiti da enti privati, tendenzialmente di natura non profit, affronti situazioni di disagio sociale risparmiando denaro e ottenendo risultati più soddisfacenti di quelli che avrebbe agendo autonomamente.

Come spiegato nel paper, i SIB si basano dunque “su modelli caratterizzati da partenariati (anche estesi) pubblico-privati, realizzati fra soggetti che pur avendo obiettivi differenti perseguono la comune finalità di realizzare misure atte ad ottenere un positivo impatto sociale e/o ambientale, agendo in un’area di intervento di interesse pubblico”. Tale finalità viene realizzata grazie alla presenza di un service provider – in genere un ente del Terzo Settore – che si impegna ad offrire servizi ed attività a carattere sociale nell’ambito di un progetto che si avvale di capitali privati forniti da investitori ad impatto. Il raggiungimento dei risultati, precisati in un piano di valutazione parte integrante degli accordi che definiscono la partnership, determinano i rendimenti legati all’operazione. Un valutatore indipendente è chiamato a identificare il grado di successo del progetto finanziato dal SIB e, dunque, la remunerazione dell’investimento da parte del cosiddetto outcome payer, normalmente l’attore pubblico.

Esperienze europee a cui guardare

Dopo aver dettagliato le principali caratteristiche dei SIB, Trotta propone alcuni dati sugli strumenti attualmente attivi a livello globale (243) e i le risorse finanziare che sono stati finora in grado di raccogliere (circa 720 milioni di dollari), analizzando anche i principali ambiti di interesse e i Paesi in cui sono implementati.

A seguire, la docente analizza nove esperienze concrete che a suo dire potrebbero essere mutuate anche nel nostro Paese. Si tratta di sperimentazioni realizzate in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Germania che riguardano l’inserimento lavorativo di NEET, donne, soggetti residenti in aree rurali e/o soggetti disoccupati (o inoccupati) di lungo termine, rifugiati e immigrati.

Si tratta, spiega Trotta di progetti che “favoriscono una transizione sociale, energetica e solidale, in cui spesso intermediari finanziari con particolare esperienza nel campo dell’impact investing partecipano sia come finanziatori sia come consulenti tecnici per la strutturazione del modello organizzativo e contrattuale del SIB” su mandato di amministrazioni centrali o locali “che puntano a risolvere problemi territoriali complessi”.

Social impact bond, una soluzione contro la povertà in Italia?

Nella parte finale del paper Trotta indica come i SIB potrebbero essere strumenti da utilizzare per affrontare in maniera trasversale la povertà assoluta che, come noto, nel nostro Paese riguarda oltre 5,6 milioni di persone. Come riportato anche nella sezione dedicata agli esempi europei, i SIB sono infatti orientati ad affrontare problematiche che riguardano la disoccupazione, il deficit formativo, l’homelessness e, più in generale, situazioni di indigenza che interessano le fasce più vulnerabili della popolazione. Ovvero quelle che più frequentemente sono in povertà.

Suggestiva, in particolare, è l’idea di sviluppare SIB che possano avviare sperimentazioni “in abbinamento con diverse forme di sussidi, necessari, nel breve termine, per garantire a ciascuna persona il diritto ad una vita dignitosa”, come il Reddito di Cittadinanza. “Nell’ambito di un ben congegnato modello SIB” spiega Trotta “le misure di sostegno per l’inclusione sociale (dal lato delle politiche passive del lavoro) potrebbero trovare efficace abbinamento con progetti (collegati alle politiche attive del lavoro) di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”.  

L’autrice in quest’ottica propone uno schema (disponibile a pp. 33 e 34 del paper) in cui evidenzia gli spazi operativi in cui potrebbero essere sviluppate tali sperimentazioni a partire dalle Missioni del PNRR.

PA preparata, leve fiscali, valutazione: cosa ci serve

Partendo dalle 10 raccomandazioni di Social Impact Agenda per l’Italia, Trotta sottolinea tre punti su cui, a suo avviso, occorre lavorare prioritariamente per poter arrivare a una diffusione della finanza a impatto nel nostro Paese.

Il primo, riguarda la riqualificazione e al rafforzamento del capitale umano nella pubblica amministrazione, che rappresenta “un indispensabile traguardo – necessario anche nelle logiche e nella struttura delle riforme previste nel PNRR – sia per favorire maggiori collaborazioni tra il settore pubblico e i privati e sia per un migliore uso delle normative in tema di appalti”. Il secondo è il ricorso a leve finanziarie e fiscali che possano “stimolare la transizione verso sistemi economici maggiormente responsabili che necessariamente si sviluppano lungo le direttrici delle transizione ecologica  e digitale”. Da ultimo, Trotta ricorda l’importanza dell’adozione di metriche e modallità di valutazione dell’impatto che possano “una armonizzazione dei “linguaggi” adottati in termini di misurazione e valutazione dell’impatto e contribuirebbe anche a migliorare le valutazioni del merito creditizio delle imprese che operano con logiche di sostenibilità”.

Il PNRR è a rischio?

A breve il nostro Paese avrà un nuovo Parlamento che – speriamo in tempi brevi – darà la fiducia a un nuovo Governo che, tra le altre cose, sarà chiamato ad implementare quanto previsto dal PNRR. Vista la delicatezza di questo passaggio, come già fatto con Antonio Bonetti, abbiamo ritenuto utile chiedere ad Annarita Trotta se saremo in grado di rispettare le scadenze concordate con la Commissione UE e, nel caso non lo fossimo, cosa potrebbe accadere.

Secondo la docente “milestone e target vanno raggiunti secondo i tempi stringenti dell’articolato cronoprogramma del PNRR e sono fondamentali per il collegamento con le erogazioni dei finanziamenti. Come già sottolineato da Bonetti, la caduta del governo Draghi determina il rischio concreto di non rispettare le milestone previste per il 2022. Nonostante le azioni di messa in sicurezza delle attività di governance e gestione collegate al PNRR, al momento esistono molte incertezze, ben sintetizzate negli scenari analizzati da  D’Arrigo e David su lavoce.info“.

Se non dovessimo realizzare le riforme concordate, aggiunge Trotta, “le conseguenze collegate non sarebbero sono solo di tipo economico (mancata erogazione di risorse) ma andrebbero lette in termini di mancate opportunità di sviluppo e di ammodernamento (mancati investimenti) anche per il Sud, con ricadute sui processi di transizione in atto. Non è da sottovalutare, poi, una conseguenza di tipo ‘reputazionale’, a livello internazionale”.

 

Questo contributo è realizzato grazie al sostegno di Social Impact Agenda per l’Italia ed è parte della serie “MementoPNRR”, con cui cerchiamo di capire quale idea di Paese vogliamo realizzare grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.