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La principale preoccupazione degli italiani è la mancanza di lavoro e dunque di reddito. L’indicazione è emersa forte e chiara in tutti i sondaggi pre-elettorali e in un Paese ad alta disoccupazione e alta povertà la cosa certo non sorprende. Quali che siano i movimenti di queste prime settimane, il nuovo Parlamento nel suo insieme dovrebbe impegnarsi a prendere di petto entrambe le sfide. Una particolare responsabilità ricade su M5S e sulla Lega. Non solo perché hanno «vinto» le elezioni, ma anche perché hanno fatto promesse precise come il reddito di cittadinanza (per combattere la povertà) e la flat tax (per rilanciare crescita e occupazione).

Nessuno dubita della buona fede di Di Maio e Salvini e dei loro programmi. È però legittimo osservare che si tratta di approcci quasi specularmente diversi ed entrambi molto costosi. In campagna elettorale, il reddito di cittadinanza e la flat tax sono peraltro stati presentati come soluzioni risolutive o quantomeno capaci di produrre benefici immediati sulle condizioni economiche degli italiani. Le aspettative sono elevate. Proprio per questo sarebbe bene promuovere una pacata riflessione post-elettorale sulla sfida lavoro-povertà. Nessun partito può governare da solo. Senza una cornice comune di riferimento, il confronto tra progetti non può neppure iniziare.

Disoccupazione e povertà sono due facce della stessa medaglia. In Italia abbiamo molti più poveri di altri Paesi Ue perché la nostra economia non genera un numero sufficiente di posti di lavoro. È così dagli anni Cinquanta. In settant’anni, il divario in termini di occupazione rispetto a Francia e Germania è rimasto quasi invariato. Persino la Spagna ha oggi un tasso di occupazione più alto del nostro. Certo, la composizione della povertà è profondamente mutata nel tempo: prima erano poveri soprattutto gli anziani, ora lo sono di più i minori. Anche la disoccupazione si concentra fra i giovani. In larga misura, la radice del problema è però la stessa: una bassa domanda di lavoro, in particolare al Sud. Quando i Cinque Stelle parlano di un reddito di 700 euro al mese per chi è senza mezzi, non propongono una cosa anomala rispetto agli standard europei: l’importo è simile a quello previsto in Austria o in Olanda. La differenza cruciale è che in quei paesi i beneficiari sono relativamente pochi: lì è molto più facile trovare un lavoro. Stanti i nostri livelli di povertà, il reddito di cittadinanza a 700 euro ci costerebbe più dell’1% del Pil, il triplo rispetto a Austria o Olanda. È questo il principale limite della proposta Cinque Stelle. È troppo focalizzata su un solo lato della medaglia: sussidiare la mancanza di lavoro, costi quello che costi.

La Lega accosta il problema dal versante opposto. Lavoro, lavoro, lavoro, ripete Salvini. Ma è ragionevole puntare tutto sulla flat tax, immaginando che questa possa accendere rapidamente il motore dell’occupazione? L’unica cosa certa è che una riforma come questa causerebbe subito un buco di bilancio. È difficile quantificarlo, ma l’ordine di grandezza è vicino al costo del reddito di cittadinanza: un punto abbondante di Pil. Le esperienze straniere di successo che vengono spesso citate non consentono di fare calcoli precisi sui ritorni della flat tax in termini di posti di lavoro. La creazione di occupazione è solo uno fra gli obiettivi della proposta della Lega. Si tratta tuttavia del piatto forte del «lavorista» Salvini: nel valutare le conseguenze della flat tax occorre dunque prestare massima attenzione alle sue ricadute su questo fronte. Anche ammettendo che, a tempo debito, aumentino i posti di lavoro, che cosa facciamo nel frattempo dei poveri? Il limite della Lega è quasi speculare a quello dei Cinque Stelle. Scommette tutto sulla riduzione del carico fiscale come antidoto alla disoccupazione: poi chi vivrà, vedrà.

Il mezzo è la cosa migliore, diceva Aristotele. Non sarebbe ragionevole incontrarsi a metà strada in Parlamento e concordare una agenda di massima per affrontare la sfida lavoro-povertà da entrambi i versanti coinvolgendo tutti i partiti? I Cinque Stelle si sono già lasciati scappare che il reddito di cittadinanza non si potrà introdurre tutto subito: bisognerà prima rafforzare i servizi per l’impiego. Il programma della Lega, dal canto suo, oltre alla flat tax prevede una incisiva riduzione degli oneri sociali per le imprese: una misura che in tutti i paesi ha avuto effetti positivi sulla creazione di posti di lavoro.

Ecco allora due obiettivi realistici e promettenti su cui puntare nel breve periodo. Potenziare le politiche attive e ridurre il cuneo fiscale sarebbero peraltro in linea con le raccomandazioni Ue e con alcune riforme già realizzate nelle passate legislature. Contro la povertà abbiamo il reddito di inclusione. Contro la disoccupazione abbiamo sperimentato con successo la decontribuzione. Nei processi di cambiamento vige una legge ferrea: ovunque si voglia andare, si deve partire dal punto in cui ci si trova. È questa la cornice di riferimento obbligata per il nuovo Parlamento, la base su vanno innestati i progetti di ulteriori riforme. Il più possibile condivise.

Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 24 marzo 2018 e qui riprodotto previo consenso dell’autore