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Fin dai primi giorni di marzo l’amministrazione comunale milanese, integrando i servizi municipali e le risorse del Terzo Settore e del mondo privato, ha messo in piedi un sistema per garantire la consegna del cibo alle famiglie in povertà.

Questa esperienza, che è stata realizzata anche grazie al coinvolgimento attivo del Programma QuBì, mostra l’importanza che le reti multi-attore rivestono nelle situazioni di emergenza. L’esistenza di reti territoriali di questo tipo consente infatti di intercettare i bisogni emergenti e di offrire una risposta capillare e immediata.

QuBì nasce da un’iniziativa di Fondazione Cariplo ed è realizzato con il sostegno della Fondazione Peppino Vismara, Intesa San Paolo, Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, Fondazione Fiera Milano e Fondazione SNAM. Questo programma che mira a contrastare la povertà infantile nella città di Milano, oltre a porre al centro la questione della povertà alimentare, ha promosso la costituzione di reti territoriali che mirano a coinvolgere e a mettere a sistema le azioni di tutti gli attori che, nei vari quartieri, contribuiscono o possono contribuire a contrastare la povertà (si veda qui e qui). Del ruolo giocato da questa iniziativa già nei primi giorni di lockdown, abbiamo discusso con Laura Anzideo responsabile del Programma QuBì per Fondazione Cariplo

Cosa è stato fatto a Milano nei primi giorni di lockdown per garantire la distribuzione del cibo ai poveri?

Nei primi giorni di marzo siamo stati contattati da Food policy che, insieme alla Protezione Civile e all’Assessorato Politiche Sociali del Comune di Milano, stava iniziando a occuparsi della distribuzione dei pacchi alimentari. In condizioni normali, questa attività è realizzata per lo più grazie al lavoro volontario (in primis di Caritas e Banco Alimentare); ma i volontari sono generalmente persone over 65 anni e per questo il consueto sistema di distribuzione dei pacchi rischiava di bloccarsi.

Il Comune di Milano ha quindi lavorato per mettere in campo un sistema di emergenza sulla questione cibo. A quel punto siamo stati invitati a fare una formazione e tutte le reti QuBì sono state coinvolte. Il Comune aveva infatti deciso (utilizzando in ogni municipio gli spazi dei centri anziani) di allestire degli Hub per la raccolta e la distribuzione del cibo; e di mettere a sistema le risorse e le azioni di tutti (Banco alimentare, Caritas, Food policy, QuBì eccetera).

Qual è stato in questa fase il contributo di QuBì?

Inizialmente, le reti QuBì sono state coinvolte con l’obiettivo di capire come stavano andando le consegne del cibo, quali parrocchie vedevano venir meno la distribuzione di pacchi alimentari. Le reti hanno quindi offerto un punto di lettura e in due giorni siamo riusciti ad avere la mappatura della città e di quelle famiglie che erano rimaste senza pacco alimentare perché il meccanismo si era bloccato.

QuBì ha poi offerto del personale (es. educatori che avevano i servizi fermi, ma anche volontari) che, insieme ai dipendenti del Comune, si è occupato di smistare i bancali di cibo raccolto in pacchi alimentari che venivano consegnati dallo stesso personale del Comune ricorrendo a mezzi (es. quelli relativi al servizio disabili) che in quel momento erano inutilizzati. In questo meccanismo si è messa a disposizione anche AMAT (che è l’azienda logistica del Comune di Milano) che si è occupata di definire i vari percorsi per la distribuzione dei pacchi a tutti gli indirizzi delle famiglie.

Come ha funzionato il meccanismo di individuazione delle famiglie?

Le reti QuBì hanno messo a disposizione i codici fiscali delle famiglie che già prima della crisi erano raggiunte: a quel punto è stato poi fatto il match con i codici fiscali delle famiglie in carico al Comune. In sostanza, l’idea era quella di individuare tutti i poveri che potessero avere bisogno di cibo.

Quindi le famiglie hanno ricevuto il pacco senza richiederlo? Ovvero prima ancora che si attivassero in questa direzione?

Praticamente si. Era il sistema, tramite i servizi sociali comunali, che chiamava le famiglie e le informava che stava portando la spesa. Inevitabilmente, nei primi 10gg abbiamo avuto famiglie che sono rimaste scoperte; perché ad esempio il personale della protezione civile aveva altre urgenze in un dato giorno o perché magari non aveva funzionato il matching delle liste. Diciamo però che nel giro di una sola settimana è stata riorganizzato il sistema di distribuzione del cibo. Questo peraltro in una situazione in cui le persone (volontari e operatori) dovevano essere anche formate e fornite di dispositivi di protezione individuale, dovevano rispettare le distanze di sicurezza e dovevano capire anche come organizzare le derrate alimentari: che spesa diamo alle famiglie?; cosa mettiamo nei pacchi?

Chi ha fornito il cibo che veniva poi distribuito alle famiglie?

Inizialmente sono state utilizzate le derrate del Banco Alimentare e al contempo però è stato necessario mettere in piedi un meccanismo ad hoc perché il Banco Alimentare, per come è organizzato, non può acquistare cibo ma può solo ricevere donazioni. Per poter distribuire dei pacchi maggiormente rispondenti ai bisogni delle famiglie è stata allora coinvolta la Croce Rossa che aveva invece possibilità di ricevere risorse da impiegare per l’acquisto di cibo. Le risorse sono state messe a disposizione dalla Fondazione di Comunità di Milano e dallo stesso Comune e sono poi arrivate donazioni dalle aziende e sono stati messi in campo sistemi di crowdfunding. Tutto questo perché sapevamo che le richieste di cibo da parte delle famiglie stavano aumentando e non era quindi più sufficiente contare sulle donazioni.

Quante sono le famiglie attualmente coinvolte?

Ad oggi il sistema rifornisce 5.000 nuclei familiari una volta alla settimana, grazie agli 11 Hub attivi, agli Empori di Caritas realizzati grazie al Programma in città e al Social Market Solidando (IBVA).

La regia di tutto questo sistema?

È del Comune. Il sistema QuBì ha messo a disposizione manovalanza, testa, risorse; ma la regia è dell’amministrazione comunale.

Ci sono stati ulteriori passaggi che meritano di essere segnalati?

Inizialmente in questo sistema non era capacitato il fresco; che ha ovviamente bisogno di essere lavorato in maniera diversa rispetto al resto. Quindi, di nuovo, QuBì si è attivato per offrire una lettura quotidiana di quello che succedeva nei territori. Grazie alle reti abbiamo ad esempio saputo che c’erano famiglie che non riuscivano a mangiare una frutta o una verdura da settimane. A quel punto Food Policy assieme a So.Ge.Mi hanno operato per veicolare il cosiddetto “fresco duro”, ovvero il fresco che può essere trasportato e stoccato anche se non si hanno delle celle frigorifere. Nel frattempo però come QuBì e insieme a Fondazione Vismara abbiamo stanziato 160.000 euro da suddividere sulla città per l’acquisto di fresco. In questa fase abbiamo chiesto ai referenti di rete di individuare un’associazione della rete che potesse ricevere risorse e il modo più congeniale per quel territorio di garantire alle famiglie anche questo tipo di cibo. Infine, altre forze più informali, come le Brigate Volontarie della Solidarietà hanno attivato delle collette alimentari direttamente nei supermercati e si sono messi al servizio della popolazione; altre organizzazioni invece, ricevendo fondi (es. Terre des hommes, Emergency, ecc.) hanno dando risposte alla povertà alimentare: lo sforzo è cercare l’alleanza con tutto quello che si muove sul territorio.

Quali soluzioni sono state trovate a livello territoriale?

Sono stati messi in campo sistemi differenti a seconda dei territori. Nella maggior parte dei casi, per quello che riguarda le risorse date direttamente alle reti QuBì, sono stati fatti accordi a livello locale fra le associazioni e la grande distribuzione dell’alimentare prevedendo dei “buoni acquisto”. Ma ci sono state anche esperienze innovative e che rimarranno dopo la fine dell’emergenza; ad esempio in un caso è stato contattato direttamente l’ortomercato e in pochi giorni sono state distribuite molte tonnellate di fresco casa per casa; con un sistema di cassette “small”, “medium” e “large” sulla base delle esigenze dei nuclei. Altri invece hanno attivato delle carte prepagate facendo accordi con commercianti di quartiere per agevolare in particolare quelle famiglie che hanno ad esempio un neonato, i cui bisogni specifici– dal latte in polvere ai pannolini – non riescono facilmente ad essere letti da un sistema “più alto”, come quello degli hub.

E contemporaneamente a questo, la distribuzione dei pacchi è proseguita?

Sì assolutamente, questo avveniva in contemporanea alla distribuzione del resto. Inoltre, è stato chiesto agli Empori della Solidarietà di Caritas di rimanere aperti più a lungo; e sono state anche date risorse aggiuntive a un social market (Solidando) che a fronte di 50.000 euro messi a disposizione da QuBì ha accolto per due mesi altri 250 nuclei familiari.

Cosa ha permesso in poco tempo di mettere insieme un sistema così capillare?

Nell’ultimo anno e mezzo di lavoro con QuBì abbiamo chiesto alle reti di aiutarci a individuare le famiglie con bambini in povertà, partecipando alla costruzione di un database condiviso con il comune. Quando è scoppiata la crisi eravamo quindi parzialmente pronti, l’esistenza delle reti e la stretta collaborazione fra l’amministrazione comunale e tutti soggetti che nel territorio si occupano di povertà è stata senza dubbio centrale.