Il 7 ottobre sono state presentate le otto proposte dell’Alleanza contro la povertà da sottoporre al Governo e al Parlamento per riformare il Reddito Di Cittadinanza (RdC). Lo studio e l’analisi delle sfide e delle criticità della misura hanno previsto il coinvolgimento del Comitato scientifico dell’Alleanza, composto, oltre che da chi scrive, anche da Andrea Ciarini, Michele Raitano e Stefano Sacchi.

Il presente articolo approfondisce le sfide e i contesti riguardanti più direttamente il processo di implementazione, ovvero le proposte: 4 – “Partire col piede giusto: accompagnare la presentazione della domanda), – “Oltre l’automatismo: la presa in carico tra CpI e Servizi Sociali e 6  – “Progetti utili alla collettività, utili anche ai beneficiari”).

Il percorso di presentazione e presa in carico della domanda è infatti decisivo  per la costruzione di percorsi individuali capacitanti e resilienti, come ha sottolineato anche Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza nell’intervista rilasciata a Secondo Welfare.

I “colli di bottiglia” nel percorso di presentazione della domanda

A fianco delle criticità relative ai requisiti di accesso e alla capacità del RdC di intercettare le nuove povertà, comprese quelle dei working poor (affrontate nel documento di presentazione delle 8 proposte), ne esistono altre che emergono dalla concreta applicazione della misura nei territori. Nella procedura che va dalla presentazione della domanda all’attuazione dei percorsi di inserimento, esistono dei “colli di bottiglia” che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi del RdC.

Le cause attengono a diversi ordini di ragioni. In primo luogo, il disegno istituzionale della misura e la presenza di meccanismi digitalizzati e automatizzati per la gestione di alcuni passaggi chiave dell’implementazione; la pluralità di attori pubblici e privati coinvolti nella co-gestione della misura nei territori e nella governance complessiva, che si articola su più livelli (nazionale, regionale, locale).

Infine, l’effetto contesto relativo al peso della variabile territoriale, che si riscontra su vari piani: della dotazione dei territori in termini di servizi e rispettive risorse (umane, organizzative, tecnologiche, …), delle condizioni socio-economiche dei territori, delle capacità istituzionali e delle sub-culture amministrative degli enti locali, dello sviluppo del welfare locale e del lavoro di rete tra gli attori territoriali. Di questi fattori dovranno tenere conto le misure correttive.

Gli snodi critici e le proposte di intervento

Proposta 4. Partire col piede giusto: accompagnare la presentazione della domanda

La presentazione della domanda è una fase delicata: si richiamano di seguito cinque ostacoli individuati nel corso di tale processo. Il primo snodo critico riguarda il difficile reperimento e la predisposizione dei documenti per la presentazione della domanda (es. calcolo delle rate del mutuo, ma anche compilazione ISEE); seguito poi, dalla difficoltà per i soggetti particolarmente vulnerabili a seguire il lungo iter che prevede il coinvolgimento di attori diversi (recarsi prima a un CAF per l’ISEE, poi a un patronato e, infine, previa convocazione presso i servizi sociali o i Centri per l’impiego – CpI).

Persiste un utilizzo problematico delle piattaforme e degli strumenti informatici da parte delle persone non alfabetizzate alla tecnologia; si ritiene inoltre che tale digital divide rischi di ampliarsi con il diffondersi dello SPID per l’accesso ai servizi pubblici. Infine, la mancanza di una valutazione preliminare di alcuni requisiti di accesso con rischio che Inps anche a distanza di anni chieda il rimborso della misura (le domande si basano su autodichiarazioni che non sono facilmente verificabili come, per esempio, la residenza da più di 10 in territorio italiano per i cittadini stranieri; o su dichiarazioni in condizioni di incertezza, come la previsione del reddito presunto per i lavoratori stagionali).

Alla luce degli ostacoli ivi descritti, la proposta avanzata dall’Alleanza è di:

  • Reintrodurre i punti unici di accesso previsti per il Reddito di Inclusione.

Proposta 5. Oltre l’automatismo: la presa in carico (personalizzata) tra CpI e Servizi Sociali

Un altro snodo critico riguarda l’indirizzamento automatico dei beneficiari ai Cpl o ai servizi sociali e la presa in carico. L’indirizzamento automatico operato dalla piattaforma INPS sulla base di una serie di parametri di occupabilità e altre informazioni, in parte fornite dall’autovalutazione dei soggetti, non sempre risponde alle effettive esigenze dei beneficiari. Il disegno istituzionale prevede la possibilità di rinvio dei percettori dai CpI ai servizi sociali e viceversa. Tuttavia, il disagio rischia di passare “sotto i radar”, perché non sempre i navigator hanno le competenze professionali necessarie per individuare le vulnerabilità sociali, ruolo che propriamente attiene ad altre figure professionali, in primoluogo all’assistente sociale.

Inoltre, come documentano le ricerche in materia, lo sviluppo dei CpI è disomogeneo nel Paese e disomogenea è la dotazione delle strutture. Infatti, il rinvio è spesso influenzato (nei tempi, modalità e frequenza) dalla qualità dei rapporti e dalle prassi di collaborazione tra CpI e servizi sociali, che variano da territorio a territorio e in ragione delle differenti sub-culture amministrative.

Il reinvio  sarebbe ulteriormente influenzato dalla verifica e dalla gestione della grande quantità di domande che perviene ai servizi che determinano, in molti casi, un sovraccarico di lavoro per le strutture che risultano sottodimensionate rispetto al fabbisogno, con conseguenze sul livello di qualità e personalizzazione dei servizi offerti. Infine, la scarsa interoperatività tra piattaforme informatiche e loro lentezza rende inefficace l’individuazione della condizione di bisogno dei nuclei familiari. Questo crea problemi non solo agli operatori, generando un sovraccarico lavorativo, ma anche ai beneficiari (per esempio, ritardi nella presa in carico).

In  riferimento a questa seconda sfida, l’Alleanza ha proposto di:

  • Reintrodurre l’analisi preliminare del nucleo beneficiario in modo da valutare adeguatamente i suoi bisogni multidimensionali, rivedere il meccanismo automatico di selezione dei percorsi di inserimento per migliorare la capacità di intercettare il disagio sociale.
  • Rafforzare la collaborazione e il coordinamento tra CpI e servizi sociali territoriali tramite la definizione di protocolli di lavoro congiunto.
  • Promuovere l’utilizzo integrato delle banche dati degli enti coinvolti nell’implementazione del RdC (INPS, Comuni, GEPI, MyAnpal).

Proposta 6. Progetti utili alla collettività (PUC), utili anche ai beneficiari

Nell’ambito dei Patti per il lavoro e/o per l’inclusione sociale, i beneficiari del RdC sono tenuti a svolgere Progetti utili alla collettività (PUC) all’interno del Comune di residenza. I Comuni sono responsabili dei PUC e li possono attuare in collaborazione con altri enti del territorio. Si tratta di progetti volti a supportare o potenziare le attività svolte dagli enti locali in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo, o di tutela dei beni comuni. Oltre a un obbligo, i PUC dovrebbero dunque rappresentare un’occasione di inclusione e crescita per i beneficiari e per la collettività ma nei fatti risultano scarsamente utilizzati ed efficaci.

Sono diversi i fattori che incidono sull’utilizzo e l’efficacia dei PUC: la complessità delle procedure di attivazione, la disomogenea dotazione di risorse economiche e organizzative dei Comuni, l’effetto di spiazzamento che talvolta si produce con misure simili già utilizzate dagli enti locali per integrare i redditi della popolazione vulnerabile, l’approccio “workfarista” sotteso allo strumento visto più come elemento di condizionalità vincolante, obbligatorio, che non come reale opportunità di inclusione, attivazione per il beneficiario e di risorsa per lo sviluppo economico e sociale del contesto locale.

Il rischio è quindi di derubricare i PUC a mero adempimento burocratico, con il sovraccarico amministrativo che ne deriva. Occorre invece salvaguardare la funzione di empowerment di questo dispositivo in specie per i soggetti più fragili. Ciò richiede di considerare i PUC come una delle risorse a disposizione per la realizzazione di percorsi personalizzati di inclusione effettivamente co-costruiti insieme dagli operatori dei servizi e dai beneficiari, secondo un approccio di presa in carico orientato alla capacitazione, alla responsabilizzazione, all’autodeterminazione dei beneficiari, nella convinzione che l’inclusione e la partecipazione attiva (secondo le capacità e le possibilità delle persone, con le loro caratteristiche e fragilità) siano il fondamento di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e umano.

In virtù della possibile funzione di empowerment attribuibile ai PUC (e non di mera “attivazione lavorativa”) e di reale occasione di investimento per lo sviluppo dei territori (e non di semplice adempimento) – la proposta dell’Alleanza punta a:

  • Sviluppare, per i beneficiari, i PUC su base volontaria, secondo una logica basata sulla capacitazione dei soggetti più fragili.

 


➔ Approfondisci le proposte dell’Alleanza contro la povertà per rilanciare il Reddito di Cittadinanza

 


Hai trovato interessante questo approfondimento? Vorresti rimanere aggiornato su questo e altri temi? 
Iscriviti alla newsletter di Secondo Welfare