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Lunedì 17 giugno è stato presentato il XVIII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato. Il documento, elaborato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) in collaborazione con l’INPS per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, analizza lo stato dell’apprendistato nel nostro Paese nel periodo 2016-2017 e offre alcuni dati interessanti su questo fenomeno. Abbiamo chiesto a Stefano Sacchi, Presidente di INAPP, di aiutarci ad approfondire i contenuti del Rapporto.

Presidente Sacchi, quali sono le principali evidenze che emergono al XVIII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato in Italia?

Sono sostanzialmente tre gli aspetti più rilevanti che emergono dal rapporto. Il primo è che dal 2016, dopo cinque anni di calo, il contratto di apprendistato torna a essere appetibile, con una crescita degli avviamenti del 30% nel 2016 e del 22,8% nel 2017. L’aumento ha riguardato nel 2016 soprattutto il Mezzogiorno (+59,9%) ed in seguito, nel 2017, in particolare le aree del Nord (+24,2%). In secondo luogo si riscontra una crescente prevalenza di rapporti di apprendistato con i più giovani: dei 324.902 contratti avviati in Italia nel 2017 il 60% riguarda la fascia 18 – 24 anni che registra un aumento del 20,2% rispetto al 2016. Da ultimo, si può segnalare che dopo 12 anni dal primo contratto di apprendistato è occupato regolarmente il 73,6% degli apprendisti, la maggioranza (oltre 60%) come lavoratore dipendente.


Che ruolo sta giocando l’apprendistato nel mercato del lavoro italiano?

Il Rapporto mette in luce una rinnovata vitalità dell’apprendistato dopo il crollo dovuto alla crisi economica prima e all’introduzione degli incentivi per il contratto a tempo indeterminato poi. A fronte di segnali positivi, con incrementi marcati per i più giovani e buoni esiti occupazionali, vi sono però le consuete ombre dell’apprendistato in Italia, che continua a trovare il suo appeal essenzialmente nei vantaggi in termini di costo del lavoro. Un contratto insomma che non riesce ad ancorarsi stabilmente come canale di acquisizione di competenze specifiche all’azienda o al settore, orientato alla formazione dei giovani lavoratori, da far crescere e fidelizzare in azienda, ma resta soggetto alle periodiche revisioni della disciplina del nostro mercato del lavoro. Nonostante gli sforzi degli anni passati, molto resta quindi da fare per dotare il nostro Paese di uno strumento fondamentale per aumentare le competenze necessarie al nostro sistema produttivo, se vogliamo che la profonda trasformazione tecnologica in atto ci veda protagonisti e non comparse.


A cosa dobbiamo il cambio di trend registrato negli ultmi anni?

L’andamento crescente è legato in parte al miglioramento, seppure modesto, del tasso di occupazione giovanile (15-29 anni) che cresce dal 28,6% del 2015, al 29,7% del 2016, fino al 30,3% del 2017. Ma soprattutto, come accennavo, va considerata l’influenza che gli interventi normativi hanno avuto sulle dinamiche delle assunzioni in apprendistato, agendo in modo variabile sulla sua attrattività. Le Leggi di Stabilità 2015 e 2016, allo scopo di promuovere forme di occupazione stabile, hanno introdotto un esonero, rispettivamente totale per tre anni e parziale per due anni, dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro. Se il primo intervento ha reso più conveniente per le imprese assumere con il contratto a tutele crescenti, il secondo ha invece agito in senso contrario, accrescendo il vantaggio competitivo dell’apprendistato. Un vantaggio tra l’altro accentuato dalle ulteriori agevolazioni introdotte dall’Incentivo Occupazione Sud.


Quali altri elementi di interessanti avete rilevato?

Se consideriamo le imprese i settori che pesano di più sull’occupazione complessiva in apprendistato (numero medio di rapporti di lavoro) sono il commercio (20,8%), le attività manifatturiere (18,2%) e i servizi di alloggio e ristorazione (16,8%), mentre si registra un calo della presenza di apprendisti nelle imprese artigiane, che mostrano una minore crescita occupazionale nel numero medio di rapporti di lavoro in apprendistato (7,6%) rispetto alle aziende di altro tipo (13,7%), pur continuando a rappresentare circa un quarto del totale dell’occupazione in apprendistato. A livello geografico, invece, si confermano i trend che conoscevamo. La Lombardia è la regione con il maggior numero di apprendisti (il 17,6% del totale degli apprendisti), seguita da Veneto (13%), Emilia Romagna (10,8%), Lazio (10%), Piemonte e Toscana (entrambe all’8,5%). In queste sei regioni si concentra il 70% circa dell’occupazione in apprendistato.


Quali misure potrebbero essere adottate per migliorare l’impatto – sia in termini formativi che occupazionali – dell’apprendistato?

Lo scenario descritto induce a riflettere su alcuni aspetti che potrebbero assicurare una maggiore diffusione dell’apprendistato, sostenendone la qualità e la caratteristica di contratto formativo. Tra questi, si possono segnalare innanzitutto l’esigenza di sensibilizzare e diffondere la cultura dell’apprendistato tra i diversi attori del sistema produttivo e formativo, a partire dalle migliori esperienze realizzate, anche attraverso la collaborazione tra imprese, istituti scolastici, atenei. Detta in altro modo, occorrerebbe spingere sull’apprendistato di primo e terzo livello. Sarebbe utile, inoltre, favorire la conoscenza dello strumento in ambito aziendale e tra i soggetti intermediari (commercialisti, consulenti del lavoro, centri per l’impiego pubblici e privati), per superare le ritrosie dovute agli aspetti normativi, contrattualistici e procedurali. Il contenuto formativo deve essere riconosciuto come l’elemento caratterizzante del contratto di apprendistato, e non una seccatura burocratica per poter accedere a un costo del lavoro inferiore. E in ultimo la certezza del quadro normativo. Le imprese reagiscono in modo virtuoso alla stabilità delle regole, elaborando strategie di lungo periodo. Quando le regole cambiano continuamente, o mancano i provvedimenti attuativi e l’accesso alle misure previste è incerto, le imprese reagiscono in modo tattico e di breve periodo. Questo si lega anche al ruolo delle parti sociali. La stabilizzazione delle regole per l’apprendistato professionalizzante ha dato luogo in passato ad un accordo tra le parti sociali che ne ha sostenuto la crescita. Ci si può attendere che questo avvenga per l’apprendistato di primo e terzo livello, sempre che non muti ulteriormente il quadro regolativo.


Riferimenti

Executive Summary del XVIII Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato in Italia